Le molestie persecutorie possono realizzarsi in qualunque forma e luogo

La contravvenzione di molestia o disturbo alle persone ex art. 660 c.p. è del tutto distinta, autonoma e concorrente rispetto al reato di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p., da cui non viene assorbita per la diversità dei beni giuridici tutelati e per la diversa struttura del reato.

Questo il principio di diritto affermato dalla Quinta sezione Penale della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 12528/16, con la quale la Suprema Corte continua nella sua incessante opera di perimetrazione dei confini della punibilità, mai stati nitidi, del delitto di stalking. I problemi di determinatezza della fattispecie incriminatrice. All’indomani dell’ingresso nell’ordinamento italiano del reato di atti persecutori, la formulazione eccessivamente vaga degli elementi costitutivi dell’art. 612- bis c.p., sia con riferimento alla condotte di stalking che dovrebbero estrinsecarsi in minacce e/o molestie , sia alla reiterazione delle stesse trattandosi di reato necessariamente abituale che agli eventi troppo soggettivizzati e legati alle percezioni soggettive” della vittima , hanno portato la necessità di individuare con esattezza l’area del penalmente rilevante del reato. L’ingrato compito è spettato, al solito, alla Suprema Corte che quotidianamente specifica il contenuto della norma incriminatrice. La scelta di ridurre l’area della punibilità del giudice di merito. Proprio per ridurre i margini di indeterminatezza che l’art. 612- bis c.p. presenta pena la sollevazione della questione di legittimità costituzionale , il giudice di prime cure aveva mandato assolto un uomo che con condotte reiterate e quotidiane consistenti in dichiarazioni amorose deliranti e minacce molestava la ex moglie, in particolare inviandole numerosi sms, email e lettere, consegnandole a casa, sul luogo di lavoro e presso parenti, lasciandole bigliettini sul parabrezza dell’auto, in modo da cagionarle un grave e perdurante stato di ansia e di paura. Per il Tribunale di Cremona, la condotta del reato di atti persecutori coincide con quella di molestie o disturbo alle persone descritta dall’art. 660 c.p., con la conseguenza che le condotte di molestie dovrebbero necessariamente essere commesse in luogo pubblico o aperto al pubblico e con il mezzo del telefono ne conseguirebbe per il giudice di merito l’esclusione della rilevanza penale dell’invio di messaggi di tipo epistolare e di quelli inviati per posta elettronica. Il ricorso per cassazione. Il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Brescia ricorre in Cassazione per violazione di legge in quanto non appare condivisibile tale interpretazione perché le condotte moleste, seppure non rientranti nel parametro indicato dagli artt. 612 e 660 c.p., nella misura in cui risultano reiterate e producano uno degli eventi alternativamente previsti nella norma di cui all’art. 612- bis c.p., integrano il delitto di atti persecutori. La risposta della Suprema Corte. I Giudici di legittimità accolgono il ricorso ponendo in risalto le differenze con la contravvenzione punita dall’art. 660 c.p. molestia o disturbo alle persone , che mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l’offesa alla quiete privata. È una ipotesi di reato plurioffensiva, che tutela la tranquillità del privato ma anche l’ordine pubblico e si struttura come reato di pericolo non necessariamente abituale, potendo integrarsi anche con una sola azione di disturbo o di molestia, purché ispirata da biasimevole motivo e caratterizzata da petulanza tra le tante, Sez, I, n. 19924/2014 . Invece, il delitto di atti persecutori è un reato necessariamente abituale, di evento e di danno e non di pericolo ed è differente anche il bene giuridico tutelato la tutela della libertà individuale. Per gli Ermellini, quindi, la fattispecie di cui all’art. 660 c.p. si pone come del tutto distinta, autonoma e concorrente rispetto al reato di atti persecutori, da cui non viene assorbita per la diversità dei beni giuridici tutelati e per la diversa struttura del reato. Anche se la condotta del delitto di stalking può essere rappresentata da molestie questo non legittima l’interprete a considerare la fattispecie ex art. 612- bis c.p. come una reiterazione di successivi episodi di molestie, come tali singolarmente inquadrabili nella contravvenzione di cui all’art. 660 c.p La tutela apprestata dall’art. 612- bis c.p. alla libertà individuale prescinde inoltre e non si estende ad alcuna dimensione pubblicistica, per cui la sua sfera di operatività esula la tutela dell’ordine pubblico, con la conseguente irrilevanza dell’essere le condotte moleste, nel caso di atti persecutori, commesse o meno in un luogo pubblico o aperto al pubblico. Sulla questione di legittimità costituzionale. La lettura più ampia della punibilità del reato di stalking datane dalla Suprema Corte rispetto al giudice di prime cure non crea per la Cassazione alcun problema di contrasto con la Costituzione in quanto già la Consulta si è già pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 612- bis c.p., per violazione del principio di determinatezza delle fattispecie penali codificato dall’art. 25, secondo comma, Cost., ove il giudice rimettente ha lamentato il fatto che il legislatore non abbia indicato in maniera sufficientemente precisa il minimum della condotta intrusiva temporalmente necessaria e sufficiente affinché possa dirsi integrata la persecuzione penalmente rilevante. I Giudici di legittimità ricordano che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 172/2014, ha escluso tale contrasto poiché la stessa risulta delineata in modo esauriente in tutte le sue componenti essenziali, punendo la realizzazione reiterata di condotte dotate di un elevato grado di determinatezza. Le preziose indicazioni della Consulta . Proprio nella sentenza n. 172/2014 il giudice delle leggi avevo notato la fattispecie di cui all’art. 612- bis c.p. si configura come specificazione delle condotte di minaccia o di molestia già contemplate dal codice penale, sin dalla sua originaria formulazione, agli artt. 612 e 660. E la lunga tradizione applicativa di tali fattispecie in sede giurisdizionale agevola l’interpretazione della disposizione incriminatrice. In particolare, Molestare significa, sempre secondo il senso comune, alterare in modo fastidioso o importuno l’equilibrio psichico di una persona normale. E questo è sostanzialmente il significato evocato dall’art. 660 c.p., in cui viene fatto riferimento alla molestia per definire il risultato di una condotta . L’art. 660 c.p. serve dunque all’interprete per individuare il ventaglio delle condotte moleste astrattamente sussumibili nel delitto di atti persecutori. Ma non significa, come specificato dalla Corte Costituzionale, che la fattispecie di molestie o disturbo alle persone viene assorbita nel reato di stalking costituendone un elemento costitutivo. recepite dalla Cassazione. In definitiva, tutte le azioni moleste che alterino in modo fastidioso o inopportuno l’equilibrio psichico dell’uomo medio possono integrare la condotta di atti persecutori. Solo per citare uno degli ultimi casi decisi, l’inviare al datore di lavoro una lettera anonima, contenente allusioni sulla moralità della ex , nonché foto ed un DVD che ritraevano la medesima nuda e nell'atto di compiere un rapporto sessuale tanto da averla in un primo momento licenziata , è una molestia punibile ai sensi dell’art. 612- bis c.p. Sez. III, n. 12208/2016 . Rimane il problema della reiterazione. Se le conclusioni della pronuncia in commento appaiono condivisibili, rimane pure sotto il profilo della tenuta costituzionale il nodo dell’abitualità laddove la Suprema Corte continua a sostenere che bastano due sole condotte ad integrare il delitto di atti persecutori, e che il reato è configurabile anche quando le singole condotte sono reiterate in un arco di tempo molto ristretto, anche di una sola giornata sempre Sez. III, n. 12208/16 . Anche se la Cassazione lega l’elemento della reiterazione alla condizione che si tratti di atti autonomi e siano la causa effettiva di uno degli eventi considerati dalla norma incriminatrice, così facendo finisce per svuotarlo di contenuto, non garantendo quel minimum di spazio temporalmente necessario della condotta persecutoria per integrare il reato di stalking.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 gennaio – 24 marzo 2016, n. 12528 Presidente Nappi – Relatore Catena Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata il Tribunale di Cremona in composizione monocratica assolveva N.A. dal delitto di cui all'art. 612 bis, cod. pen. - perché con condotte reiterate e quotidiane, consistenti in dichiarazioni amorose deliranti ed in minacce, molestava la ex moglie P.N., in particolare inviandole numerosi messaggi sms, decine di messaggi di posta elettronica e lettere, consegnandole a casa, sul luogo di lavoro e presso parenti, lasciandole bigliettini sul parabrezza dell'auto, in modo da cagionarle un grave e perdurante stato di ansia e di paura tale da ingenerare un fondato timore per la propria incolumità o per quella di un prossimo congiunto in Trigolo, Cremona ed altrove, dal 10/05/2009 fino al 03/06/2010 - perché il fatto non sussiste. 2.Con ricorso depositato il 09/07/2015, il Procuratore generale presso la Corte di Appello di Brescia ricorre per violazione di legge, ex art. 606 lett. b , cod. proc. pen. in relazione agli artt. 612 bis, e 660 cod. pen., in quanto la motivazione dell'assoluzione sarebbe stata determinata dal fatto che, secondo il giudice impugnato, la condotta di cui all'art. 612 bis, cod. pen., dovrebbe coincidere con quella di cui all'art. 660 cod. pen., con la conseguenza che le condotte di molestie dovrebbero necessariamente essere commesse in luogo pubblico o aperto al pubblico e con il mezzo del telefono da ciò conseguirebbe l'esclusione della rilevanza penale dell'invio di messaggi di tipo epistolare e di quelli inviati per posta elettronica, oltre che per l'impossibilità di interpretazione estensiva del dettato normativo, anche per la possibilità di individuare immediatamente il mittente e, quindi, di escludere la ricezione dei messaggi stessi e delle lettere, evitando in tal modo ogni lesione alla sfera individuale. Tale interpretazione non appare condivisibile, in quanto le condotte moleste, seppure non rientranti nel parametro individuato dagli artt. 612 e 660 cod. pen., nella misura in cui siano reiterate e producano uno degli eventi indicati nella norma di cui all'art. 612 bis, cod. pen., integrano il delitto di atti persecutori. Risultano poi trasmesse a questa Corte missive a firma del N.A. che la Corte ha esaminato, rilevando come il contenuto delle stesse non sia rilevante ai fini del presente ricorso. Considerato in diritto Il ricorso del P.G. presso la Corte di Appello di Brescia è fondato e va, pertanto, accolto. La contravvenzione di cui all'art. 660 cod. pen., che configura la molestia o il disturbo alle persone, mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l'offesa alla quiete privata trattasi di un'ipotesi di reato plurioffensiva, che mira a tutelare non solo la tranquillità del privato, ma anche l'ordine pubblico, ed è, pacificamente, reato di pericolo, non necessariamente abituale, potendo essere realizzato anche con una sola azione di disturbo o di molestia, purché ispirata da biasimevole motivo o caratterizzata da petulanza, ossia da quel modo di agire pressante ed indiscreto che interferisce in maniera sgradevole con l'altrui sfera privata Sez. 1, sentenza n. 19924 del 04/04/2014, Rv. 262254 Sez. 1, sentenza n. 3758 del 07/11/2013, Rv. 258260 Sez. 1, sentenza n. 2597 del 13/12/2012, Rv. 254627 . Detta fattispecie, quindi, si pone come dei tutto distinta, autonoma e concorrente rispetto al reato di atti persecutori di cui all'art. 612 bis cod. pen., da cui non viene assorbita per la diversità dei beni giuridici tutelati e per la diversa struttura del reato il delitto di atti persecutori tutela la libertà individuale ed è reato abituale di danno, per la cui sussistenza è richiesta la produzione di un evento consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, o, in alternativa, di un evento di pericolo, consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva. Non vi è dubbio, quindi, che la condotta del delitto di cui all'art. 612 bis, cod. pen., possa essere rappresentata da molestie, oltre che da minacce, ma ciò non legittima l'interprete a considerare la fattispecie di cui all'art. 612 bis, cod. pen., come una reiterazione di successivi episodi di molestie, come tali singolarmente inquadrabili nella contravvenzione di cui all'art. 660 cod. pen. I beni giuridici protetti sono diversi tra loro - in un caso la libertà individuale, nell'altro la quiete privata e l'ordine pubblico - la struttura dei reati è ontologicamente diversa - delitto necessariamente abituale di danno in un caso, reato non necessariamente abituale di pericolo nell'altro - per cui appare evidente come dette fattispecie possano avere un nucleo strutturale comune, costituito dalla condotta molesta che tuttavia, nel delitto di cui all'art. 612 bis, cod. pen., si deve inserire in una sequenza idonea a produrre uno degli eventi di danno tipizzati dalla norma, eventualmente affiancandosi anche ad altre tipologie di condotte minacciose o lesive, mentre nella contravvenzione di cui all'art. 660 cod. pen., la rilevanza dell'ordine pubblico quale bene da tutelare rende necessario che le molestie siano commesse in un luogo pubblico o aperto al pubblico, oltre che con il mezzo dei telefono. La tutela apprestata dall'art. 612 bis, cod. pen., alla libertà individuale prescinde e non si estende ad alcuna dimensione pubblicistica, per cui dalla sfera di operatività di detto reato esula del tutto la tutela dell'ordine pubblico, con la conseguente irrilevanza dell'essere le condotte moleste, nel caso di cui all'art. 612 bis, cod. pen., commesse o meno in un luogo pubblico o aperto al pubblico. Né può ravvisarsi alcun profilo di illegittimità costituzionale, come ritenuto dal giudice impugnato, in quanto questa Corte ha già avuto modo di rilevare come sia manifestamente infondata, in riferimento all'art. 25, comma secondo, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 612 bis cod. pen., in quanto la fattispecie incriminatrice non viola il principio di determinatezza poiché la stessa risulta delineata in maniera esauriente in tutte le sue componenti essenziali, assumendo il fatto costitutivo del reato i connotati dell'antigiuridicità attraverso la realizzazione reiterata di condotte dotate di un elevato grado di determinatezza, dovendo consistere, per l'appunto, in minacce e molestie, non preventivamente definibili, stante le diverse modalità in cui può manifestarsi in concreto l'aggressione al bene giuridico, ma tali da assumere una gravità idonea a cagionare nella vittima uno degli eventi alternativamente previsti dalla stessa disposizione normativa e, pertanto, né indeterminate né generiche Sez. 5, sentenza n. 36737 dei 13/06/2013, Rv. 253534 . Ne deriva, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio, ai sensi degli artt. 569, comma 4, 623 cod. proc. pen., alla Corte di Appello di Brescia per il relativo giudizio, in cui dovrà essere applicato il principio di diritto alla stregua del quale le condotte di molestie rilevanti ai sensi dell'art. 612 bis, cod. pen., stante la diversità tra la detta fattispecie e quella di cui all'art. 660 cod. pen., non devono essere necessariamente commessi in luogo pubblico, aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, come previsto dal tenore letterale dell'art. 660 cod. pen. In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52d. lgs. 196/03, in quanto disposto dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Brescia per il relativo giudizio. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52d. lgs. 196/03 in quanto disposto dalla legge.