Anche l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio è prova di effettiva conoscenza del processo

L’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato deve sempre desumersi quando questi nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio, tanto presso il difensore d’ufficio quanto presso quello di fiducia, oppure sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare o abbia nominato un difensore di fiducia oppure ricevuto personalmente la notifica dell’udienza, ovvero da qualunque altra circostanza atta a dimostrare l’effettiva conoscenza del giudizio o la volontaria sottrazione al medesimo. Fuori dai casi di decreto penale di condanna, è onere dell’imputato dimostrare l’incolpevole mancata conoscenza del giudizio ai fini della richiesta di rescissione del giudicato ex articolo 625 ter c.p.p

Così si espressa la Quinta Sezione della Corte di Cassazione con la sentenza 12445, depositata il 23 marzo scorso, in tema di rimessione in termini dell’imputato. La fattispecie concreta. Con sentenza pronunciata il 17.11.2014 il Tribunale di Trento condannava una giovane donna alla pena ritenuta di giustizia in relazione al reato di cui agli articolo 624 e 625, numero 2 , c.p. Avverso siffatta sentenza ricorre per Cassazione l’imputata a mezzo del proprio difensore , chiedendone l’annullamento, invocando in suo favore l’applicazione del disposto di cui all’articolo 625 ter c.p.p Più specificamente, la difesa lamenta che l’assenza dell’imputata era da addebitarsi ad un incolpevole non conoscenza della celebrazione del processo a suo carico, da non poter essere esclusa dalla circostanza che la prevenuta avesse eletto domicilio presso lo studio del difensore d’ufficio in data 30.03.2014. Tale elezione, infatti, non consente di poter presumere l’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputata, che apprendeva del giudizio e della condanna solo con la notifica dell’ordine di carcerazione effettuata il 03.07.2015. Regolare elezione di domicilio I Giudici della Suprema Corte rigettano il ricorso. In via preliminare, l’infondatezza del primo motivo emerge in modo palmare dalla regolare elezione di domicilio effettuata da parte dell’imputata presso il difensore d’ufficio all’uopo nominato in sede di identificazione da parte della polizia giudiziaria, come risulta dal relativo verbale. Dunque, la donna veniva sottoposta a giudizio previa dichiarazione di assenza” ai sensi dell’articolo 420 bis c.p.p., come modificato dall’articolo 9, comma 2, della legge numero 67/2014. Siffatta novella legislativa ha da un lato eliminato l’istituto della contumacia e dall’altro introdotto quello della rescissione del giudicato con il nuovo articolo 625 ter c.p.p., a mezzo del quale l’imputato giudicato con sentenza penale passata in giudicato, assente per tutta la durata del processo, può ottenere una nuova celebrazione del processo ne suoi confronti qualora provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza del giudizio. Vero è, come rileva la difesa, che prima della riforma del 2014, l’istituto della remissione in termini era disciplinata nello stesso modo tanto per l’imputato assente a seguito di celebrazione del processo tanto per l’imputato condannato con decreto penale di condanna, con conseguente onere probatorio di effettiva conoscenza gravante sull’Autorità giudiziaria. Dunque, l’articolo 175, comma 2, c.p.p., nella sua precedente formulazione, costituiva una sorta di presunzione iuris tantum ” tanto per l’imputato contumace quanto per quello destinatario di decreto penale, difficile da vincere da parte dell’autorità in caso di notifiche avvenute presso lo studio del difensore d’ufficio. Siffatto sistema, tuttavia, è stato profondamente mutato dal legislatore. L’odierno articolo 420 bis c.p.p., infatti, prevede che il giudice proceda in assenza dell’imputato, eccetto i casi di legittimo impedimento a comparire, quando questi vi abbia espressamente rinunciato o quando vi rinunci implicitamente ed abbia avuto effettiva conoscenza della celebrazione del processo. Ad oggi, l’effettiva conoscenza deve sempre desumersi quando l’imputato nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio, oppure sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare o abbia nominato un difensore di fiducia oppure ricevuto personalmente la notifica dell’udienza, ovvero da qualunque altra circostanza atta a dimostrare l’effettiva conoscenza del giudizio o la volontaria sottrazione al medesimo. In conclusione, i Giudici della Quinta Sezione non possono che concludere che l’elezione di domicilio costituisce prova effettiva della conoscenza del processo e che, al più, dovrà essere l’imputato a fornire prova concreta di un’incolpevole assenza dal giudizio. Né tanto meno l’elezione di domicilio presso lo studio del difensore d’ufficio piuttosto che di fiducia rappresenta un ostacolo a ciò, giacché le posizione delle due figure di difensore non si differenziano sotto questo aspetto.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 novembre 2015 – 23 marzo 2016, n. 12445 Presidente Fumo – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con sentenza pronunciata il 17.11.2014 il tribunale di Trento condannava D.C. alla pena ritenuta di giustizia in relazione al reato di cui agli artt. 624 e 625, n. 2 , c.p 2. Avverso tale sentenza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del suo difensore di fiducia avv. Fabio Valcanover, del Foro di Trento, invocando l’applicazione in suo favore del disposto di cui all’art. 625 ter, c.p.p., in quanto l’assenza dell’imputata è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza da parte sua della celebrazione del processo, che certo non può desumersi dalla circostanza che la D. abbia eletto domicilio presso il difensore di ufficio in data 30.3.2014, in quanto tale elezione non consente di presumere l’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputata, che apprendeva del giudizio e della condanna intervenuta nei suoi confronti solo con la notifica dell’ordine di carcerazione effettuata il 3.7.2015. In subordine, ove si ritenesse che grava sul condannato l’onere di dimostrare l’incolpevole mancata conoscenza del processo e non fosse ritenuta sufficiente la documentazione all’uopo prodotta dalla ricorrente, quest’ultima eccepisce la illegittimità costituzionale dell’art. 625 ter, c.p.p., per violazione degli artt. 2, 3, 24 e 117, Cost., anche in relazione all’art. 6 CEDU, come interpretato dalla consolidata giurisprudenza della Corte dei Diritto dell’Uomo, nonché per ingiustificata disparità di trattamento rispetto all’ipotesi di cui all’art. 175, co. 2, c.p.p., che non impone al soggetto raggiunto da decreto penale di condanna, che chieda di essere restituito nel termine per proporre opposizione, l’onere di vincere la presunzione legale di conoscenza prevista dall’art. 420 bis, c.p.p 3. Il ricorso va rigettato, essendo sorretto da motivi infondati. 4.Ed invero, va preliminarmente rilevato che, come riconosciuto dalla stessa D. , quest’ultima, il 30.3.2014, in sede di identificazione da parte della polizia giudiziaria, come si evince dal relativo verbale, allegato al ricorso, aveva eletto domicilio presso l’avv. Tommaso Vianello, del Foro di Trento, che veniva, nella stessa occasione, dalla polizia giudiziaria nominato difensore d’ufficio dell’imputata, adempiendo puntualmente al suo mandato difensivo, attraverso la partecipazione al giudizio di primo grado, conclusosi con la sentenza oggetto di ricorso, in cui viene dato atto della partecipazione al giudizio dell’avv. Vianello. Nel suddetto giudizio l’imputata veniva dichiarata assente, in applicazione del disposto dell’art. 420 bis, c.p.p., come modificato dall’art. 9, co. 2, della I. 28 aprile 2014, n. 67, che, come è noto, innovando la disciplina in materia di costituzione del rapporto processuale, ha modificato anche il contenuto degli artt. 420 quater e 420 quinquies, c.p.p., abolendo l’istituto della contumacia, previsto, per l’appunto, dall’art. 420 quater, c.p.p., nella sua previgente formulazione cfr. art. 9, co. 3 e co. 4, I. 28 aprile 2014, n. 67 . Tanto premesso, non può condividersi l’assunto difensivo sulla irrilevanza della indicata elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, in ordine alla pretesa incolpevole mancanza di conoscenza della celebrazione del processo a suo carico da parte della D. . Ciò appare evidente ove si confronti la previsione dell’art. 175, co. 2, c.p.p., nella sua formulazione precedente alla modifica intervenuta con l’art. 11, co. 6, I. 28 aprile 2014, n. 67, con la nuova formulazione della medesima disposizione normativa e con il disposto dell’art. 625 ter, co. 1, c.p.p., che definisce l’istituto della rescissione del giudicato, inserito nell’ordinamento processuale penale dall’art. 11, co. 5, della citata I. 28 aprile 2014, n. 67. Nel disciplinare l’istituto della restituzione nel termine, l’art. 175, co. 2, c.p.p., nella sua previgente formulazione prevedeva che se è stata pronunciata sentenza contumaciale o decreto di condanna, l’imputato è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione od opposizione, salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione od opposizione. A tal fine l’autorità giudiziaria compie ogni necessaria verifica . L’attuale contenuto dell’art. 175, co. 2, c.p.p., prevede, invece, che solo l’imputato che sia stato condannato con decreto penale, il quale non abbia avuto tempestivamente effettiva conoscenza del provvedimento, sia restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre opposizione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato. L’eliminazione del precedente riferimento alla sentenza contumaciale , si spiega con l’intervenuta abolizione dell’istituto della contumacia, avendo, nel contempo, il Legislatore considerato la posizione dell’imputato che sia stato condannato con sentenza passata in giudicato nell’ambito di un processo dal quale sia stato assente per tutta la sua durata, consentendogli di ottenere la rescissione del giudicato, qualora provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo , ai sensi dell’art. 625 ter, c.p.p Si è, dunque, verificato un mutamento di prospettiva, che non consente di applicare i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in sede di interpretazione dell’art. 175, co. 2, c.p.p., nella sua previgente formulazione, secondo cui, con particolare riferimento alla impugnazione della sentenza contumaciale, era configurabile un diritto dell’imputato alla rimessione in termini ogni qual volta non vi fosse stata effettiva conoscenza del processo , per tale dovendosi intendere quella che comprenda l’imputazione formulata con la vocatio in iudicium , escludendosi che una tale conoscenza potesse essere presunta quando non risultasse dimostrato che il difensore d’ufficio, destinatario delle notifiche, fosse riuscito a mettersi in contatto con l’assistito e ad instaurare con lo stesso un effettivo rapporto professionale cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, 30/01/2014, n. 6736 Cass., sez. VI, 5.4.2013, n. 19781, rv. 256229 . Proponendo un’interpretazione dell’art. 175, co. 2, c.p.p., nella sua precedente formulazione, in termini di una sorta di presunzione iuris tantum di mancata conoscenza da parte dell’imputato della pendenza del procedimento, con il conseguente onere per il giudice di reperire in atti l’esistenza di una eventuale prova positiva da cui potesse desumersi l’effettiva conoscenza del provvedimento di condanna onere, non a caso, scomparso nella nuova forma assunta dall’art. 175, co. 2, c.p.p., e nel disposto dell’art. 625 ter, c.p.p. , del tutto coerentemente la giurisprudenza di legittimità poteva affermare che la mera regolarità formale della notifica, eseguita, ai sensi dell’art. 161, c.p.p., presso il difensore d’ufficio nominato all’imputato, non può essere considerata dimostrativa della conoscenza del giudizio o rivelatrice della volontà del destinatario di non impugnare la sentenza contumaciale o di non opporre il decreto penale di condanna cfr. Cass., sez. II, 15.4.2015, n. 21393, rv. 264219 . In presenza delle intervenute novità, tale approdo interpretativo non è più sostenibile, perché ne sono venute meno le norme di riferimento, con la creazione di un istituto, quale la rescissione del giudicato, profondamente diverso dalla restituzione nel termine per proporre impugnazione, trattandosi, come evidenziato dalla Suprema Corte, di istituti che implicano presupposti e conseguenze giuridiche diversi cfr. Cass., sez. III, 14.1.2015, n. 19006, rv. 263510 . L’art. 420 bis, co. 2 e 3, c.p.p., prevede, infatti, che, salvi i casi di legittimo impedimento a comparire previsti dal successivo art. 420 ter, c.p.p., il giudice procede in assenza dell’imputato, non solo quando quest’ultimo, pur se impedito, ha espressamente rinunciato ad assistere all’udienza comma primo , ma anche nel caso in cui nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l’imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo comma secondo , stabilendo, altresì, che nei casi di cui ai commi 1 e 2, l’imputato è rappresentato dal difensore comma terzo . Dalla elezione di domicilio deriva, pertanto una presunzione di conoscenza del processo, che legittima il giudice a procedere in assenza dell’imputato e, pertanto, a concludere il processo anche con una sentenza di condanna idonea a passare in giudicato, contro la quale il condannato potrà far valere l’eventuale mancata conoscenza della celebrazione del giudizio a suo carico solo nei limiti previsti dall’art. 625 ter, c.p.p., gravando su quest’ultimo l’onere di provare che il difetto di informazione non dipenda da una causa allo stesso imputato ascrivibile a titolo di colpa. Se ciò è vero, come è vero, non appare revocabile in dubbio che nel caso in cui, come quello in esame, l’imputato sia stato consapevole dell’esistenza di un procedimento penale a suo carico e di essere assistito da un difensore di ufficio, il quale ha partecipato regolarmente al processo conclusosi con la sentenza di condanna passata in giudicato oggetto di ricorso, non sia possibile invocare, ai fini di ottenere la rescissione del giudicato, la mancata conoscenza incolpevole da parte del prevenuto delle celebrazione del processo a suo carico. Nel momento in cui ha scelto di non nominare un difensore di fiducia e di avvalersi del difensore di ufficio nominato dalla polizia giudiziaria, la D. ha chiaramente manifestato la volontà di essere assistita solo da quest’ultimo e, quindi, di assicurarsi la conoscenza dell’ulteriore sviluppo del procedimento, attraverso la notifica degli atti al suddetto difensore di ufficio, che, giova ricordarlo, ai sensi del disposto dell’art. 420 bis, co. 3, c.p.p., aveva il potere di rappresentarla nel processo, non operando, tale disposizione normativa, nessuna differenza tra difensore di fiducia e difensore di ufficio. Sarebbe stato, pertanto, onere dell’imputata, rispondente ad un criterio di ordinaria diligenza che, peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha in passato configurato, riconoscendo l’applicazione dell’art. 161, co. 4, c.p.p., nel caso in cui sia stata effettuata elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, la cui identità sia sconosciuta all’indagato, ben potendo l’interessato, con l’ordinaria diligenza, assumere informazioni dall’autorità giudiziaria cfr. Cass., sez. III, 06/06/2012, n. 29505, rv. 253167 attivarsi autonomamente per mantenere con il difensore di ufficio i contatti periodici essenziali per essere informata dello sviluppo di tale procedimento, onere, il cui mancato adempimento integra un’evidente ipotesi di colpa nella mancata conoscenza della celebrazione del processo, non consentendo di accogliere la richiesta di rescissione del giudicato, che presuppone l’incolpevole mancanza di conoscenza della celebrazione del processo cfr., sul punto, Cass., sez. VI, 1.4.2015, n. 15932, rv. 263084 . Sotto questo aspetto giova ribadire che la posizione del difensore di ufficio non si differenzia da quella del difensore di fiducia una volta che l’imputato abbia eletto domicilio presso il difensore di ufficio eventualmente nominatogli e non abbia esercitato la facoltà di nominare un difensore di fiducia, egli ha operato la scelta di venire a conoscenza delle vicende relative alla celebrazione del processo a suo carico attraverso il difensore di ufficio, presso il quale, pertanto, coerentemente con tale scelta, avrà l’onere di informarsi dello sviluppo del procedimento. In questa prospettiva del tutto irrilevante è l’eventuale rifiuto del difensore di ufficio di essere eletto domiciliatario come avvenuto nel caso in esame da parte dell’avv. Vianello , che non fa di per sé venir meno la presunzione di conoscenza di cui all’art. 420 bis, c.p.p., perché non incide né sull’onere della parte di informarsi delle vicende del procedimento, una volta effettuata l’elezione di domicilio né sul potere di rappresentanza dell’imputato da parte del difensore di ufficio che abbia partecipato al giudizio in assenza del suo assistito. Non può essere accolta, infine, la richiesta di rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 420 bis, sia perché motivata in termini del tutto generici, attraverso un mero riferimento alle norme-parametro che si assumono violate, sia perché la diversità di disciplina prevista dall’art. 175, co. 2, c.p.p., nella sua nuova formulazione in caso di decreto penale di condanna divenuto esecutivo, non è irrazionale, ma si giustifica proprio alla luce della circostanza che il meccanismo di presunzione della conoscenza del processo previsto dall’art. 420 bis, co. 2, c.p.p., non si applica al procedimento per decreto penale di condanna. 5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va, dunque, rigettato, con condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.