Quando può dirsi violato il diritto di difesa?

Si configura una compressione del diritto di difesa se, nonostante la richiesta del difensore, venga negato l’accesso alle registrazioni su cui si basa l’emissione del provvedimento limitativo della libertà personale.

E’ quanto affermato dalla Cassazione, con la sentenza n. 9158/16, depositata il 4 marzo scorso. Il caso. I ricorrenti adiscono la Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Firenze, la quale confermava il provvedimento emesso dal gip che predisponeva la misura di custodia cautelare in carcere per i numerosi episodi di spaccio di stupefacenti commessi dagli imputanti. Motivo del ricorso è l’asserita violazione del diritto di difesa, scaturita dal mancato deposito, assieme alla richiesta di applicazione delle misura cautelari da parte del pm, dei supporti informatici o analogici che contengono le registrazioni audio o video poste a fondamento della richiesta stessa. La necessità del deposito delle intercettazioni per la Corte Costituzionale. Il Collegio di legittimità per dirimere la questione sottoposta alla sua attenzione, richiama gli orientamenti sulla questione della Corte Costituzionale Corte Cost., n. 336/2008 e della stessa Cassazione Cass., n. 20300/10 . La Consulta riconosce la possibilità per il pubblico ministero di depositare solo i brogliacci a supporto di una richiesta di custodia cautelare dell’indagato, se giustificata dall’esigenza di procedere senza indugio alla salvaguardia delle finalità che il codice di rito assegna a tale misura, non può limitare il diritto della difesa di accedere alla prova diretta, allo scopo di verificare la valenza probatoria degli elementi che hanno indotto il pubblico ministero a richiedere ed il giudice ad emanare un provvedimento restrittivo della libertà personale . Le specificazione della Cassazione. Per quanto riguarda l’orientamento assunto dalla giurisprudenza cassazionista Cass., n. 20300/10 , questo non si discosta affatto dall’orientamento della Corte Costituzionale. La Cassazione rimarca la necessità di garantire l’interesse all’esercizio della difesa, che è possibile esplicare solo attraverso la conoscenza, da parte del difensore, del contenuto delle registrazioni su cui si fonda il provvedimento cautelare. La Corte di legittimità specifica che sono conoscibili solo le intercettazioni che riguardano l’imputato e la richiesta di emissione del provvedimento cautelare. Inoltre, sottolinea che tale diritto è esercitabile dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone la misura cautelare personale , quindi è possibile fino alla proposizione della richiesta di riesame. Dunque, se al difensore sia stato impedito il diritto di accesso alla registrazioni su cui si basa l’emissione del provvedimento limitativo della libertà personale, questo non determina la nullità del provvedimento impositivo, né inficia l’utilizzabilità degli esiti delle intercettazioni, né comporta la perdita d’efficacia delle misura cautelari. Invece, determina un vizio di procedimento di acquisizione della prova, che fa conseguire una nullità di ordine generale a regime intermedio, sanabile ex artt. 180, 182, 183 c.p.p Secondo la Corte gli atti di intercettazione sono in sé pienamente validi e potranno essere considerati elementi probatori non appena le difese avranno la concreta possibilità di prenderne cognizione diretta e non limitata agli schemi riassuntivi ed alle trascrizioni effettuate dalla p.g. . Mancanza del deposito e non lesione del diritto di difesa. Nel caso di specie, tuttavia, la Cassazione rileva che mai i ricorrenti hanno chiesto che le riprese video fossero da loro visionate o che fosse loro consegnata una copia del relativo file . Pertanto, non è possibile rilevare una lesione del diritto di difesa. Infatti, i ricorrenti denunciano la semplice mancanza del deposito delle registrazioni video, senza individuare alcuna effettiva lesione del diritto di difesa. Per questi motivi la Corte di Cassazione ha deciso di rigettare il ricorso e condannare i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 febbraio – 4 marzo 2016, n. 9158 Presidente Grillo – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 18/8-14/9/2015, il Tribunale del riesame di Firenze rigettava i ricorsi proposti da E.A.D. , E.A.A. , E.A.K. e E.A.N. avverso il provvedimento emesso dal locale Giudice per le indagini preliminari il 1/7/2015 e, per l’effetto, confermava a carico degli stessi la misura cautelare della custodia in carcere ai soggetti in esame erano contestati plurimi episodi ex art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per aver spacciato in numerosissime occasioni sostanza stupefacente del tipo cocaina. 2. Propongono ricorso per cassazione i quattro indagati, a mezzo del proprio difensore, deducendo - con unico, complesso motivo - l’illogicità della motivazione in ordine alla utilizzabilità delle video riprese realizzate dalla polizia giudiziaria. In sintesi, tali immagini - pacificamente asse portante dell’intera indagine - non sarebbero state depositate dal pubblico ministero all’atto della richiesta della misura cautelare, né sarebbero mai pervenute nel fascicolo del G.i.p. o, successivamente, del Tribunale del riesame, che quindi non ne avrebbero mai presa visione in tal modo, si sarebbe realizzata una grave e palese violazione dei diritti della difesa, che - al pari dei Giudici - non sarebbe stata posta nelle condizioni di visionare questo fondamentale mezzo di ricerca della prova. Così, pertanto, negandosi fondatezza all’assunto sia della Corte costituzionale, di cui alla sentenza 10 ottobre 2008, n. 336, sia delle Sezioni Unite di questa Corte, di cui alla sentenza n. 20300 del 22/4/2010, Lasala pronunce che avrebbero riconosciuto il carattere incondizionato del diritto, in capo al difensore, di prendere visione ed estrarre copia del supporto contenente le immagini o le registrazioni audio , che pertanto dovrebbero esser depositate agli atti dal pubblico ministero a prescindere da una esplicita richiesta in tal senso da parte del legale, come invece sostenuto dal Tribunale del riesame. Considerato in diritto 3. I ricorsi risultano infondati. La questione posta al centro del riesame e, poi, dell’odierno giudizio riguarda la necessità o meno - in capo al pubblico ministero - di depositare, in uno con la richiesta di applicazione di misure cautelari, anche i supporti informatici o analogici contenenti le intercettazioni audio o le riprese video poste a fondamento della richiesta, per consentirne l’ascolto o la visione anche al Giudice e di seguito, se del caso, al Tribunale del riesame quel che, pacificamente, non è avvenuto nel caso di specie, nel quale le immagini riprese nell’abitazione degli E.A. - ritenute decisive per formulare l’imputazione a loro carico - non sono state mai visionate dal G.i.p. o dal Collegio del riesame perché mai depositate dal pubblico ministero , i quali, quindi, ne hanno avuto contezza soltanto per quanto di esse descritte nell’informativa conclusiva redatta dalla polizia giudiziaria. Orbene, ritiene il Collegio che a tale quesito occorra fornire risposta nei termini che seguono, proprio alla luce del richiamato contenuto della sentenza Corte cost. n. 336 del 2008 e, di lì a poco, della pronuncia emessa dalle Sezioni Unite di questa Corte il 22/4/2010, n. 20300, ric. Lasala da leggere - entrambe - con riguardo alla specifica e peculiare vicenda in esame. 4. In particolare, con la decisione n. 336, il Giudice delle leggi ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 268 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate. In questa pronuncia - come peraltro ricordato dalle Sezioni Unite Lasala - la Corte costituzionale ha affermato che in caso di incidente cautelare, se il pubblico ministero presenta al giudice per le indagini preliminari richiesta di misura restrittiva della libertà personale, può depositare, a supporto della richiesta stessa, solo i brogliacci e non le registrazioni delle comunicazioni intercettate e che la trascrizione anche quella peritale non costituisce la prova diretta di una conversazione, ma va considerata solo come un’operazione rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove acquisite mediante la registrazione fonica . La Corte, quindi, ha rilevato come l’ascolto diretto delle conversazioni o comunicazioni intercettate non possa essere surrogato dalle trascrizioni effettuate, senza contraddittorio, dalla polizia giudiziaria, le quali possono essere, per esplicito dettato legislativo art. 268, comma 2, cod. proc. pen, , anche sommarie , sostenendo che la possibilità per il pubblico ministero di depositare solo i brogliacci a supporto di una richiesta di custodia cautelare dell’indagato, se giustificata dall’esigenza di procedere senza indugio alla salvaguardia delle finalità che il codice di rito assegna a tale misura, non può limitare il diritto della difesa di accedere alla prova diretta, allo scopo di verificare la valenza probatoria degli elementi che hanno indotto il pubblico ministero a richiedere ed il giudice ad emanare un provvedimento restrittivo della libertà personale . La sentenza ha, altresì, considerato che, in caso di richiesta ed applicazione di misura cautelare personale , le esigenze di segretezza per il proseguimento delle indagini e le eventuali ragioni di riservatezza sono del tutto venute meno in riferimento alle comunicazioni poste a base del provvedimento restrittivo, il cui contenuto è stato rivelato a seguito della presentazione da parte del pubblico ministero, a corredo della richiesta, delle trascrizioni effettuate dalla polizia giudiziaria e dunque, la lesione del diritto di difesa garantito dall’art. 24, secondo comma, Cost., si presenta nella sua interezza, giacché la limitazione all’accesso alle registrazioni non è bilanciata da alcun altro interesse processuale riconosciuto dalla legge . Di seguito, la sentenza n. 336 del 2008 ha sottolineato che l’interesse costituzionalmente protetto della difesa è quello di conoscere le registrazioni poste alla base del provvedimento eseguito, allo scopo di esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali dal che la conclusione per cui i difensori devono avere il diritto incondizionato ad accedere, su loro istanza, alle registrazioni poste a base della richiesta del pubblico ministero e non presentate a corredo di quest’ultima, in quanto sostituite dalle trascrizioni, anche sommarie, effettuate dalla polizia giudiziaria . Con la precisazione che il diritto all’accesso implica, come naturale conseguenza, quello di ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni medesime . 5. Orbene, come ben affermato anche nell’ordinanza impugnata, questa fondamentale pronuncia è stata poi ripresa dal Supremo Collegio di legittimità con la citata sentenza Lasala del 2010, ancora in tema di intercettazioni telefoniche della stessa debbono esser qui ripresi i passaggi fondamentali, certamente valevoli anche con riguardo alle riprese video, autorizzate nei medesimi termini di quelle auditive. In particolare, e rimandando al testo integrale della sentenza, particolarmente diffusa ed approfondita, il Supremo Collegio ha nell’occasione precisato che 1 l’accesso alle registrazioni delle conversazioni captate serve a rendere effettivo e completo l’esercizio del diritto di difesa della parte, come chiarito nella suindicata sentenza del Giudice delle leggi, giacché l’interesse costituzionalmente protetto della difesa è quello di conoscere le registrazioni poste alla base del provvedimento eseguito, allo scopo di esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali e l’interesse in questione può essere assicurato con la previsione del diritto dei difensori ad accedere alle registrazioni in possesso del pubblico ministero . L’acquisizione di quei dati, dunque, è finalizzateli., proprio al controllo della legittimità della misura genetica emessa nei confronti dell’indagato e proprio tale scrutinio è demandato al Giudice del riesame 2 il diritto alla acquisizione della copia - riconosciuto in capo al solo difensore - può concernere solo le intercettazioni i cui esiti captativi siano stati posti a fondamento della richiesta della emissione del provvedimento cautelare non altri, né, tantomeno, diversi esiti captativi che concernono persone diverse dall’indagato, e che non rilevano al fine di valutare la posizione indiziarla di quest’ultimo 3 tale diritto è esercitabile dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, come espressamente specificato dalla Corte Costituzionale. Essendo esso finalizzato ad esperire efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali , non è dato individuare un termine ad quem nella proposizione dell’atto che quel rimedio sollecita, in particolare nella proposizione della richiesta di riesame, nel senso, cioè, che quella istanza debba necessariamente intervenire prima della richiesta di riesame nessun termine perentorio al riguardo è ravvisabile ai sensi dell’art. 173 cod. proc. pen. la richiesta di riesame può non enunciare i motivi della sua proposizione art. 309, sesto comma, cod. proc. pen. e può riguardare anche profili ulteriori e diversi da quello in questione 4 tale diritto è configurato come incondizionato , rilevandosi che le esigenze di segretezza per il proseguimento delle indagini e le eventuali ragioni di riservatezza sono del tutto venute meno in riferimento alle comunicazioni poste a base del provvedimento restrittivo, il cui contenuto è stato rivelato a seguito della presentazione da parte del pubblico ministero, a corredo della richiesta, delle trascrizioni effettuate dalla polizia giudiziaria. E, proprio da tanto, la Corte costituzionale - richiamata dalle Sezioni Unite - ha tratto la conclusione che la pregressa normativa, che tale accesso in quella fase e stato del procedimento non assicurava, ledeva il diritto di difesa costituzionalmente presidiato dall’art. 24, secondo comma, Cost., ed il principio di parità delle parti nel processo sancito dall’art. 111, secondo comma, della Carta fondamentale. Con la precisazione che l’inottemperanza a tale obbligo può comportare responsabilità disciplinari, stante il dovere di osservanza delle norme processuali richiamato dall’art. 124 cod. proc. pen. e, ove ne sussistano le condizioni di legge, anche penali 4 ove il pubblico ministero non ottemperi tempestivamente alla richiesta di accesso alle registrazioni e di trasposizione su nastro magnetico delle conversazioni o comunicazioni captate, perché la circostanza possa rilevare nel procedimento incidentale de libertate la parte ha l’onere di specifica allegazione e documentazione al riguardo, in quella sede 5 ove il rilievo sia stato, invece, specificamente e documentalmente proposto al giudice del riesame, questi può esercitare sul punto poteri officiosi, ovviamente in tempi utili per l’espletamento delle conseguenti incombenze. Fino a concludere, quindi, che ove al difensore sia stato ingiustificatamente impedito il diritto di accesso alle registrazioni poste a base della richiesta del pubblico ministero, tanto non determina la nullità del genetico provvedimento impositivo, legittimamente fondato sugli atti a suo tempo prodotti a sostegno della sua richiesta dal P.M. non comporta la inutilizzabilità degli esiti delle captazioni effettuate, perché questa scaturisce solo nelle ipotesi indicate dall’art. 271, primo comma, cod. proc. pen. non comporta la perdita di efficacia della misura, giacché la revoca e la perdita di efficacia della misura cautelare conseguono solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge artt. 299, 300, 301, 302, 303, 309, decimo comma, cod. proc. pen. . Determina, invece, un vizio nel procedimento di acquisizione della prova per la illegittima compressione del diritto di difesa e non inficia l’attività di ricerca della stessa ed il risultato probatorio, in sé considerati. Esso comporta, quindi, una nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178, lett. c , cod. proc. pen., soggetta al regime, alla deducibilità ed alle sanatorie di cui agli artt. 180, 182 e 183 cod. proc. pen Ove tale vizio sia stato ritualmente dedotto in sede di riesame ed il Giudice definitivamente lo ritenga, egli non potrà fondare la sua decisione sul dato di giudizio scaturente dal contenuto delle intercettazioni riportato in forma cartacea, in mancanza della denegata possibilità di riscontrarne la sua effettiva conformità alla traccia fonica. Esso, difatti, è stato, bensì, legittimamente considerato, nella sua forma cartacea, al momento della emissione del provvedimento cautelare ma, dovendo, poi, il tribunale distrettuale ri esaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti quel provvedimento, la difensiva richiesta di accesso depriva quel dato di definitiva valenza probatoria, nella sua presunzione assoluta di conformità, che rimane non verificata prima che si dia ingresso e concreta attuazione alla espressa richiesta della parte in tal senso formulata. In sede di riesame il dato assume tale connotazione di definitività probatoria solo quando la parte sia stata posta in condizione di verificare quella conformità, esercitando il richiesto diritto di accesso. Deve condividersi, perciò, l’approdo cui è pervenuta la sentenza della II Sez., 18 dicembre 2009, n. 4021/2010, secondo cui gli atti di intercettazione sono in sé pienamente validi e potranno essere considerati elementi probatori non appena le difese avranno la concreta possibilità di prenderne cognizione diretta e non limitata agli schemi riassuntivi ed alle trascrizioni effettuate dalla p.g. . Il giudice del riesame, quindi, in presenza di tale accertata patologia, non potrà utilizzare quel dato nel procedere alla valutazione della prova in tal senso ed a tali fini quel dato, perciò, rimane in quella sede inutilizzabile . 6. Orbene, tutto ciò premesso, ribadito e condiviso, rileva la Corte che il Tribunale di Firenze - richiamati gli stessi termini ermeneutici della questione ha ben evidenziato che, nel caso di specie, il difensore non ha richiesto la trasposizione su supporto informatico delle video riprese riportate nella informativa conclusiva, n.d.e. e pertanto il richiamo alla giurisprudenza sopra esaminata è assolutamente inconferente circostanza pacifica, che i ricorrenti vorrebbero degradare ad elemento di puro contorno e nient’affatto rilevante, ma che, per contro, costituisce il cardine della questione che occupa, negli stessi termini nei quali ha costituito il necessario presupposto di entrambe le pronunce appena riportate. In particolare, deve affermarsi che in tanto può esser denunciata - e, se del caso, ravvisata - un’effettiva lesione/compressione del diritto di difesa con le citate conseguenze, nel caso di specie, in tema di nullità ex art. 178, lett. c , cod. proc. pen. , in quanto dello stesso sia stato illegittimamente ed immotivatamente negato l’esercizio, sia pur sollecitato nei termini e nei modi consentiti esercizio, nel caso in esame, invece giammai avvenuto, poiché mai i ricorrenti hanno chiesto che le riprese video – si ribadisce, già descritte nell’informativa - fossero da loro visionate o che fosse loro consegnata una copia del relativo file. Dal che, l’infondatezza della doglianza difensiva, già in sede di riesame, in quanto proposta senza individuare alcuna effettiva lesione patita in ordine al diritto di difesa, ma fondata apoditticamente, ex se, sul solo mancato deposito, da parte del pubblico ministero, del file video o supporto simile quel che - in assenza di una richiesta di visione o di trasposizione in copia - non assume invece alcun rilievo nell’ottica denunciata come peraltro già affermato da questa Corte in tema di intercettazioni telefoniche, Sez. 3, n. 19198 del 5/2/2015, Fiorenza, Rv. 263798, a mente della quale, con specifico riferimento alla violazione del diritto di difesa, è sufficiente osservare che il Tribunale ha correttamente evidenziato che era onere della parte, ove interessata, richiedere presso la cancelleria del pubblico ministero di estrarre copia dei supporti magnetici contenenti le registrazioni al fine di verificarne la rispondenza rispetto a quanto riportato nella comunicazione di notizia di reato cosa che nel caso di specie non risulta avvenuta. Nessuna lesione del diritto di difesa si è, perciò, verificata, anche in considerazione del fatto che la mancata corrispondenza tra i supporti delle intercettazioni e i brogliacci di polizia giudiziaria risulta meramente ipotizzata . I ricorsi, pertanto, debbono essere rigettati, ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali. La Corte dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen