Outlet on the road: se contraffazione e ricettazione corrono insieme

Il disagio economico dell’ambulante straniero extracomunitario non integra le condizioni di attualità e inevitabilità del pericolo richieste per la scriminante dello stato di necessità.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 11007/2016 della Cassazione, depositata il 16 marzo. Il caso. Condannato con doppia conforme” per i reati di ricettazione e detenzione ai fini di vendita di prodotti con segni contraffatti, un cittadino extracomunitario ricorreva in Cassazione. I due reati possono pacificamente concorrere tra loro attesa la diversità ontologica la ricettazione incrimina la ricezione di cose provenienti da reato mentre l’art. 474 c.p. punisce la circolazione e la messa in circolazione di beni contraffatti. Inoltre, il reato di contraffazione può essere uno dei reati-presupposto della ricettazione. In particolare, l’uomo era stato trovato in possesso di 120 maglie e 49 paia di scarpe di provenienza illecita in quanto aventi marchi e segni distintivi contraffatti e non aveva saputo giustificarne il possesso. Veniva accusato e condannato per i reati di commercio di prodotti falsi e ricettazione. Merce destinata alla vendita. Per quanto non sorpreso nell’attività di vendita, la destinazione della merce alla vendita era desunta dalla sua commercializzazione, dal quantitativo e dalla varietà delle taglie rispetto al medesimo modello di prodotto. Non è necessaria la condotta di commercializzazione. Risulta dalla sentenza di primo grado – con cui quella di appello oggetto di ricorso si fonda e integra formando un’entità unica – che l’imputato aveva detenuto la merce sequestrata all’interno della sua autovettura dove era stata trovata dalla Guardia di Finanza. La Corte di Cassazione precisa che integra il reato contestato Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi anche l’attività di colui che detiene per la vendita i prodotti contraffatti al fine di trarne profitto, situazione che collima perfettamente con quella ascritta all’imputato e descritta nella sentenza di primo grado. Contraffazione grossolana? La difesa aveva sostenuto l’inquadramento della fattispecie contestata al c.d. reato impossibile, valorizzando la grossolanità del falso. Come noto, reato impossibile è quello la cui punibilità è esclusa quando l’evento dannoso o pericoloso è impossibile a cagione dell’inidoneità dell’azione o dell’inesistenza dell’oggetto. Facendo leva sulla asserita grossolanità del falso si deduceva l’inidoneità dell’azione a porre in pericolo il bene protetto. Di diverso avviso è la Suprema Corte che, aderendo all’orientamento maggioritario, afferma che integra il reato de quo anche la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto, senza che rilevi la configurabilità della contraffazione grossolana. Per quanto grossolana, la contraffazione è idonea a porre in pericolo la fede pubblica. La tutela della fede pubblica. La fattispecie incriminatrice, infatti, è posta a presidio, in via principale e diretta, della pubblica fede intesa come affidamento, da parte dei consociati, nei marchi o altri segni distintivi capaci di individuare opere dell’ingegno o prodotti industriali. Tali segni garantiscono, inoltre, la circolazione dei beni a tutela del titolare del marchio. I segni distintivi infatti attestano una particolare qualità e originalità dei prodotti sul mercato che fungono da parametri di valutazione e scelta da parte dei consumatori che ripongono affidamento. È reato di pericolo. Dalla natura di pericolo” del reato che tende ad anticipare la soglia della punibilità deriva che non occorre la realizzazione dell’inganno e che, nonostante la contraffazione sia grossolana e le condizioni di vendita tali da escludere di trarre in inganno gli acquirenti, non possa ritenersi sussistente il c.d. reato impossibile. Il dolo di ricettazione. Correttamente si è ritenuta integrata la fattispecie di ricettazione che richiede, ai fini del dolo, la consapevolezza della provenienza delittuosa dei beni, atteso che, nel caso in esame, l’imputato non aveva saputo fornire alcuna giustificazione in ordine al possesso di merce contraffatta. Nessuna derubricazione. La richiesta derubricazione in illecito amministrativo non può trovare soluzione affermativa. La Cassazione evidenzia che tale fattispecie si configura solo nei confronti dell’acquirente finale del prodotto contraffatto, cioè chi acquista il prodotto per uso personale. L’illecito amministrativo art. 1, comma 7, d.l. n. 35/2005 convertito in l. n. 80/2005 e modificato con l. n. 99/2009 non può trovare spazio nei confronti di soggetti detentori di merce contraffatta al fine di una successiva rivendita a terzi per scopo di lucro. La condizione di disagio economico scrimina? I giudici non ritengono configurabile l’invocata scriminante dello stato di necessità, valorizzando la carenza dei requisiti di attualità e inevitabilità del pericolo richiesti dalla norma del codice penale art. 54 . Argomentano sul punto che il fatto che l’imputato, soggetto extracomunitario, sia stato ammesso al gratuito patrocinio non configura i requisiti citati perché alle esigenze delle persone che versano in stato di disagio economico, secondo la Suprema Corte, è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale. La discussa prospettiva dello stato di necessità e il bisogno economico. La soluzione appare in linea con il panorama giurisprudenziale che si è occupato della questione che vede da un lato, il bisogno economico” e, dall’altro, il requisito dell’ inevitabilità-altrimenti” del pericolo attuale di un danno grave alla persona che legittima il fatto necessitato. Per quanto talvolta criticato, il richiamo della giurisprudenza che nega la sussistenza della scriminante invocata, è all’opportunità di far fronte alle carenze di soggetti bisognosi attraverso meccanismi e istituti sociali. Si obietta, infatti, che non sia sufficiente la possibilità ipotetica del ricorso a condotte penalmente lecite o indifferenti ma occorra considerare se le condotte alternative sussistano in concreto e se abbiano pari o analoga idoneità a salvare il bene in questione.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 20 gennaio – 16 marzo 2016, numero 11007 Presidente De Crescienzo – Relatore Sgadari Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Potenza, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lagonegro del 24/01/2013, riteneva il ricorrente responsabile dei reati di ricettazione e di detenzione ai fini di vendita di prodotti con segni contraffatti e lo condannava per quanto di ragione. 2.La Corte riteneva provata la responsabilità dell'imputato che non aveva saputo giustificare il possesso di 120 maglie e 49 paia di scarpe di provenienza illecita in quanto aventi marchi e segni distintivi contraffatti. La destinazione alla vendita di tale merce si ricavava, secondo la Corte, dalla sua commercializzazione, dal quantitativo, nonché dalla diversità di taglie afferenti il medesimo modello di prodotto. 3. Ricorre per cassazione l'imputato, per mezzo dei suo difensore, per i seguenti motivi 1 vizio di motivazione per avere la Corte d'Appello erroneamente ritenuto che l'imputato avesse posto in vendita la merce sequestratagli, con la conseguenza che non sarebbe configurabile il reato di cui all'art. 474 cod.penumero 2 vizio di motivazione consistente nel non avere ritenuto che la condotta di cui all'art. 474 cod. penumero , avrebbe configurato un reato impossibile, stante la grossolanità della contraffazione dei prodotti 3 vizio della motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo dei reato di ricettazione, quale conseguenza della circostanza che l'imputato non aveva posto in vendita i prodotti 4 violazione di legge per non avere ritenuto la sussistenza dello stato di necessità dell'imputato, dovuto alle sue precarie condizioni economiche 5 violazione di legge per non avere ritenuto sussistente, in vece del delitto di ricettazione, l'illecito amministrativo di cui all'art. 1, comma 7, del d.l. 14 marzo 2005 numero 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005 numero 80 e successivamente modificato dalla legge 23 luglio 2009 numero 99. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1.Quanto al primo motivo, è vero che dalla motivazione della sentenza della Corte di Appello non risulta del tutto chiaro se l'imputato avesse commercializzato i prodotti contraffatti, come si ricaverebbe dal passo della motivazione trasfuso in ricorso, ovvero avesse detenuto quei prodotti ai fini della vendita, come risulta da altro successivo passaggio motivazionale nel quale la Corte ricavava la finalizzazione alla vendita dal quantitativo della merce e dalla diversità delle taglie dei singoli prodotti. Tuttavia, trattandosi di cosiddetta doppia conforme in punto di responsabilità dell'imputato, è pacifico, nella giurisprudenza della Corte di cassazione, che le motivazioni della sentenza d'appello e di quella di primo grado si integrino reciprocamente formando un'unica entità da ultimo, Sez.3, numero 44418 del 16/07/2013, Argentieri Sez.3, numero 13926 del 01/12/2011, Valerio . Orbene, risulta a chiare lettere dalla motivazione della sentenza di primo grado, che l'imputato non aveva commercializzato la merce sequestratagli, quanto, piuttosto, l'aveva detenuta all'interno della sua autovettura ove era stata ritrovata dalla Guardia di Finanza. Tale circostanza, però, non fa venir meno il reato di cui all'art. 474 cod. penumero , integrato anche dall'attività di colui che detiene per la vendita i prodotti contraffatti al fine di trarne profitto, come correttamente era stato contestato al ricorrente e ritenuto in entrambi i giudizi di merito, a parte il refuso motivazionale contenuto nella sentenza di secondo grado e citato nel ricorso. 2. Quanto alla rilevanza della grossolanità del falso ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 474 cod. penumero come reato impossibile, secondo quanto dedotto nel secondo motivo di ricorso, la Corte aderisce all'orientamento di gran lunga maggioritario della giurisprudenza di legittimità, secondo cui integra il delitto di cui all'art. 474 cod. penumero , la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto, senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione grossolana, considerato che l'art. 474 cod. penumero tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell'acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell'ingegno ed i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela dei titolare del marchio si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell'inganno non ricorrendo quindi l'ipotesi dei reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno Sez. 5, numero 5260 dei 11/12/2013, dep.2014, Faje Sez. 2, numero 20944 del 04/05/2012, Diasse . 3 In ordine al terzo motivo, la circostanza che l'imputato sia stato trovato nel possesso della merce contraffatta e non abbia fornito alcuna giustificazione in ordine a tale possesso, integra pacificamente il dolo del delitto di ricettazione, poiché consente di ritenere provata la consapevolezza della provenienza delittuosa dei beni da ultimo, Sez. 1, numero 13599 dei 13/03/2012, Pomella . 4. In relazione alla dedotta sussistenza della scriminante dello stato di necessità, di cui al quarto motivo di gravame, la condizione di disagio economico dell'imputato, desumibile dalla sua condizione di soggetto extracomunitario e dal fatto di essere stato ammesso al gratuito patrocinio, non configurano, secondo il condivisibile insegnamento della Corte di cassazione, l'attualità ed inevitabilità del pericolo richiesti dall'art. 54 cod. penumero , atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale Sez. 6 numero 27049 del 19/03/2008, Niang . 5 Infine, in relazione alla derubricazione della ricettazione nell'illecito amministrativo indicato dal ricorrente, invocata con l'ultimo motivo di gravame, essa è da escludersi per la semplice ragione che l'illecito amministrativo, come recita l'art. 1, comma 7, del d.l. 14 marzo 2005 numero 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005 numero 80 e successivamente modificato dalla legge 23 luglio 2009 numero 99, si configura solo nei confronti del cosiddetto acquirente finale dei prodotto contraffatto, cioè di colui che acquista il prodotto solo a livello e per uso personale pertanto, non nei confronti dei soggetti, come l'imputato, detentori della merce contraffatta al fine di una successiva rivendita a terzi per scopi di lucro. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.