Chiede l’ammissione al gratuito patrocinio, ma possiede case e automobili: è applicabile il ravvedimento operoso?

Il riconoscimento del ravvedimento operoso, efficace ai fini del trattamento sanzionatorio, non esclude la sussistenza del dolo del reato di cui all’art. 95, d.P.R. n. 115/2002, e ciò a maggior ragione quando lo stesso intervenga dopo che l’autorità giudiziaria abbia già inviato alla Guardia di Finanza richiesta di accertamenti finalizzati a constatare la situazione reddituale e patrimoniale dell’istante.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8880, depositata il 3 marzo 2016. Il caso. L’imputato veniva condannato in primo e secondo grado per il reato previsto e punito dall’art. 95, d.p.r. n. 115/2002, che prevede la punibilità delle dichiarazioni false o delle omissioni contenute nell’istanza da cui consegue l'ottenimento o il mantenimento dell'ammissione al patrocinio . Invero, lo stesso, al fine di accedere al beneficio, aveva attestato di avere un reddito familiare pari a zero”. Successivamente all’ammissione, però, aveva deciso di rinunciare inviando all’Autorità giudiziaria un’apposita richiesta. Nel frattempo, tuttavia, erano incorsi degli accertamenti patrimoniali effettuati dalla Guardia di Finanza, dai quali si era evinto che l’istante fosse proprietario di alcuni beni, circostanza questa incompatibile con le dichiarazioni di cui alla originaria richiesta di ammissione. Per questi motivi, dunque, lo stesso era stato condannato, posto che, secondo i giudici di merito, sebbene il reddito dell’istante non superasse il dato numerico il limite di reddito previsto dalla norma, il reato risultava comunque commesso, poiché la dichiarazione incriminata era comunque falsa. Il ricorrente, tuttavia, proponeva ricorso lamentando l’illogicità della motivazione ove la Corte territoriale, da un lato, aveva riconosciuto l’attenuante del ravvedimento operoso art. 62 n. 6 c.p. e, dall’altro, tuttavia, non aveva ritenuto sussistente la buona fede del medesimo, al fine di escludere il dolo. Parziarietà” della falsità nella dichiarazione. Gli Ermellini, rigettando il ricorso, hanno accolto le motivazioni della corte di appello. Non può non ritenersi sussistente il dolo del reato, secondo la pronuncia in commento, soprattutto in ragione della professione del soggetto istante dottore commercialista , il quale aveva consapevolmente omesso di dichiarare alcune somme dallo stesso percepite, e altre somme percepite dalla figlia convivente, nonché la titolarità, addirittura, di alcuni immobili e due autovetture. Rammentano i giudici che integrano il delitto di cui all’art. 95 D.p.r. 115/2002 le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, dei dati di fatto riportati nella dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello stato, indipendentemente dall’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione. Ravvedimento operoso e dolo del reato. Con riferimento all’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., poi, si afferma il principio per cui, sebbene la stessa possa essere applicata al reato di specie che è reato di pericolo , opera solo in via eccezionale dopo la commissione del reato e trova fondamento nella minore capacità a delinquere del colpevole, il quale, per ravvedimento, si adopera per eliderne le conseguenze che, pur strettamente legate alla lesione o alla messa in pericolo del bene tutelato dalla norma incriminatrice, sono estranee all’esecuzione o alla consumazione del reato stesso . Ad ogni modo, il riconoscimento dell’attenuante non esclude la sussistenza del dolo e, pertanto, la sussistenza del reato.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 25 gennaio – 3 marzo 2016, n. 8880 Presidente Ciampi – Relatore Piccialli Ritenuto in fatto G.P.L. ricorre avverso la sentenza che, confermando quella di primo grado, lo ha riconosciuto colpevole del reato di cui all’articolo 95 del dpr n. 115 del 2002. A supporto della condanna venivano posti gli elementi desunti dagli accertamenti patrimoniali, che avevano consentito di apprezzare la titolarità di due autovetture. Ciò che non era stato dichiarato e consentiva di ravvisare il reato, anche se ciò non avesse comportato il superamento dei limiti di reddito. In ogni caso, la Corte di merito, nel corrispondere alle doglianze, evidenziava come la proprietà dei veicoli attestava di una sicura capacità reddituale, giacche l’istante non poteva che avere un reddito sufficiente oltre che per sopravvivere con la sua famiglia , anche per consentirgli di mantenere detti veicoli, mentre nella dichiarazione incriminata si era indicato un reddito pari a zero . Con il ricorso, si criticano le conclusioni assunte, concordemente dai giudici di merito, sostenendosi, con il primo motivo, che la Corte territoriale, pur riconoscendo la circostanza attenuante del ravvedimento operoso di cui all’art. 62, n. 6, c.p. - sul rilievo che il G. , dopo aver presentato istanza di ammissione al gratuito patrocinio aveva inviato al tribunale competente una dichiarazione con la quale rinunciava al beneficio richiesto - illogicamente non aveva riconosciuto la buona fede del medesimo, escludendo il dolo. Con il secondo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione per travisamento del fatto laddove il giudice di appello aveva ipotizzato che la dichiarazione di rinuncia al beneficio del gratuito patrocinio costituente autodenuncia era stata presentata nel tentativo di rimediare, non appena il G. si era reso conto che le sue dichiarazioni sarebbero state oggetto di controllo. Con il terzo motivo si duole della manifesta contraddittorietà della sentenza nella parte in cui afferma che in ogni caso l’interessato avrebbe dovuto, in ipotesi, proporre opposizione davanti al presidente del Tribunale o al presidente della Corte d’appello ai quali appartiene il magistrato che ha emesso il decreto di rigetto. Sul punto si evidenzia che tale provvedimento non era mai intervenuto, giacché il giudice competente, preso atto della rinuncia presentata dal G. e dall’esito degli accertamenti svolti dalla G. F. revocava il decreto di ammissione al patrocinio. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. Il reato di cui all’articolo 95 del dpr n. 115 del 2002, che punisce le falsità o le omissioni nelle dichiarazioni e nelle comunicazioni per l’attestazione delle condizioni di reddito in vista dall’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, è integrato dalle dichiarazioni con cui l’istante affermi, contrariamente al vero, di avere un reddito inferiore a quello fissato dalla legge come soglia di ammissibilità, ovvero neghi o nasconda mutamenti significativi del reddito dell’anno precedente, tali cioè da determinare il superamento di detta soglia. La ricostruzione operata in sede di merito ha consentito di apprezzare la difformità rispetto al vero di quanto dichiarato. La tesi difensiva sotto questo profilo propone una inammissibile diversa e opinabile ricostruzione di quello che sarebbe stato l’atteggiamento psicologico dell’imputato, che non può ricevere accoglimento in questa sede, anche per l’assorbente ragione che l’ipotizzato dubbio dell’imputato a tacer d’altro avrebbe dovuto essere veicolato in sede di dichiarazione. Mentre risulta - dalla ricostruzione operata in sede di merito - una dichiarazione - evidentemente consapevole - che è risultata falsa, in termini tali da integrare il proprium del reato. Non vi è spazio per evocare il tema dell’errore, ove si consideri che deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per legge diversa dalla legge penale ai sensi dell’articolo 47 c.p. quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata anche implicitamente Sezione IV, 7 ottobre 2010, PG in proc. Barba, proprio in una fattispecie relativa al reato di interesse, laddove la Corte ha ritenuto che l’articolo 76 del dpr n. 115 del 2002, che disciplina la materia del patrocinio a spese dello Stato ed è espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui all’art. 95 stesso decreto, non costituisca legge extrapenale . Il giudice di appello ha confermato il giudizio di responsabilità, facendo riferimento alla incontroversa circostanza che il G. , soggetto di cultura e pratico della materia, quale dottore commercialista, aveva consapevolmente taciuto la somma di Euro 1835, quale reddito di lavoro dipendente percepito da lui stesso, la somma di Euro 5.309 percepita dalla figlia convivente e la titolarità di due autovetture e di diversi immobili, cointestati con la moglie, indicativa di sicura capacità reddituale, certamente maggiore rispetto a quella dichiarata Euro 8.778,57 . Va in proposito ricordato che secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte v. Sezioni unite, 27 novembre 2008, n. 6591/09, Infanti integrano il delitto di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio. Rispetto a tale argomentare le doglianze di parte ricorrente incentrate - peraltro, del tutto assertivamente - sulla insussistenza del dolo, dimostrata, secondo la tesi difensiva, anche dalla riconosciuta attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p. - sotto il profilo del ravvedimento operoso - non incidono sul principio di diritto correttamente affermato dai giudici di merito, in linea con la giurisprudenza di legittimità sopra indicata. Nessuna manifesta contraddittorietà è rinvenibile, infatti, nel riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. e l’affermata responsabilità dell’imputato. Sul punto va rilevato che la circostanza attenuante comune di cui all’art. 62, n. 6, seconda ipotesi, c.p., solo in via eccezionale opera dopo la commissione del reato e trova fondamento nella minore capacità a delinquere del colpevole il quale, per ravvedimento, si adopera per eliderne le conseguenze, che, pur strettamente inerenti alla lesione o alla messa in pericolo del bene tutelato dalla norma incriminatrice, sono estranee all’esecuzione e alla consumazione del reato stesso v. Sez. I, 16 dicembre 2008, Truffi, rv. 242054 . La citata attenuante è, pertanto, applicabile ai reati di pericolo, come quello in esame, che è reato di pericolo rispetto al bene giuridico della pubblica fede, mentre è inapplicabile ai reati in cui il danno penale sia per sua natura irreversibile e non eliminabile neppure in parte dall’opera del colpevole e, in particolare, al delitto di omicidio, il cui danno penale consistente nella distruzione del bene giuridico protetto, e cioè del bene della vita non è suscettibile di eliminazione o attenuazione successiva da parte del colpevole. Il riconoscimento del ravvedimento operoso, efficace ai fini del trattamento sanzionatorio, non esclude però la sussistenza del dolo e la configurabilità del reato, tenuto anche conto, come evidenziato nella sentenza in esame, che la ritrattazione è stata effettuata per mezzo di raccomanda 12.11.2009, quando l’autorità giudiziaria aveva già inviato alla Guardia di Finanza in data 15.10.2009 l’ammissione al patrocinio è invece del 2.11.2009 richiesta di accertamenti finalizzati a constatare la situazione reddituale e patrimoniale del G. e del proprio nucleo familiare. Va rilevato, infine, che la censura non coglie nel segno neanche quando stigmatizza il riferimento operato in sentenza alla mancata proposizione dell’opposizione davanti al Presidente del Tribunale ex art. 99 dpr 115/2002, essendo evidente dalla norma richiamata che il giudicante intendeva riferirsi al rimedio esperibile avverso il provvedimento di revoca dell’ammissione al patrocinio disposto ex officio . Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.