Inversione di rotta sulla tempestività: se l’istanza è spedita a mezzo posta, vale la data di spedizione

Il principio secondo cui, nel caso di notificazione a mezzo posta, si deve considerare, ai fini del rispetto di un termine decadenziale, la data di spedizione assume portata generale e vale anche nel caso della presentazione della richiesta di restituzione nel termine.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, sezione Quinta Penale, con la sentenza n. 12529 depositata il 24 marzo 2016. Contumacia e conoscenza degli atti processuali. Un cittadino albanese, quasi dieci anni fa, veniva processato in contumacia. Non sapeva nulla del processo, fino a quando non riceveva, nel 2013, l’ordine di esecuzione della sentenza mai impugnata e passata in giudicato. Proponeva richiesta di restituzione nel termine, spedendola per raccomandata il trentesimo giorno successivo a quello in cui prendeva cognizione dell’ordine di esecuzione della pena in zona Cesarini, potremmo dire. Naturalmente, l’istanza giungeva presso la cancelleria della Corte di appello alcuni giorni dopo e, per tale ragione, veniva respinta perché tardiva. Ma il condannato non si arrende, e propone ricorso. Vale la data di spedizione, non quella di ricezione. Invertendo rotta rispetto all’orientamento maggioritario, e ribadito nel 2014, la Cassazione spiega che, ai fini della valutazione della tempestività della presentazione della richiesta di restituzione nel termine, effettuata mediante ricorso al servizio postale, occorre guardare alla data di spedizione e non a quella in cui l’atto viene ricevuto dalla cancelleria. Le ragioni del discostamento dall’indirizzo interpretativo opposto – che valorizza, invece, il momento in cui l’atto giunge a destinazione – sono molteplici, e assai importanti. La prima, di ordine generale, è espressa con parole lapidarie fare carico al soggetto che spedisce l’istanza del tempo necessario al recapito costituirebbe una compromissione del diritto di difesa. Posto che il ricorso alla notifica mediante spedizione per raccomandata è consentito, dovrà anche ritenersi che essa è tempestiva se viene effettuata entro il termine decadenziale. Una decisione di legittimità del 2013, relativa proprio alla istanza di rimessione in termini ed al suo deposito mediante spedizione postale, ha affermato esattamente questo principio, normativamente già presente nel nostro codice nel libro dedicato alle impugnazioni. Qui, il rispetto del termine di deposito è, per legge, collegato alla data di spedizione della raccomandata o del telegramma. L’orientamento opposto e il rispetto della CEDU. Una sentenza del 2014, pronunciata dalla Prima Sezione, invece, ritiene esattamente il contrario nel caso della richiesta di restituzione nel termine vale, se spedita per posta, la data di ricezione della stessa da parte dell’ufficio giudiziario destinatario. La rimessione nel termine non è un’impugnazione, infatti, e pertanto non può farsi applicazione della regola sopra cennata che consente di rispettare il termine di decadenza spedendo il plico prima dell’ultimo giorno utile. La parola presentata”, riferita all’istanza e utilizzata nella norma sulla restituzione nel termine, farebbe capire che la prima debba inderogabilmente pervenire nella cancelleria entro e non oltre l’ultimo giorno utile. La Quinta Sezione non ignora questo orientamento, ma lo giudica non condivisibile perché offre una interpretazione soltanto parziale del sistema, legata al tenore letterale della norma e alla impossibilità di qualificare la richiesta di restituzione nel termine quale impugnazione. Il vero è, però, che uno sguardo complessivo all’istituto della rimessione in termini non può farci dimenticare la trafila innovativa che lo ha interessato. Trafila che parte da lontano. L’ipotesi di restituzione nel termine per proporre impugnazione, nel caso del processo contumaciale del quale l’imputato non abbia avuto effettiva conoscenza, è figlia delle sentenze Sejdovic contro Italia e Somogyi contro Italia, con cui la Corte EDU ha bacchettato il nostro Paese a causa della povertà di garanzie per i contumaci” ignari dell’esistenza di un processo a proprio carico, tagliati fuori dalla possibilità di proporre impugnazione per essere nuovamente giudicati. Prova ne sia che questo specifico caso di restituzione nel termine è stato introdotto nel 2005, cioè un anno dopo le due sentenze europee. Sulla scorta di questo rilievo, e di una più generale interpretazione del principio del contraddittorio che anima il nostro processo, appare pertanto ingiusto limitare il ricorso alla restituzione nel termine questo istituto, anzi, va reso il più possibile fruibile da coloro che posseggono i requisiti per avvalersene. In conclusione, la regola generale delle notificazioni a mezzo posta è quella già nota nel sistema delle impugnazioni rileva, ai fini della tempestività della presentazione, la data di spedizione e non quella di ricezione del documento da parte del destinatario. Un contrasto che merita una composizione alla luce dei principi generali del diritto. Si fa un gran parlare della necessità di garantire, quanto più possibile, la conoscenza effettiva del processo all’imputato. La Quinta Sezione, sconfessando l’orientamento opposto prevalente, ha rinfocolato un contrasto interpretativo davvero importante prevarrà la forma rigorosa dell’ermeneusi letterale o la effettività della tutela? Ci auguriamo francamente la seconda, che è senz’altro più in linea con i tempi e con i principi che in Europa governano i modelli processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 gennaio – 24 marzo 2016, n. 12529 Presidente Nappi – Relatore Catena Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato la Corte di Appello di Milano respingeva la richiesta di restituzione nei termini formulata dal V.E. , relativamente all’impugnazione della sentenza emessa dal Tribunale di Milano in composizione monocratica il 19/01/2011, irrevocabile il 15/01/2012, con cui il ricorrente era stato condannato per il delitto di cui agli artt. 477, 482, cod. pen., accertato in Milano il 15/10/2007 detta richiesta era basata sulla mancata conoscenza della sentenza predetta, di cui il ricorrente dichiarava di aver appreso solo in data 26/11/2013, allorquando gli era stato notificato l’ordine di esecuzione della carcerazione con contestuale sospensione. La Corte territoriale rilevava che non vi era prova della tempestività dell’istanza, atteso che la stessa risultava depositata in cancelleria in data 9 gennaio 2014, rispetto alla conoscenza del provvedimento, risalente al 26 novembre 2013, quindi oltre il termine di decadenza di giorni trenta. 2. Con ricorso inviato a mezzo servizio postale, il V.E. , ai sensi dell’art. 606, lett. b , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 175, comma 2 bis, 583 cod. proc. pen., rappresenta di aver ricevuto le notifiche di tutti gli atti relativi al processo in questione, celebrato in contumacia, presso il difensore di ufficio, senza che egli, quindi, ne avesse avuto effettiva conoscenza in data 27/12/2013, il difensore, a mezzo posta, con raccomandata a.r., inviava l’istanza di restituzione del termine per proporre impugnazione avverso la sentenza in premessa indicata considerato che l’ordine di esecuzione era stato notificato in data 26/11/2013 e che il 26/12/2013 è un giorno festivo, la spedizione dell’istanza risultava tempestiva, in quanto effettuata l’ultimo giorno utile. 3. Il P.G., in persona del dott. Mario Fraticelli, ha fatto pervenire conclusioni scritte in data 16/9/2015, con cui ha chiesto l’annullamento senza rinvio del provvedimento con restituzione degli atti al giudice di merito per l’ulteriore corso, in quanto risulta pacificamente, dalla data di spedizione del plico e dalla data di rilascio della procura speciale al difensore, che l’istanza era stata inviata il 27/12/2013, così come la procura speciale era stata rilasciata in detta data. 4. Con memoria difensiva depositata presso la cancelleria di questa sezione in data 28/12/2015 si ribadiscono le doglianze formulate con il ricorso per cassazione. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. L’istanza di restituzione nel termine per proporre impugnazione, formulata ai sensi dell’art. 175, comma secondo bis, cod. proc. pen., risulta essere stata spedita con raccomandata a.r. in data 27/12/2013 dall’ufficio postale di Pinerolo considerato che l’ordine di esecuzione era stato notificato al ricorrente in data 26/11/2013, l’ultimo giorno utile per proporre l’istanza di restituzione nel temine ex art. 175, comma 1, cod. proc. pen., cadeva in data 26/12/2013 atteso che detta data coincide con una delle festività civili e religiose dello Stato ai sensi dell’art. 2 legge 260/1949 e successive modifiche, il termine di scadenza viene prorogato al giorno successivo non festivo, ex art. 172, comma 3, cod. proc. pen., ossia, in tal caso, al 27/12/2013. Erroneamente, pertanto, è stata considerata la data in cui l’istanza risulta pervenuta presso la Corte di Appello di Milano e non quella in cui la stessa era stata inviata. In tal senso va ribadito l’orientamento di questa Corte espresso da Sez. 2, sentenza n. 19542 del 17/05/2006, Rv. 234208 che, pur dando conto di un diverso orientamento, espresso dalla Sez. 6, con sentenza del 05/05/2000, Mounir, Rv. 218341, ha ritenuto che l’accezione del termine presentazione , di cui all’art. 175 cod. proc. pen., non giustifichi, né sotto il profilo logico né sotto quello letterale, un’interpretazione tale da escludere che l’istanza di rimessione in termini per l’impugnazione possa ritenersi presentata tempestivamente nel momento in cui viene affidata, per la spedizione, al servizio postale. La sentenza citata ha richiamato un precedente della sezione, ossia la sentenza del 27/10/2005, Marone, n. 232681, in tema di art. 582 cod. proc. pen., in relazione alla richiesta di riesame ed alla possibilità che la stessa possa essere validamente presentata in una cancelleria diversa da quella del giudice del riesame, non sussistendo alcuna apprezzabile differenza tra la presentazione nella cancelleria dell’ufficio giudiziario del foro di appartenenza del difensore e la presentazione nella cancelleria dell’ufficio di qualsiasi altro luogo, richiamando in tal senso il principio di ragionevolezza, che pur deve presiedere all’interpretazione della norma, anche alla stregua dell’articolo 583, commi 1 e 2, cod. proc. pen., che consentono la presentazione dell’impugnazione a mezzo spedizione da qualsiasi ufficio postale, non potendosi cogliere il motivo di una differenziazione limitativa tra cancelleria e ufficio postale, data l’identità degli effetti nell’uno come nell’altro caso. Siffatto orientamento trova conforto altresì nella più risalente sentenza della Sez. 4, del 23/04/1998, Strazzera, Rv. 211641, secondo la quale Nel valutare la richiesta di remissione in termini per proporre impugnazione occorre tenere conto del fatto che l’interessato ha diritto a godere di tutto il tempo previsto dalla legge per presentare l’impugnazione, che, nel nuovo codice di rito prevede, oltre alla dichiarazione, l’elaborazione e la produzione dei motivi. In detta sentenza si affermava che, posto che deve ritenersi pacifica la possibilità che la richiesta per la restituzione nel termine sia fatta pervenire tramite spedizione a mezzo servizio postale, dato che nessuna norma postula che sia presentata di persona, è evidente che addebitare al richiedente il tempo, spesso imprevedibile, necessario al recapito della stessa, comprometterebbe il suo pieno godimento del termine concesso dalla legge e con esso il suo diritto alla difesa. Analogamente è orientata Sez. 2, sentenza dell’11/12/013, Skoko, n. 260046, nel presupposto che l’istanza di restituzione in termine per proporre impugnazione è disciplinata, per il suo stretto rapporto di strumentalità con l’atto principale al compimento del quale è diretta, dalle norme concernenti la forma e la ricezione della dichiarazione di impugnazione e pertanto, qualora l’istanza sia inviata per posta, si applica la disposizione dell’art. 583, in base al quale l’atto si considera presentato alla data di spedizione della raccomandata o del telegramma . Il Collegio non ignora, ovviamente, l’opposto e più recente orientamento di legittimità, secondo cui ai fini della verifica della tempestività della richiesta di restituzione nel termine, ai sensi dell’art. 175, comma secondo bis, cod. proc. pen., nel caso in cui l’istanza sia stata presentata a mezzo del servizio postale, bisogna aver riguardo alla data di ricezione della stessa da parte dell’ufficio, in quanto in tal caso non è applicabile la disposizione di cui all’art. 583, comma secondo, cod. proc. pen., che individua la data di proposizione dell’impugnazione in quella di spedizione della raccomandata Sez. 1, sentenza n. 6726 del 20/01/2014, Rv. 259416 Sez. 2, sentenza n. 35339 del 13/06/2007, Rv. 237759 Sez. 1, sentenza n. 25185 del 17/02/2009, Rv. 243808 . Detto orientamento fa leva sul dato testuale della norma di cui all’art. 175, comma 2 bis, cod. proc. pen. - il quale stabilisce che l’istanza di restituzione nel termine deve essere presentata - intendendosi che detta presentazione debba avvenire presso l’ufficio giudiziario competente nel termine di trenta giorni, non essendo previsto dalla norma alcun richiamo alla facoltà di spedizione dell’atto a mezzo di raccomandata, riservata dall’art. 583 cod. proc. pen. agli atti di impugnazione, ed estesa da specifiche norme processuali ad altri mezzi di gravame, quali la richiesta di riesame contro le misure cautelari personali art. 309, comma 4, cod. proc. pen., che richiama gli artt. 582 e 583 o le misure cautelari reali art. 324, comma 2, c.p.p., che richiama l’art. 582 cod. proc. pen., nella interpretazione data da Sez. U, n. 230 del 20/12/2007 - dep. 07/01/2008, Normanno, Rv. 237861 né può affermarsi l’applicabilità dell’art. 583 cod. proc. pen., comprendendo nella categoria degli atti di impugnazione anche la richiesta di restituzione nel termine, trattandosi di rimedio processuale privo della connotazione propria dell’impugnazione, consistente nella richiesta di riforma di un provvedimento giudiziario rivolta ad un giudice diverso da quello che ha emesso il provvedimento impugnato. L’orientamento da ultimo citato fa leva sul dato testuale e sistematico della norma, e tuttavia non sembra considerare la circostanza che il comma 2 bis dell’art. 175 cod. proc. pen. introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. c , del d.l. 21 febbraio 2005, convertito con modifiche nella legge 22 aprile 2005, n. 60 - non specifica affatto che il luogo della presentazione debba essere limitato al solo ufficio giudiziario competente, come, invece, avviene nel caso della previsione dell’art. 582 cod. proc. pen. art. 582 cod. proc. pen Salvo che la legge disponga altrimenti, l’atto di impugnazione è presentato personalmente ovvero a mezzo di incaricato nella cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato art. 175, comma 2 bis, cod. proc. pen La richiesta indicata al comma 2 è presentata, a pena di decadenza, nel termine di trenta giorni da quello in cui l’imputato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento. . Del resto la presentazione a mezzo posta è ammessa anche per la richiesta di rimessione del processo, il cui deposito è disciplinato dall’art. 46 c.p.p. in termini analoghi Cass., sez. V, 6 luglio 2012, Angelini, m. 253720 . A ciò si deve aggiungere che, oltre a tenere presente il dato testuale, l’interprete è tenuto ad effettuare ‘esegesi della norma in maniera costituzionalmente orientata, tenendo altresì presente l’iter legislativo che ha determinato, nel caso in esame, la modifica della norma stessa. In questo senso occorre ricordare che il comma 2 bis citato, come detto, è stato introdotto dal d.l. 21 febbraio 2005, convertito con modifiche nella legge 22 aprile 2005, n. 60, e che dette disposizioni sono state emanata proprio in attuazione delle condanne pronunciate dalla Corte EDU nei confronti dell’Italia con riferimento, appunto, al difetto di garanzie che regolavano il processo in absentia Grande Camera, 18/05/2004, Sejodvic c. Italia Grande Camera, Somogyi c. Italia, 10/11/2004 . Va osservato che tradizionalmente il sistema processuale italiano, diversamente da quello di altri Stati, ha sempre reputato la contumacia come una facoltà, ovvero come una garanzia liberamente scelta dall’imputato e, quindi, in ultima analisi come un dato neutro da inquadrarsi nel più ampio ambito dell’esercizio del diritto di difesa ciò anche per la possibilità che il giudizio in contumacia offre al difensore, il quale può perseguire una strategia difensiva finalizzata ad impedire la sanatoria di eventuali nullità assolute, rilevando le stesse solo alla fine del processo. Tuttavia il novellato art. 111 Cost. nell’esaltare il principio del contraddittorio nella formazione della prova, in tal senso recependo l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ha determinato una lettura costituzionalmente orientata del compendio normativo regolante il processo in contumacia, con particolare riferimento alla compatibilità di detto giudizio con il citato principio costituzionale, in quanto il semplice obbligo di comparizione al dibattimento non implica alcuna limitazione per il diritto di difesa ed, anzi, assicura un più efficace contributo alla difesa tecnica ed un effettivo apporto al metodo del contraddittorio mediante forme di collaborazione personale alla difesa tecnica. In questo contesto si colloca il d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito in legge 22 aprile 2005, n. 60, finalizzato a rimediare alla carenza strutturale del sistema processualpenalistico italiano, individuato dalla Corte europea, da ultimo con la citata sentenza Sejdovic, nell’assenza di un meccanismo effettivo, volto a concretizzare il diritto delle persone condannate in contumacia che non siano state effettivamente informate del procedimento a loro carico e a condizione che non abbiano rinunciato in maniera certa e consapevole a comparire - di ottenere che una giurisdizione esamini nuovamente il caso, dopo averle ascoltate sul merito delle accuse, nel rispetto dei principi di cui all’art. 6 Cedu. Secondo quanto indicato dalla Corte europea, quindi, il processo contumaciale non è di per sé incompatibile con le garanzie della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come risulta dalla sentenza Cedu del 22 gennaio 1985, ric. Colozza, e dalla successiva giurisprudenza della medesima Corte, la quale ha riconosciuto che la presenza in un ordinamento di una procedura penale contumaciale non è di per sé in contrasto con i principi del processo equo , quali implicati dall’art. 6 Cedu, purché il condannato assente e non rinunciante possa, una volta venuto a conoscenza della condanna a suo carico, beneficiare del diritto alla celebrazione di un nuovo giudizio in sua presenza. Poiché tale diritto non era previsto nel nostro sistema processuale, la Corte ha invitato lo Stato italiano a sopprimere un ostacolo legale che potrebbe impedire la riapertura nel termine o la tenuta di un nuovo processo nei confronti dell’assente non rinunciante, affermando che lo Stato italiano deve garantire, con misure appropriate, la messa in opera del diritto in questione , non solo per il singolo ricorrente del caso sottoposto al suo esame, ma per tutte le persone che vengano a trovarsi in una situazione simile alla sua . In detto contesto inquadrato l’attuale meccanismo processuale della restituzione nel termine, apparirebbe quindi in contrasto con le chiare finalità dell’istituto, come rimodulato in base a quanto indicato dalla Corte europea, ed altresì in contrasto con il principio del giusto processo, una interpretazione del comma 2 bis dell’art. 175 cod. proc. pen., che oggettivamente limitasse sia le modalità che i tempi per la presentazione della relativa istanza, in tal modo determinando un ulteriore, concreto ostacolo alla realizzazione, per il condannato assente e non rinunciante, del diritto alla celebrazione di un nuovo giudizio in sua presenza. Appare, infine, rilevante considerare quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 477 del 2002 nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 149 del codice di procedura civile e 4, comma terzo, della legge 20 novembre 1982, n. 890. Richiamandosi al principio già affermato in tema di notificazioni all’estero - ossia che gli artt. 3 e 24 della Costituzione impongono che le garanzie di conoscibilità dell’atto, da parte del destinatario, si coordinino con l’interesse del notificante a non vedersi addebitato l’esito intempestivo di un procedimento notificatorio parzialmente sottratto ai suoi poteri di impulso - il giudice delle leggi ha individuato, come soluzione costituzionalmente obbligata della questione sottoposta al suo esame, quella desumibile dal principio della sufficienza del compimento delle sole formalità che non sfuggono alla disponibilità del notificante , già affermato con la sentenza n. 69 del 1994. Ciò che rileva in maniera significativa appare l’affermazione della Corte Costituzionale, secondo cui il citato principio, per la sua portata generale, non può non riferirsi ad ogni tipo di notificazione e dunque anche alle notificazioni a mezzo posta, essendo palesemente irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa del notificante, che un effetto di decadenza possa discendere - come nel caso di specie - dal ritardo nel compimento di un’attività riferibile non al medesimo notificante, ma a soggetti diversi l’ufficiale giudiziario e l’agente postale e che, perciò, resta del tutto estranea alla sfera di disponibilità del primo. Ne consegue, quindi che, per effetto dei richiamati principi costituzionali gli effetti della notificazione a mezzo posta devono, dunque, essere ricollegati - per quanto riguarda il notificante - al solo compimento delle formalità a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, essendo la successiva attività di quest’ultimo e dei suoi ausiliari quale appunto l’agente postale sottratta in toto al controllo ed alla sfera di disponibilità del notificante medesimo . La significativa affermazione che i principi espressi, a causa della loro portata generale, non possono non valere che per ogni tipologia di notificazione, deve, quindi, essere intesa nel senso che non possa in alcun modo rilevare la natura dell’atto oggetto della notificazione a mezzo servizio postale, essendo del tutto irrilevante che esso sia destinato a realizzare effetti processuali civilistici o effetti processualpenalistici, né, tantomeno, escludere dall’applicazione di detti principini rango costituzione alcune determinate tipologie di atti, quale, ad esempio, l’istanza di restituzione nel termine di cui all’art. 175 cod. proc. pen Anche sotto detto aspetto, quindi, questo Collegio ritiene di discostarsi dalla giurisprudenza sul punto prevalente, aderendo all’orientamento sino ad ora minoritario, per le esposte ragioni. Ne consegue l’annullamento dell’impugnata ordinanza con rinvio alla Corte di Appello di Milano per nuovo esame. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnato con rinvio alla Corte di Appello di Milano per nuovo esame.