Desistenza volontaria: volontarietà fa sempre coppia con spontaneità

Che è esclusa dall’agire di qualsiasi sollecitazione esterna, anche dal mero sospetto di essere stati scoperti. Inoltre, ai fini del furto aggravato ben la privata dimora può essere il luogo professionale della persona offesa, ma occorre qualcosa di più della prova generica dello svolgimento dell’attività lavorativa.

Così la Cassazione, Quarta Sezione Penale, n. 12256/2016, depositata il 22 marzo. Il caso. I tre imputati tentarono un maldestro furto all’interno di uno stabilimento di produzione di materiali edilizi. Furono colti di sorpresa dal transito di un vigilante privato, successivamente all’ingresso nei luoghi della produzione. La Corte d’appello, confermativa della sentenza di primo grado, li condanna per tentato furto aggravato, ai sensi degli artt. 56 e 624 bis c.p. – Furto in abitazione -, assimilato lo stabilimento ai luoghi di privata dimora dei proprietari. Ricorrono gli imputati in Cassazione, ritenuta la violazione di legge in punto di desistenza volontaria ai sensi dell’art. 56, terzo comma, c.p., non riconosciuta dai giudici del merito, ed in via subordinata contestando la consumazione del reato nei luoghi di privata dimora, in alcun modo assimilabile ai meri luoghi della produzione materiale e lavorativa dei proprietari persone offese. La Cassazione riconosce un difetto motivazionale sul punto, annullando con rinvio. Si tratta di desistenza volontaria ex art. 56 c.p. solo quando volontarietà fa coppia con spontaneità. La Cassazione, in adesione alla maggioritaria giurisprudenza di legittimità, accede all’opinione più rigorosa di desistenza volontaria ex art. cit. Come noto, sussistono più gradi di adesione al compimento della condotta dell’agente di reato. La consumazione con dolo, il tentativo di reato per il compimento di atti idonei ed univoci alla consumazione del reato, l’abbandono della condotta di reato o desistenza volontaria. Nell’ultimo caso l’azione del reo s’arresta prima della soglia del tentativo. La dottrina maggioritaria ritiene che ad integrare la desistenza basti la volontarietà dell’azione, purchè si proponga una alternativa alla percezione dell’agente di reato, che sceglie di arrestarsi anziché proseguire nella condotta criminale. Supportano ragioni anche di carattere processuale, dovute alla difficoltà dell’indagine sul moto psicologico interno dell’agente di reato che lo ha condotto a desistere. La Cassazione I giudici, nel caso, aderiscono all’opinione più rigorosa volontarietà fa rima con spontaneità, al fine di riconoscere l’attenuazione di pena. Occorre escludere la presenza di fattori esogeni che abbiano determinato la desistenza, come nel caso concreto il passaggio di vigilanti privati durante i previsti giri di ricognizione. I giudici, nel caso, ritengono che il solo passaggio” dei vigilanti abbia indotto l’interruzione dell’azione criminale, non avendo questi prodotto qualsivoglia avvertimento o allarme. Evidentemente i giudici hanno ritenuto che la mera preoccupazione od il semplice sospetto di essere scoperti non consentano di integrare la desistenza volontaria. Di fatto i giudici fanno arretrare fino al minimo il valore del grado di condizionamento esterno tale da escludere l’integrazione della desistenza ex art. 56 c.p. La Cassazione non ha accolto. La privata dimora” può essere il luogo di lavoro, ma va motivato. Invece sul punto la Cassazione ha annullato con rinvio. La giurisprudenza ha già più volte ammesso la compatibilità fra privata dimora e luogo di lavoro, ai fini del riconoscimento dell’aggravante ex art. 624, comma 2, c.p., purché si acquisisca prova che nei luoghi del secondo si svolgano, seppur parzialmente e ad orari ridotti od estemporanei, parti della vita lavorativa del proprietario. In sostanza, gli stabilimenti non devono essere depositi di materiale lavorativo, ma luoghi di esercizio dell’attività. Sul punto manca prova, la Cassazione ha accolto il motivo.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 26 gennaio – 22 marzo 2016, n. 12256 Presidente Izzo – Relatore Pavich Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 24 ottobre 2014, la Corte di Appello di Bologna, 3 Sezione penale, confermava la sentenza emessa dal Giudice per l'udienza preliminare dei Tribunale di Parma in data 24 maggio 2006, con la quale P.C., M.C., A.C., A.T. e G.B. erano stati condannati alla pena di un anno di reclusione e 400 euro di multa ciascuno, previa concessione a tutti gli imputati delle attenuanti generiche in regime di equivalenza ad aggravanti e recidiva, ed applicazione della diminuente del rito. Tanto in relazione al delitto di furto tentato pluriaggravato artt. 110, 624 bis, 625 nn. 2 e 5, 61 n. 5 e 56 cod.pen. , commesso in Parma loc. Paradigna il 13 febbraio 2006, e consistito nel tentativo di sottrarre da un capannone della ditta Marlegno s.r.l., in ore notturne e in numero superiore a 3 persone, previa effrazione della recinzione metallica circostante, un quantitativo di legno grezzo azione furtiva che non veniva portata a compimento per il transito di un'autovettura della società incaricata della vigilanza sullo stabilimento. E' contestata a tutti gli imputati, salvo che al C., la recidiva reiterata specifica al C. é invece contestata la recidiva reiterata. 2. Avverso la prefata sentenza ricorrono, per il tramite del proprio difensore, P.C. e A.C. ricorre altresì personalmente M.C 3. I ricorsi presentati nell'interesse di C. e C., fra loro sovrapponibili, possono essere trattati congiuntamente essi si articolano in tre motivi. 3.1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano vizio di motivazione della sentenza impugnata, che ha argomentato la cessazione dell'attività furtiva in conseguenza di un controllo di routine da parte di un'autovettura del servizio di vigilanza affidato dalla Marlegno s.r.l. all'IVRI di Parma autovettura che, dopo essere transitata dal sito, se ne allontanava, non ponendo così in essere alcuna attività interruttiva della condotta criminosa ritengono perciò i ricorrenti che si versasse in un'ipotesi di desistenza volontaria, nella specie non punibile. 3.2. Con il secondo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione di legge deducendo la nullità della sentenza in riferimento all'erronea applicazione dell'art. 624-bis cod.pen. in particolare si lamenta da un lato la non assimilabilità del sito a un luogo di privata dimora e dall'altro il fatto che non sia noto quale merce gli imputati intendessero sottrarre, se quella presente nei depositi, o nei parcheggi, ovvero quella contenuta nei veicoli parcheggiati. 3.3. Con il terzo motivo i ricorrenti eccepiscono l'estinzione dei reato loro ascritto per essere maturata la prescrizione già all'atto della pronunzia della Corte di Appello. 4. II ricorso presentato da M.C. si articola invece in due motivi. 4.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta carenza di motivazione in ordine all'affermazione della sua penale responsabilità, dolendosi del fatto che la Corte di merito abbia omesso di valutare gli elementi favorevoli al C. e abbia valutato esclusivamente quelli a lui contrari. 4.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine al fatto che le circostanze attenuanti generiche non siano state concesse nella loro massima estensione. Considerato in diritto 1. Muovendo dal ricorso presentato nell'interesse di C. e C., il primo motivo é infondato. Ai fini dell'applicabilità dei comma 3 dell'art 56 cod. pen., non può ritenersi volontaria la desistenza dall'azione quando sulla condotta dell'agente influiscano cause esterne tali da vincolarne la libertà di determinazione del soggetto attivo la distinzione fra il tentativo di delitto e l'invocata ipotesi di desistenza volontaria consiste proprio nella volontarietà dell'interruzione dell'azione criminosa, volontarietà che deve farsi risalire a una libera e non condizionata decisione dell'agente, e non a fattori esterni che lo inducano a cessare dal proposito di persistere nell'attività criminosa, incidendo dunque sul suo processo volitivo pur senza incidere direttamente sull'azione. In sostanza, il tentativo é comunque configurabile qualora si accerti che, ipotizzando l'insussistenza dei detti fattori esterni tramite un procedimento di eliminazione mentale, la condotta criminosa sarebbe stata comunque posta in essere. La decisività nei termini sopra indicati della presenza o meno di fattori esterni condizionanti la desistenza, affermata dalla costante giurisprudenza di legittimità ex multis vds. le recenti Sez. 2, Sentenza n. 7036 del 29/01/2014, Canadé, Rv. 258791 Sez. 2, Sentenza n. 51514 dei 05/12/2013, Martucciello, Rv. 258076 ed anche Sez. 4, Sentenza n. 32145 del 24/06/2010, Sergi, Rv. 248183 deve ravvisarsi senz'altro anche nel caso di specie, atteso che l'interruzione dell'azione delittuosa per il timore che terze persone intervengano o s'insospettiscano come senz'altro é accaduto in relazione alla decisione di desistere nella condotta a causa dei transito di una vettura del servizio di vigilanza é affermata pacificamente fin da epoca risalente si veda Sez. 2, Sentenza n. 6806 del 06/03/1974, Malleo, Rv. 128146 ed anche Sez. 2, Sentenza n. 751 del 25/03/1970, dep. 1971, Alcino, Rv. 117151 2. II secondo motivo dei ricorso in esame deve invece ritenersi fondato. La qualificazione dei locus commissi delicti come privata plifesa.t nell'ipotesi di cui all'art. 624-bis, deve essere correlata sia alla tipologia dei luogo, sia al fatto che in esso si svolgano attività della vita privata, ivi compresa quella lavorativa ma, sotto tale ultimo profilo, non é indifferente il fatto che, al momento della condotta delittuosa, tali attività non siano in corso, ad esempio per l'orario in cui l'azione viene posta in essere. Perciò, se é vero che la sussistenza del delitto contestato é stata ravvisata in relazione a furto commesso in uno stabilimento industriale adibito a deposito merci, sul rilievo che in tale luogo si svolgono comunemente attività tipiche della vita dell'azienda vds. Sez. 5, Sentenza n. 33993 del 05/07/2010, Cannavale e altri, Rv. 248421 Sez. 5, Sentenza n. 21863 del 25/02/2014, Cattaneo, Rv. 260725 , é parimenti vero, ed é stato recentemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, che la previsione di cui all'art. 624-bis tutela i luoghi in cui si svolgano atti afferenti alla vita privata - ivi compresa quella lavorativa - delle persone, essendo pertanto necessario, ai fini della sua operatività, che nel luogo di commissione del furto possa essere concretamente prefigurata la presenza di qualcuno intento, anche in via occasionale, alle predette attività Sez. 5, Sentenza n. 18211 del 10/03/2015, Hadovic, Rv. 263458 in applicazione dei principio la Corte ha censurato la decisione del giudice di merito che ha ritenuto integrato il delitto di cui all'art. 624-bis cod. pen. nei confronti dell'imputato per avere commesso un furto all'interno di uno stabilimento industriale, durante la chiusura notturna, senza accertare concretamente che le caratteristiche dell'attività ivi normalmente svolta o, comunque, la consuetudine o le esigenze del ciclo produttivo richiedessero che taluno si trattenesse durante la chiusura notturna. Per la rilevanza del fatto che la condotta furtiva sia avvenuta in orario di apertura, vds. anche, fra le tante, la recente Sez. 2, Sentenza n. 24761 del 12/05/2015, Porcu, Rv. 264384 . A ciò deve aggiungersi che la sentenza impugnata, al pari di quella di primo grado, non si sofferma in alcun modo sulla natura dell'attività che si svolgeva all'interno del capannone e sulla concreta possibilità che all'interno di esso alcuno si trattenesse anche in ora notturna. Sarebbe stato, viceversa, necessario un approfondimento in merito alla riferibilità al caso di specie della nozione di privata dimora , che tenesse conto dell'utilizzo del capannone nell'ambito dell'attività dell'azienda da parte dei dipendenti o di altri soggetti, della frequenza e degli orari della presenza di costoro all'interno dello stesso, e più in generale del particolare disvalore attribuito dalla disposizione incriminatrice alle condotte furtive poste in essere in luoghi ove la possibile, concomitante presenza di persone, per esigenze tipiche della vita privata -ivi compresa quella lavorativa j determini una maggiore invasività e pericolosità di dette condotte. Detto approfondimento, in relazione alle considerazioni appena svolte, si appalesa pertanto necessario onde stabilire la configurabilità contestata dai ricorrenti anche in sede d'appello dell'ipotesi di reato addebitata, soprattutto in relazione alla natura del luogo e all'utilizzo dello stesso nell'ambito aziendale, anche avuto riguardo all'orario in cui la condotta fu posta in essere. 3. Gli ulteriori motivi di ricorso il terzo formulato nell'interesse di C. e C., ed ambedue quelli contenuti nel ricorso C. sono invece inammissibili. 3.1. Quanto al ritenuto decorso del termine di prescrizione, anche volendo prescindere dalla qualificazione del fatto ex art. 624 anziché ex art. 624-bis cod.pen., il motivo di ricorso é manifestamente infondato i ricorrenti non considerano che in base alla disciplina contenuta nella legge n. 251/2005 già vigente all'epoca dei fatto , che ha apportato significative modifiche all'istituto della prescrizione, il giudizio di bilanciamento delle aggravanti e della recidiva contestate agli imputati con le circostanze attenuanti generiche non riverbera alcun effetto sulla prescrizione, atteso che in base all'art. 157, comma 2, cod.pen., nel testo attualmente vigente, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell'aumento massimo di pena previsto per l'aggravante. Nella specie, pur dovendosi considerare la diminuente per il tentativo evidentemente nella sua minima estensione , per la determinazione del termine di prescrizione deve tenersi sicuramente conto della sussistenza dell'aggravante a effetto speciale di cui all'art. 624-bis ultimo comma, cod.pen. o, in caso di derubricazione ex art. 624, di quella di cui all'art. 625 ultimo comma cod.pen. , nonché della recidiva contestata a tutti e tre i ricorrenti, anch'essa assimilabile a una circostanza aggravante a effetto speciale. Ciò che esclude, in ogni caso, che il termine prescrizionale sia ad oggi maturato. 3.2. I motivi di ricorso formulati dal C. sono ambedue inammissibili perché affatto generici, oltreché manifestamente infondati in relazione alle congrue motivazioni contenute nella sentenza impugnata. Il ricorrente non ha fornito alcuna ragione che era suo onere allegare, in ottemperanza al principio di autosufficienza dei ricorso per cassazione ai fini dell'esclusione della sua penale responsabilità e della doverosità dell'applicazione in suo favore delle attenuanti generiche nella loro massima estensione. 4. In base a quanto precede, e in relazione ai motivi di accoglimento del secondo motivo di ricorso presentato nell'interesse degli imputati C. e C., la sentenza impugnata va annullata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna per nuovo esame, riferito in particolare alla configurabilità o meno dell'ipotesi di cui all'art. 624-bis cod.pen., in alternativa a quella di cui all'art. 624 cod.pen., in relazione agli elementi in precedenza evidenziati. Trattandosi di accoglimento di ricorso per motivo non riferito ai soli ricorrenti che l'avevano proposto, l'annullamento con rinvio giova anche all'imputato C., che non lo aveva dedotto in terminis Sez. 6, n. 46202 del 02/10/2013, Serio, Rv. 258155 P.Q.M. Annulla l'impugnata sentenza con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna, per nuovo esame.