Telecamera nascosta nel bagno del Comune: contestabile il reato di “molestie alle persone”

Sotto accusa un dipendente, che ha piazzato l’‘occhio elettronico’ per ottenere immagini delle zone intime di colleghi e colleghe. Ridefinita la contestazione originaria da interferenze illecite nella vita privata” a violenza privata” a molestie alle persone”. Ciò rende applicabile la prescrizione, che salva l’uomo.

‘Occhio elettronico’ piazzato nel bagno del Comune. Nessuna ragione di sicurezza, però la telecamera nascosta, difatti, serve a soddisfare le insane manie di un dipendente, desideroso di avere immagini hot sia delle colleghe che dei colleghi. Evidente l’abuso compiuto. L’uomo, però, riesce a salvarsi la condotta viene catalogata come semplici molestie alle persone”, e scatta la prescrizione del reato Cassazione, sentenza n. 10418/16, sezione Quinta Penale, depositata l’11 marzo . Immagini. Ricostruita nei dettagli la morbosa vicenda. Evidente, e non discutibile, la responsabilità dell’uomo. Egli, dipendente di un Comune, ha pensato bene di installare sotto il lavandino di un bagno – peraltro accessibile anche al pubblico – una telecamera per procurarsi immagini intime delle colleghe e dei colleghi . Consequenziale la condanna, sia in Tribunale che in appello, per il reato di violenza privata . Per i giudici, però, non si può sostenere l’ipotesi di interferenze illecite nella vita privata . Ma ora viene messa in discussione anche la visione adottata dai giudici di merito per inquadrare l’assurda condotta dell’uomo. Per i Magistrati della Cassazione, difatti, non si può parlare di violenza, né di lesione alla riservatezza delle persone. Molto più semplicemente, bisogna catalogare l’abuso compiuto dal lavoratore come mere molestie alle persone . E ciò, una volta preso atto che il reato è stato commesso fino a settembre 2009, rende applicabile la prescrizione . Per la gioia, ovviamente, del dipendente del Comune.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 15 ottobre 2015 – 11 marzo 2016, n. 10418 Presidente Vessichelli – Relatore Caputo Ritenuto in fatto Con sentenza del 22/09/2011, il Tribunale di Camerino, all'esito dei giudizio abbreviato, ha condannato M.C. alla pena di giustizia, avendolo ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 610 cod. pen., così riqualificato il fatto imputatogli a norma dell'art. 615-bis cod. pen., per avere - fino al 25/09/2009 - installato sotto il lavandino di un bagno una telecamera per procurarsi immagini delle zone intime delle colleghe e dei colleghi. Investita dell'appello dell'imputato, la Corte di appello di Ancona, con sentenza del 05/02/2013, ha ridotto la pena irrogata, riformato le statuizioni relative alla confisca e confermato nel resto la sentenza impugnata. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Ancona ha proposto personalmente ricorso per cassazione M.C., prospettando la sussunzione dei fatto nel reato di cui all'art. 660 cod. pen. Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato, dal momento che l'art. 610 cod. pen. sanziona certamente la violenza impropria, ossia quella esplicabile in forme molteplici, dirette ad esercitare pressioni sulla volontà altrui al fine di impedire una libera manifestazione di volontà v., ad es., Sez. 5, n. 11522 dei 03/03/2009, Fabro, Rv. 244199 , ma appunto richiede siffatta finalistica correlazione. Nel caso di specie, invece, la condotta dell'imputato non era diretta certamente ad alterare il processo formativo della altrui volontà e certo non, ad es., ad impedire che l'utente interrompesse l'utilizzazione dei bagno, secondo la conclusione della Corte territoriale , né a turbarne la libertà psichica, ma piuttosto a conseguire immagini, attraverso l'impiego di mezzi subdoli di captazione, che non presupponevano alcuna consapevolezza della persona offesa. Non è dunque ravvisabile, per le specifiche modalità della condotta, un risultato costrittivo. Escluso che, nel caso di specie, possa configurarsi il diverso delitto di cui all'art. 615-ter, per l'assorbente ragione che il bagno nel quale era installata la telecamera era accessibile sia al pubblico che al personale dipendente dei Comune, con conseguente non identificabilità di uno dei luoghi indicati dall'art. 614 cod. pen., la condotta va sussunta nella fattispecie di cui all'art. 660 cod. pen. 2. Per effetto della riqualificazione del fatto come reato di molestie, deve prendersi atto che il reato, contestato come commesso sino al 25/09/2009, si è ormai estinto per prescrizione, con la conseguenza che la sentenza impugnata va, per tale causa, annullata senza rinvio. P.Q.M. Qualificato il fatto come reato di molestie ex art. 660 cod. pen., annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.