Il giudice deve verificare la reale possibilità di pagamento

In tema di reato di omesso versamento di cauzione, previsto e punito dall’art. 76 d. lgs. n. 159/2011, l'impossibilità economica di far fronte all'obbligo di versamento della cauzione imposta, ai sensi dell'art. 3-bis della l. 31 maggio 1965, n. 575, previgente, al soggetto nei cui confronti sia stata applicata una misura di prevenzione, è deducibile anche nel giudizio penale instaurato a carico del medesimo soggetto per il reato costituito dall'inosservanza di detto obbligo, fermo restando l'onere dell'imputato di dimostrare che l'indisponibilità di mezzi economici non sia stata dolosamente preordinata o colposamente determinata.

Lo ha ribadito la Prima Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11936/2016, depositata il 21 marzo. L’impossibilità di adempiere Per la sentenza in commento, deve escludersi ogni ipotesi di responsabilità oggettiva, qualora il mancato versamento della cauzione dipenda da materiale impossibilità di provvedervi per mancanza di disponibilità economiche, non preordinata o colposamente determinata, in quanto in tal caso, essendo richiesta anche per le contravvenzioni almeno la colpa, ricorre l'esenzione di responsabilità. In argomento si registra, peraltro, un aperto contrasto. Conformemente alla massima annotata, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che, ai fini della sussistenza del reato di omesso versamento della cauzione a carico di appartenenti ad associazioni mafiose assoggettati a misura di prevenzione, la materiale impossibilità di adempimento, causata da mancanza di disponibilità economiche, può essere fatta valere sia nel procedimento di prevenzione, con l'impugnazione del decreto impositivo della misura o con la richiesta di revoca, sia in quello penale per l'accertamento del reato. In senso contrario, la Suprema Corte ha stabilito che le doglianze concernenti l'eccessività della cauzione che il soggetto si trovi a non poter versare, possano essere espresse soltanto con la richiesta di revoca della misura patrimoniale. In analoga sentenza, la Corte ha affermato che l'onore di allegazione può essere soddisfatto mediante la produzione di certificazioni redatte ai fini di ammissione al gratuito patrocinio. Peraltro, ai fini della sussistenza o meno del reato di cui all'art. 3- bis l. 31 maggio 1965, n. 575 oggi sostituito, come detto, con identica formulazione, dall’art. 76 d. lgs. n. 159/2011 , può assumere rilievo la sola impossibilità sopravvenuta di versare la cauzione imposta dal giudice della prevenzione, non anche l'impossibilità originaria, che può essere fatta valere unicamente nell'ambito dello stesso procedimento di prevenzione. Sul piano prescrizionale, la contravvenzione di inottemperanza all'ordine del Tribunale di versare la cauzione non ha natura di reato permanente, per cui, ai fini del calcolo del termine di prescrizione deve osservarsi come dies a quo la data ultima entro cui il deposito cauzionale deve essere eseguito. e la prova dell’impossidenza. In relazione al reato di omesso versamento della cauzione previsto dall'art. 3- bis , comma 1, l. 31 maggio 1965, n. 575, è onere dell'imputato provare o richiedere indagini volte ad acquisire elementi dai quali risulti che la materiale impossibilità di adempiere abbia i caratteri dell'assolutezza e non sia preordinata o colposamente determinata. Ciò in quanto la prova dell'impossibilità di provvedere al pagamento della cauzione, imposta a norma dell'art. 3- bis l. n. 575 del 1965, per indisponibilità di mezzi economici grava sull'imputato, il quale ha un onere di allegazione che non può dirsi soddisfatto dall'apodittica affermazione di versare in uno stato di indigenza, e comprende anche la facoltà di richiedere indagini volte ad acquisire elementi dai quali risulti che la materiale impossibilità di adempiere abbia i caratteri dell'assolutezza e non sia preordinata o colposamente determinata. Tale orientamento della Corte di Cassazione poggia sulla storica decisione della Corte Costituzionale n. 218/1998, per cui, in tema di misure di prevenzione, la prova dell'impossibilità di provvedere al pagamento della cauzione imposta a norma dell'art. 3- bis della l. 31 maggio 1965 n. 575 disposizioni contro la mafia , per indisponibilità di mezzi economici non preordinata né colposamente determinata, grava sull'imputato, il quale ha un onere di allegazione che non può dirsi soddisfatto dall'apodittica affermazione di versare in uno stato di indigenza. Per contro, la deduzione dell'impossibilità di adempiere l'obbligo di versamento della cauzione, imposta ex art. 3 l. n. 575 del 1965 al soggetto nei cui confronti sia applicata una misura di prevenzione, non comporta l'onere dell'accusa di provare gli specifici episodi di arricchimento del trasgressore. In ogni caso, l'impossibilità economica di far fronte all'obbligo di versamento della cauzione, imposta al soggetto nei cui confronti sia stata applicata una misura di prevenzione, è deducibile anche nel giudizio penale instaurato a carico del medesimo soggetto per il reato costituito dall'inosservanza di detto obbligo, e deve quindi essere verificata dal giudice penale a prescindere da quanto già compiuto dal giudice della prevenzione al momento della determinazione della somma da versare.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 28 aprile 2015 – 21 marzo 2016, n. 11936 Presidente Chieffi - Relatore Tardio Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Milano, con sentenza del 15 aprile 2014, ha confermato la sentenza del 4 dicembre 2012 del Tribunale di Milano, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva condannato alla pena di mesi cinque e giorni dieci di arresto P.D. , ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 3-bis, comma 4, legge n. 575 del 1965, oggi art. 76, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011, per avere omesso di versare la cauzione di euro quindicimila, posta a suo carico con il decreto del 20 luglio 2011 dello stesso Tribunale, notificato il 3 novembre 2011, che lo aveva sottoposto alla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per anni due e mesi sei. 1.1. Il Tribunale aveva ritenuto provata la colpevolezza dell’imputato in dipendenza del non contestato mancato pagamento della indicata somma nel termine di quindici giorni dalla notifica del decreto impositivo della misura, della inattendibilità della tesi difensiva circa l’impossibilità di pagamento per l’assenza di mezzi economici e del mancato assolvimento dell’onere dimostrativo della indisponibilità di tali mezzi. 1.2. La Corte di appello, che condivideva gli argomenti, che richiamava, posti dal Tribunale a fondamento della sua decisione, rimarcava, in particolare, che la prova della impossibilità di provvedere al pagamento della cauzione per indisponibilità di mezzi economici non preordinata né colposamente determinata gravava, sulla base di consolidati principi di diritto, sull’imputato, e tale onere non poteva ritenersi soddisfatto dall’affermazione del medesimo di versare in uno stato di indigenza. Assumendo rilievo non la impossibilità originaria di versare la cauzione, da far valere nell’ambito dello stesso procedimento di prevenzione, ma quella sopravvenuta, non erano valutabili positivamente le circostanze addotte dall’appellante e afferenti alla indisponibilità del capannone, alla esiguità delle somme depositate sulle due carte prepagate, non oggetto di confisca, e al mancato accumulo di quelle costituenti provento illecito della pregressa attività delittuosa nell’ambito dei reati contro il patrimonio. Né l’appellante aveva chiesto la rateizzazione della cauzione, ovvero provato di avere cercato di reperire fondi presso parenti o conoscenti o di avere richiesto sussidi o aiuti a enti pubblici o privati. 2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia avv. Valerio Spigarelli, l’imputato, che ne chiede l’annullamento sulla base di due motivi. 2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c , cod. proc. pen., in relazione all’art. 178, comma 1, lett. c , cod. proc. pen., e, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., in relazione all’art. 6, comma 3, lett. c , CEDU, con riferimento al suo diritto a partecipare all’udienza del 15 aprile 2014 dinanzi alla Corte di appello di Milano. Secondo il ricorrente, che rappresenta che per detta udienza era stata disposta la sua traduzione dal carcere, dove era detenuto per altra causa, ed era stata comunicata dal carcere la sua rinuncia a comparire per indisponibilità, la sua mancata partecipazione è dipesa dalla sua inidoneità alla traduzione per attacco dissenterico, come da certificazione medica, relativa agli esiti della sua visita delle ore 7,11 del 15 aprile 2014, mentre per mero errore l’Amministrazione penitenziaria ha trasmesso alla Corte di appello una comunicazione di sua asserita rinuncia a comparire. La non idoneità alla traduzione integra invece, ad avviso del ricorrente, una ipotesi di assoluta impossibilità a comparire, cui consegue la nullità del processo di appello e della sentenza alla luce del rilievo centrale prioritario della presenza dell’imputato al processo, derogabile solo ove lo stesso abbia espresso in modo inequivocabile la sua volontà di non presenziarvi, secondo i principi fissati dalla convenzione e dalla Corte EDU, dal Patto internazionale sui diritti civili e politici e dal legislatore italiano in sede di modifica dell’art. 175 cod. proc. pen Tale nullità, a regime intermedio perché attinente all’intervento dell’imputato in giudizio, è stata eccepita con il ricorso, perché, dopo la sentenza di appello, esso ricorrente ha appreso l’avvenuto svolgimento del processo e il suo difensore ha conosciuto il suo impedimento. 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., e violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., in relazione all’art. 76, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 già art. 3-bis, comma 4, legge n. 575 del 1965 , con particolare riferimento alla insussistenza dell’elemento soggettivo del reato, rilevata con specifico motivo di appello con cui era evocata la sua comprovata impossibilità di adempiere all’obbligazione cauzionale. Secondo il ricorrente, che ripercorre le ragioni poste a fondamento delle decisioni dei due gradi del giudizio e le deduzioni difensive opposte dinanzi al Tribunale e poi con l’atto di appello, la Corte è incorsa nei denunciati vizi per avere fatto applicazione di risalenti principi di diritto, da ritenere superati alla luce della operata lettura, costituzionalmente orientata, della norma incriminatrice, che, come osservato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 218 del 1998, richiamata da questa Corte con sentenza n. 39539 del 15 luglio 2011, configurerebbe una forma di responsabilità oggettiva, ove la sanzione potesse essere applicata anche per una omissione sostanzialmente incolpevole a persona non abbiente , e per avere omesso di motivare in ordine agli specifici motivi di impugnazione. La sentenza impugnata, ritenendo che le giustificazioni addotte dalla difesa non fossero neppure valutabili, non le ha neppure considerate, mentre, avrebbe dovuto rilevare che, anche ove si dovesse ritenere deducibile nel processo penale la sola impossibilità sopravvenuta di versare la cauzione, esso ricorrente aveva comunque allegato e provato fatti specifici dimostrativi di tale sopravvenienza, quali l’esiguità e la discontinuità del suo reddito, ‘indisponibilità di beni o somme di denaro dopo la confisca dell’intero patrimonio suo e della famiglia, e la impossibilità di un suo ricorso, per la patita confisca, al credito bancario. CONSIDERATOIN DIRITTO 1. Il primo motivo del ricorso è infondato. 1.1. La tesi del ricorrente, espressa con detto motivo, procede dalla riconosciuta correttezza della procedura seguita nella fissazione della udienza del 15 aprile 2014 per la trattazione del giudizio di appello, con la espressa previsione della sua traduzione dal carcere ove era detenuto per altra causa, e dalla non contestata celebrazione di detta udienza nella sua assenza per rinuncia a comparire per indisposizione. La eccepita nullità trova, invece, il suo fondamento - nello sviluppo della tesi difensiva - nella certificata non idoneità alla traduzione del ricorrente per la sua indisposizione, rilevata all’esito della visita medica in carcere delle ore 7.11 dello stesso giorno, e nella erronea trasmissione da parte dell’Amministrazione penitenziaria della comunicazione di asserita rinuncia a comparire , che, rilevate dopo la pronuncia della sentenza di appello, hanno inciso sul diritto del ricorrente a intervenire in udienza e per l’effetto sul suo diritto di difesa e sul principio del contraddittorio, garantiti da norme costituzionali e sovranazionali. 1.2. La carenza di giuridico pregio di tale prospettazione consegue al rilievo che la dichiarazione di rinuncia a comparire, con l’esplicitazione della sua ragione, è stata espressa dal ricorrente detenuto avvalendosi della facoltà della sua presentazione con atto ricevuto dal direttore dell’istituto penitenziario, prevista dall’art. 123 cod. proc. pen., che riconosce efficacia a tale dichiarazione come se fosse ricevuta direttamente dall’autorità giudiziaria, e al concorrente rilievo che di tale dichiarazione, immediatamente comunicata alla Corte di appello procedente, e non revocata, si è preso atto nel contraddittorio dell’unica udienza del processo di appello, in coerenza con il suo contenuto abdicativo e recettizio di atto processuale, cui è ricollegato l’effetto della legittimità dello svolgimento del processo in assenza dell’imputato che, anche se impedito, ha espressamente rinunciato ad assistervi ex art. 420-bis, comma 1, cod. proc. pen., richiamato, in quanto compatibile, dalla disposizione di cui all’art. 484 comma 2-bis, cod. proc. pen., per il giudizio di primo grado, e da osservarsi in grado di appello ai sensi dell’art. 598 cod. proc. pen. , con conseguente esonero per l’Autorità procedente di indagare sulle ragioni della stessa rinuncia. 2. È, invece, fondato il secondo motivo. 2.1. La Corte costituzionale con sentenza n. 218 del 1998 ha chiarito che la fattispecie prevista dall’art. 3-bis, commi 1 e 4, legge n. 575 del 1965 omesso versamento della cauzione nel termine stabilito dal giudice della prevenzione è soggetta alle regole ordinarie valevoli in tema di colpevolezza intesa quale rimproverabilità concreta dell’agente in materia penale, e che dall’operatività della disciplina dei criteri di imputazione soggettiva del reato, dettati dall’art. 42 cod. pen., discende che anche la contravvenzione in esame presuppone quanto meno la colpa, con l’ovvia conseguenza che la materiale impossibilità di provvedere al versamento della cauzione, causata dalla mancanza di disponibilità economiche, evidentemente non preordinata o colposamente determinata, comporta non una forma di responsabilità oggettiva, ma l’esenzione da responsabilità . L’indicato reato risulta attualmente previsto dall’art. 76 d.lgs. n. 159 del 2011 in termini del tutto corrispondenti alla previgente disposizione incriminatrice, restando punibile la condotta di inottemperanza anche colposa, così come restano attuali le considerazioni operate dalla Corte costituzionale nella suddetta decisione e i principi fissati da questa Corte, che ha più volte riconosciuto il rilievo della impossidenza a fini di esclusione della penale responsabilità, sempre che l’imputato assolva in concreto un onere di allegazione di circostanze idonee a rappresentare la condizione de qua tra le altre, Sez. 5, n. 39025 del 11/07/2008, dep. 16/10/2008, Iaffaldano, Rv. 242325 Sez. 1, n. 13521 del 03/03/2010, dep. 12/04/2010, Corso, Rv. 246830 . Tali considerazioni in diritto e la correlata affermazione che, a fronte di tale allegazione concreta, il giudice investito della decisione sulla responsabilità ha il potere/dovere di accertare la reale condizione economica del soggetto tratto a giudizio, sono stati ripresi nelle successive decisioni. Dette decisioni hanno ulteriormente rimarcato che la impossibilità economica di far fronte all’obbligo del versamento della cauzione, imposta in sede di applicazione della misura di prevenzione personale, è deducibile - oltre che nel procedimento di prevenzione con l’impugnazione del decreto impositivo della misura - anche nel giudizio penale, instaurato per il reato costituito dall’inosservanza di detto obbligo, e deve essere, quindi, verificata dal giudice penale a prescindere dalle verifiche già compiute dal giudice competente per il procedimento di prevenzione al momento della determinazione della somma da versare tra le altre, Sez. 5, n. 39359 del 15/07/2011, dep. 02/11/2011, Sardina, Rv. 251532 Sez. 1, n. 34128 del 04/07/2014, dep. 01/08/2014, Paraninfo, Rv. 260843 . 2.2. Nella specie, non si è fatta corretta applicazione dei detti condivisi principi. 2.2.1. A fronte, invero, dell’allegazione da parte del ricorrente di dati afferenti alla sua condizione economico-patrimoniale, e segnatamente alla indisponibilità del capannone di Trezzano sul Naviglio, alla esiguità delle somme depositate sulle carte prepagate e al mancato accumulo di somme derivanti da attività illecita, nei termini descrittivi contenuti nella stessa ordinanza, la Corte ha limitato le sue argomentazioni - al rilevo che gli elementi dedotti, in quanto già sussistenti all’epoca della emanazione del decreto genetico della misura, non erano valutabili nella pendente sede penale, assumendo ivi rilevanza la sola impossibilità sopravvenuta, e non quella originaria, azionabile nello stesso procedimento di prevenzione - all’ulteriore rilievo della omessa allegazione di circostanze dimostrative della veridicità dell’asserzione quali la richiesta di pagamento rateizzato, l’attivazione per il reperimento di fondi o di aiuti economici . In tal modo, la Corte del gravame di merito, che ha richiamato un arresto di questa Corte Sez. 2, n. 7165 del 08/01/2008, dep. 14/02/2008, Santarpia, Rv. 239445 , inserito in un orientamento teso a ricondurre ogni questione pertinente alla cauzione al procedimento di prevenzione in sede di applicazione ovvero di revoca della misura di prevenzione , non ha tenuto conto della rivisitazione critica cui tale orientamento è stato sottoposto, alla luce dei predetti principi enunciati dalla Corte costituzionale, e del diverso approdo ermeneutico cui questa Corte è pervenuta in coerenza con il disposto degli artt. 2 e 3 cod. proc. pen., in base ai quali il giudice penale risolve ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che si tratti di una questione pregiudiziale relativa allo stato di famiglia o alla cittadinanza. 2.2.2. Astenendosi dal confronto con le deduzioni e allegazioni difensive, inducenti quantomeno all’assolvimento del dovere di accertamento, non precluso dall’essere oggetto del giudizio la inosservanza dell’obbligo di versamento della cauzione imposta, e non la sua imposizione e quantificazione, la Corte di appello, erroneamente impostando il tema della decisione e limitandosi a escludere la valutabilità di elementi, dedotti in ricorso, perché sussistevano già all’epoca della emanazione del decreto impositivo della misura di prevenzione, ha eluso ogni tipo di verifica, che, prescindendo da quanto già fatto dal giudice della prevenzione con detto decreto o anche recuperandone i contenuti, desse conto della idoneità o meno delle circostanze allegate dal ricorrente a dimostrare in termini di concretezza la sua rappresentata mancanza di disponibilità economiche, non preordinata né colposamente determinata, e per l’effetto la sua materiale impossibilità di adempimento. 3. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata, a norma dell’art. 623 lett. c cod. proc. pen., con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che procederà a nuovo giudizio tenendo presenti i parametri normativi e i rilievi innanzi indicati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.