C’è intento corruttivo se tra condotta del p.u. e offerta corruttiva intercorre un rapporto causale

Il reato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio è configurabile anche quando la condotta, oggetto dell’illecito rapporto tra privato e pubblico ufficiale, si realizzi in ragione delle competenze assegnate all’ufficiale, così permettendo di ricomprendere una pluralità di atti non preventivamente fissati.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6849/16, depositata il 22 febbraio. Il caso. L’imputato ricorre in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, che lo condannava alla pena di giustizia per il reato di istigazione alla corruzione. Il ricorrente aveva offerto a due marescialli della Guardia di Finanza, che effettuavano presso la sua società degli accertamenti fiscali, buoni benzina per un valore di 4000 euro per indurli a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio. Motivi del ricorso sono la carenza di motivazione attinente all’individuazione dell’oggetto della presunta induzione e la mancanza d’idoneità potenziale dell’offerta per conseguire il fine corruttivo. Oggetto dell’istigazione alla corruzione. La Cassazione, relativamente alla mancata individuazione dell’atto avuto di mira dal privato, richiama un precedente orientamento Cass, n. 30058/2012 secondo cui il reato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio era ritenuto, seguendo la disciplina vigente all’epoca dei fatti, configurabile anche quando la condotta, oggetto dell’illecito rapporto tra privato e pubblico ufficiale, si realizzasse in ragione delle competenze assegnate all’ufficiale, così permettendo di ricomprendere una pluralità di atti non preventivamente fissati. Inoltre, i Giudici di legittimità specificano che anche seguendo il dettato della novella” del 2012 intervenuta in materia, l. n. 190/2012 e gli orientamenti successivi, Cass, n. 6065/15 , tale qualificazione giuridica non sembra essere stata abbandonata, infatti, l’asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi attraverso il sistematico ricorso ad atti contrari ai doveri d’ufficio, ancorché non predefiniti, né specificatamente individuabili ex post , ovvero mediante l’omissione o il ritardo di atti dovuti, integra il reato di cui all’art. 319 c.p. corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 c.p. . Ai fini della configurabilità del delitto d’istigazione alla corruzione, continuano i Giudici, basta che l’offerta sia in rapporto causale con una qualsiasi prestazione, senza che sia necessaria l’effettiva realizzazione della richiesta. Idoneità dell’offerta corruttiva. Per quanto concerne la mancanza d’idoneità dell’offerta per realizzare l’intento corruttivo, la Corte osserva che, stando al principio giurisprudenziale, fa sorgere il reato d’istigazione alla corruzione la semplice offerta o promessa, caratterizzata da serietà ed adeguatezza a turbare psicologicamente il pubblico ufficiale, senza che sia necessario quantificarla effettivamente. Nel caso concreto il fatto che i due sottoufficiali, potenzialmente, potevano condizionare la verifica fiscale con comportamenti scorretti e che l’offerta era di beni di immediata utilizzabilità e dal valore economicamente significativo, sono elementi sufficienti per rendere idonea la proposta dell’imputato a realizzare l’intento corruttivo. Per questi motivi la Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 9 – 22 febbraio 2016, n. 6849 Presidente Paoloni – Relatore Corbo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 25 settembre 2014, la Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, confermando integralmente la pronuncia di primo grado, ha condannato alla pena ritenuta di giustizia D.G. in ordine al delitto di istigazione alla corruzione commesso in data omissis , perché, nella sua qualità di amministratore unico di una società sottoposta a verifica fiscale, aveva offerto a due sottufficiali della Guardia di Finanza, che stavano procedendo agli accertamenti, buoni benzina per un valore pari a 4.000 Euro, per indurre gli stessi a compiere atti contrari ai doveri di ufficio. 2. Ha presentato ricorso per cassazione, l'avv. Rocco Maggi, difensore di fiducia dell'imputato, formulando un unico motivo. Con lo stesso, l'impugnante lamenta, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b ed e , l'erronea applicazione dell'art. 322 cod. pen La censura deduce che la sentenza impugnata ha omesso di vagliare, così dando luogo ad un vizio di mancanza di motivazione, le censure esposte con i motivi di appello, nei quali, in particolare, la Difesa del D. si era lamentata che l'istruttoria dibattimentale non aveva consentito di accertare quale fosse l'oggetto della presunta induzione, e, in particolare, se l'imputato aspirasse al compimento di un atto conforme o contrario ai doveri di ufficio, tanto più che non era stata esplicitata alcuna specifica richiesta ai due sottufficiali, e che, inoltre, manca la idoneità potenziale dell'offerta a conseguire lo scopo perseguito dall'autore”, anche perché i destinatari dell'istigazione avevano sempre operato sotto il controllo dei superiori gerarchici, e le attività di verifica volgevano al termine. L'omessa valutazione di tali profili ha determinato, oltre che l'impossibilità di procedere ad una corretta qualificazione giuridica dei fatti, anche una totale mancanza di motivazione nella parte in cui si pretermette ogni riferimento alla idoneità potenziale dell'offerta a conseguire lo scopo perseguito dall'autore”. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate. 2. L'unico motivo proposto lamenta la carenza di motivazione in relazione a due profili del fatto - quello attinente all'individuazione dell'atto avuto di mira dal privato, e quello relativo alla idoneità dell'offerta a conseguire lo scopo - che precluderebbero la possibilità di procedere ad una qualificazione della vicenda in termini di istigazione alla corruzione, a maggior ragione se se l'ipotesi in contestazione è quella di cui all'art. 322, secondo comma, cod. pen., ossia quella finalizzata al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio. 2.1. Quanto al profilo della mancata individuazione dell'atto avuto di mira dal privato, la sentenza impugnata ha ritenuto di ancorare il proprio giudizio al contesto storico-ambientale nel quale il D. agì”, ed ha valorizzato, in tale ottica, le seguenti circostanze a l'esistenza di una verifica fiscale in corso da tempo, prossima alla conclusione, e potenzialmente foriera di pregiudizio b la astratta ma indubbia possibilità per i due sottufficiali, nella loro veste di responsabili dell'istruttoria e nella loro autonomia in loco , di condizionare lo sviluppo della verifica attraverso attività antidoverose” c la pretestuosa ricerca di un contatto” con uno dei due militari, sfruttando la momentanea assenza dell'altro, e l'offerta di un benefit di valore economico decisamente importante” d l'improvvisato tentativo di sdrammatizzare la gravità del comportamento appena tenuto, attraverso la plateale estensione dell'offerta” all'altro militare. Tale motivazione è corretta, anche se va integrata sotto il profilo delle ragioni giuridiche. A tal proposito, occorre muovere dalla premessa che le fattispecie previste dall'art. 322 cod. pen. si collegano a quelle disciplinate dagli artt. 318 e 319 cod. pen., e che, in particolare, l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 322, secondo comma, cod. pen. ha come punto di riferimento quella relativa alla corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio. Ciò posto, il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, nella disciplina vigente prima della riforma introdotta con legge 6 novembre 2012, n. 190, e quindi all'epoca dei fatti per cui è processo, era ritenuto configurabile anche quando la condotta presa in considerazione dall'illecito rapporto tra privato e pubblico ufficiale fosse individuabile, genericamente, in ragione della competenza o della concreta sfera di intervento di quest'ultimo, così da essere suscettibile di specificarsi in una pluralità di atti singoli non preventivamente fissati o programmati, ma pur sempre appartenenti al genus previsto cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 30058 del 16/05/2012, Di Giorgio, Rv. 253216, nonché Sez. 6, n. 2818 del 02/10/2006, dep. 2007, Bianchi, Rv. 235727, particolarmente significativa perché concernente alla condotta di un imprenditore che, in cambio di un atteggiamento di disponibilità nell'esercizio delle funzioni pubbliche, aveva effettuato favori economici ad un colonnello della Guardia di Finanza . Né tale qualificazione giuridica risulta abbandonata per effetto della novella del 2012 anche nella vigente disciplina, secondo l'opzione interpretativa prevalente, l'asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, attraverso il sistematico ricorso ad atti contrari ai doveri di ufficio, ancorché non predefiniti, né specificamente individuabili ex post, ovvero mediante l'omissione o il ritardo di atti dovuti, integra il reato di cui all'art. 319 cod. pen. e non il più lieve reato di corruzione per l'esercizio della funzione di cui all'art. 318 cod. pen. cfr., esemplificativamente, Sez. 6, n. 6056 del 23/09/2014, dep. 2015, Staffieri, Rv. 262333 . Alla luce di queste considerazioni, non risulta manifestamente illogica la sussunzione, nell'ambito dell'istigazione alla corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, dell'offerta di un bene di immediata utilizzabilità e di significativo valore economico a due marescialli della Guardia di Finanza che stanno procedendo ad una verifica fiscale nei confronti dell'agente, al di fuori di ogni seria giustificazione ed in un contesto di provocata ambiguità è anzi pienamente ragionevole la lettura del comportamento in questione come offerta fatta ai pubblici ufficiali per ottenerne la disponibilità ad esercitare complessivamente le loro funzioni in un modo comunque indebitamente vantaggioso per l'istigatore ad esempio, ammorbidendo i risultati degli accertamenti . Tale soluzione, del resto, risulta in linea con quanto affermato in passato dalla Corte di legittimità, allorché si era osservato che ai fini della configurabilità del delitto di istigazione alla corruzione basta che l'offerta sia in rapporto causale con una qualsivoglia prestazione, indipendentemente dalla possibilità di determinare quella effettivamente richiesta” così la massima ufficiale di Sez 6, n. 2919 del 15/10/1987, dep. 1988, Bloise, Rv. 177795 . 2.2. Con riferimento al profilo della lamentata inidoneità dell'offerta a conseguire lo scopo, è sufficiente osservare, innanzitutto, che costituisce principio giurisprudenziale più volte ribadito quello secondo cui, per la integrazione del reato di istigazione alla corruzione è sufficiente la semplice offerta o promessa, purché caratterizzata da adeguata serietà ed in grado di turbare psicologicamente il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio , sì che sorga il pericolo che lo stesso accetti l'offerta o la promessa non è necessario perciò che l'offerta abbia una giustificazione, né che sia specificata l'utilità promessa, né quantificata la somma di denaro, essendo sufficiente la prospettazione, da parte dell'agente, dello scambio illecito cfr., in particolare, Sez. 6, n. 21095 del 25/02/2004, Barhoumi, Rv. 229022, nonché Sez. 6, n. 2678 del 29/01/1998, Lupo, Rv. 210360 . Né, poi, può ragionevolmente affermarsi che l'offerta fosse inidonea perché i destinatari dell'istigazione avevano sempre operato sotto il controllo dei superiori gerarchici. Come infatti rileva con valutazione non manifestamente illogica la sentenza impugnata, non può essere trascurata la astratta ma indubbia possibilità per i due sottufficiali, nella loro veste di responsabili dell'istruttoria e nella loro autonomia in loco , di condizionare lo sviluppo della verifica attraverso attività antidoverose”. Ciò tanto più che, secondo un risalente e mai smentito insegnamento, il reato [di istigazione alla corruzione] è escluso soltanto se manchi la idoneità potenziale dell'offerta o della promessa a conseguire lo scopo perseguito dall'autore per l'evidente quanto assoluta impossibilità del pubblico ufficiale di tenere il comportamento illecito richiesto” così la massima ufficiale di Sez. 6, n. 2716 del 30/11/1995, dep. 1996, Varvarito, Rv. 204124 . 3. All'infondatezza del motivo esposto nel ricorso, segue il rigetto dello stesso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.