La Cassazione tratteggia i confini delle fattispecie di cui agli artt. 2, 3 e 11 d.lgs.74/2000, dopo la recente novella

Tutti i comportamenti tenuti dall’agente prima della presentazione della dichiarazione, ivi comprese le condotte di acquisizione e registrazione, nelle scritture contabili, di fatture o documenti fittizi ovvero di false rappresentazioni, anche con uso di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, sono irrilevanti ai fini penali e non possono dare luogo nemmeno ad una forma di tentativo punibile, in quanto per la configurabilità dei reati in esame è indispensabile la presentazione della dichiarazione e l’effettivo inserimento nella stessa degli elementi fittizi.

E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8668/2016, depositata il 3 marzo. Con la stessa pronuncia il Collegio ha chiarito i limiti della fattispecie delineata dall’art. 11, d.lgs. n. 74/2000 affermando il seguente principio Il delitto di cui all’art. 11 d.lvo 74/2000 è caratterizzato dal dolo specifico, posto che la azione simulata o il compimento di atti fraudolenti, idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, nei quali la condotta sanzionata consiste, devono essere finalizzati alla sottrazione al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a suddette imposte, sicchè deve ritenersi che una condotta il cui risultato economico fosse destinato ad andare, anziché a detrimento, addirittura a beneficio dell’erario, non potrebbe dirsi accompagnata dal dolo specifico de quo, indipendentemente dal fatto che le imposte in tal modo pagate fossero quelle per le quali sia eventualmente pendente una azione di riscossione od altre . Una pronuncia poliedrica. Con la lunga sentenza in commento la Cassazione si pronuncia su una serie di questioni interpretative di grande interesse sul campo di applicazione delle fattispecie di cui agli art. 2, 3 e 11 del d.lgs. n. 74/2000, dopo la recente novella che ha riformato la normativa penale tributaria. L’occasione è data, come ormai sempre più di frequente avviene, da un ricorso per Cassazione avverso ordinanza del tribunale del riesame in tema di sequestro preventivo diretto e sequestro preventivo per equivalente finalizzato alla confisca a seguito della ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti di reati tributari. Le fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte Procedendo secondo l’ordine seguito dalla articolata motivazione della sentenza in commento, il primo argomento trattato dagli Ermellini attiene alla definizione del campo di applicazione della fattispecie di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74/2000. Si duole, infatti, il ricorrente della ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti del reato de quo nella alienazione di una imbarcazione a favore di una società estranea alla procedura di riscossione coattiva che aveva colpito l’indagato. L’essenza della doglianza difensiva si fonda sul rilievo che la alienazione sarebbe avvenuta – come comprovato da una perizia giurata – ad un prezzo addirittura superiore al suo valore commerciale, e che il provento di detta alienazione sarebbe stato integralmente destinato al pagamento di imposte, come comprovato dalla difesa in sede di riesame. Il giudice della impugnazione nel merito aveva, infatti, rigettato la doglianza evidenziando la natura simulata della alienazione stante la comprovata riconducibilità della società acquirente alla persona dell’alienante e la costituzione della società solo pochissimi giorni prima della compravendita e ritenendo irrilevante sia la congruità del prezzo pagato effettivamente corrispondente al valore della imbarcazione , sia l’avvenuta comprovata destinazione di detto ricavato al pagamento di imposte. Secondo il tribunale del riesame, infatti, la destinazione di detta somma al pagamento di altra imposta rispetto a quella per cui si era avviata la procedura di riscossione rendeva irrilevante tale fatto. il rilievo decisivo del dolo specifico . È proprio tale ultimo argomento che non passa il vaglio della Suprema Corte. Osservano, infatti, gli Ermellini che le condotte simulate o fraudolente pur sussistenti nel caso di specie non rilevano di per sé, ma solo in quanto finalizzate alla sottrazione al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a suddette imposte. Orbene, poiché nel caso di specie le somme ricavate da detta alienazione, come ha comprovato la difesa, sono state effettivamente destinate al pagamento di imposte, non può certo affermarsi che nell’ipotesi in esame sia stato perseguito lo scopo individuato specificamente dalla fattispecie incriminatrice. A nulla rileva, osserva la Cassazione, smentendo sul punto il giudice di merito, che le somme siano state destinate a pagare proprio quelle imposte per cui si era avviata la procedura di riscossione ovvero altre imposte le somme sono state comunque destinate a soddisfare in concreto un interesse erariale e, dunque, l’operazione non poteva essere finalizzata a danneggiare o mettere in pericolo il medesimo interesse. La struttura dei delitti di cui agli artt. 2 e 3. Altra interessante osservazione compie la Cassazione in merito alla struttura delle fattispecie criminose previste dagli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 74/2000. Rilevano, infatti, gli Ermellini che entrambe le previsioni legislative tratteggiano due delitti a struttura bifasica, con sviluppo in due momenti diversi. Vi è una prima fase caratterizzata da una mera attività preparatoria, propedeutica e strumentale alla realizzazione del reato. Nell’art. 2 detta fase si risolverebbe nella registrazione nelle scritture contabili ovvero nella detenzione a fini di prova di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Nell’art. 3, invece, sarebbe integrata dalla falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e dall’avvalersi di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento di tale falsità. In entrambe le fattispecie delittuose vi è poi una seconda fase, in cui si richiede che le fatture o documenti per operazioni inesistenti, ovvero il falso contabile e la condotta fraudolenta volta ad ostacolarne l’accertamento si traducano nella indicazione di elementi attivi inferiori ovvero di elementi passivi fittizi in una delle dichiarazioni dei redditi o dell’iva. È il mendacio, osserva la Cassazione, che costituisce il momento consumativo del reato. Il comportamento precedente alla dichiarazione si configura, dunque, come un ante factum meramente strumentale e prodromico alla commissione del reato e, dunque, di per sé non punibile. Una scelta di metodo. La Suprema Corte ricorda come detta interpretazione sia fondata non solo sulla interpretazione letterale delle due fattispecie, ma altresì ed ancor prima su una vera scelta di metodo fatta propria dal legislatore del 2000 con una radicale inversione di tendenza rispetto alla impostazione della previgente legge 516/82. Se infatti la normativa del 1982, nota come manette agli evasori”, si era incentrata sulla criminalizzazione di condotte prodromiche e preparatorie rispetto all’evasione fiscale, il totale fallimento di detta normativa, che le manette agli evasori le portò solo nel nome, indusse il legislatore del 2000 ad un capovolgimento di impostazione, criminalizzando le sole condotte di vera e propria evasione, connotate da una elevata offensività degli interessi tutelati e dal dolo specifico di evasione, e, al contempo, sancendo la penale irrilevanza, anche come tentativo, di tutte le condotte prodromiche. La conclusione necessitata. Svolte tali premesse e richiamato un consolidato orientamento della giurisprudenza della Cassazione ed anche della Corte Costituzionale, concludono i giudici del Palazzaccio che ogni comportamento tenuto dall’agente prima della presentazione della dichiarazione, che si estrinsechi sia in una condotta di acquisizione e registrazione nelle scritture contabili di fatture o documenti fittizi, sia in false rappresentazioni anche con uso di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, è irrilevanti ai fini penali, anche nella forma del tentativo. Poiché nel caso in esame, osservano gli Ermellini, non risultava detratta in dichiarazione l’imposta contestata e neppure risultava indicato nella motivazione dell’ordinanza impugnata che la dichiarazione non veritiera fosse avvenuta sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili e, infine, che l’indagato si fosse avvalso di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento della falsa rappresentazione, il provvedimento impugnato viene annullato anche sul punto. Nel dettaglio, era stata contestata la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici per aver indicato elementi passivi fittizi consistenti in fatture emesse da una società di leasing a fronte del pagamento del canone e del successivo riscatto per l’acquisto di un’imbarcazione. Dette fatture erano emesse in regime di non imponibilità Iva ex articolo 8 bis, d.p.r. n. 633/72 in quanto ritenute operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione. Secondo il tribunale del riesame essa integrava sempre un’imposta fraudolentemente risparmiata , trattandosi di beni non inerenti. Il ricorrente, per contro, ha evidenziato che non era in alcun modo configurabile il delitto contestato, in quanto non era stata detratta l’Iva, per cui non vi era alcuna evasione di imposta, trattandosi di fatture non imponibili. È questa l’eccezione che viene accolta dalla Cassazione proprio in quanto il reato contestato ha il suo momento costitutivo nella presentazione della dichiarazione fraudolenta, che nel caso di specie non è avvenuta.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 dicembre 2015 – 3 marzo 2016, n. 8668 Presidente Franco – Relatore Scarcella