Iscrizione al registro degli indagati: atto dovuto e, se illecito, dannoso

Ai sensi dell’art. 335 c.p.p., il pubblico ministero iscrive immediatamente la notizia di reato sull’apposito registro, nonché il nominativo del soggetto cui l’illecito è ricondotto. La suddetta iscrizione, pertanto, costituisce un danno per il soggetto coinvolto, dal momento che ne determina la sottoposizione ad un’indagine penale e ne lede l’immagine, soprattutto ove si tratti di un pubblico ufficiale.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4973/2016, depositata l’8 febbraio. Il caso. La Corte d’Appello di Firenze, confermando la statuizione del giudice di prime cure, condannava un imputato, ufficiale di polizia giudiziaria, per il reato di cui all’art. 323 c.p. abuso d’ufficio . All’imputato veniva rimproverato di avere, in virtù della propria posizione, formulato un foglio di prescrizioni, contestando la violazione di una norma art. 4, commi 2 e 5, d. lgs. 626/94 , con riferimento ad alcune mansioni assegnategli, e trasmettendo, infine, la relativa informativa di reato al pubblico ministero il condannato aveva omesso di astenersi dall’integrare la suddetta condotta in presenza di un proprio interesse, arrecando un ingiusto danno ai soggetti coinvolti. Il condannato ricorreva per cassazione, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, non integrando, a suo parere, il foglio di prescrizione uno strumento di indebita pressione, bensì un atto dovuto. Il ricorrente rilevava, inoltre, che l’invio del foglio di prescrizione e la segnalazione del reato non comportano necessariamente l’instaurazione del procedimento penale, essendo la stessa rimessa alla valutazione di un pubblico ministero. L’iscrizione al registro degli indagati comporta un danno. La Suprema Corte ha precisato che l’art. 323 c.p. pone in capo al pubblico ufficiale, o incaricato di pubblico servizio, un obbligo di astensione in presenza di un suo interesse. La norma, pertanto, introduce un vero e proprio obbligo di astensione, per il pubblico ufficiale o per l’incaricato di pubblico servizio, nel caso in cui si configuri un conflitto di interessi. Gli Ermellini hanno chiarito che il mancato rispetto di tale dovere di astensione comporta la configurazione dell’illecito, indipendentemente dalla presenza di una specifica disciplina dell’astensione e senza che si renda necessario individuare una specifica violazione di legge o regolamento. Il Collegio, infine, ha sottolineato che, ai sensi dell’art. 335 c.p.p., il pubblico ministero iscrive immediatamente la notizia di reato sull’apposito registro, nonché il nominativo del soggetto cui l’illecito è ricondotto. La suddetta iscrizione, pertanto, costituisce un danno per il soggetto coinvolto, dal momento che ne determina la sottoposizione ad un’indagine penale e ne lede l’immagine, soprattutto ove si tratti di un pubblico ufficiale. Peraltro, hanno chiosato gli Ermellini, il danno si configura come ingiusto, nel caso di specie, in quanto l’iscrizione sul registro delle notizie di reato è avvenuta in relazione ad una norma del tutto estranea alla fattispecie concreta in esame. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 dicembre 2015 – 8 febbraio 2016, n. 4973 Presidente Agrò – Relatore Di Salvo Ritenuto in fatto 1. M.A. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la sentenza di condanna emessa in primo grado, in ordine al delitto di cui all'art. 323 cod. pen. perché, in qualità di ufficiale di polizia giudiziaria, in quanto tecnico della prevenzione dell'Unità Funzionale Prevenzione, Igiene e Sicurezza dei luoghi di lavoro dell'Azienda Sanitaria di Firenze, formulava nei confronti di Ma.Lu. , Direttore generale della predetta Azienda Sanitaria, m.a. , responsabile della suddetta Unità Funzionale, e R.S. , referente per il presidio di Scandicci, un foglio di prescrizioni, contestando la violazione degli artt. 4, commi 2 e 5, d. Ig. 626/94 per non avere il primo compiuto la valutazione del rischio psico-sociale e organizzativo né indicato le misure adeguate e per non avere tutti e tre provveduto ad affidare ad esso M. mansioni compatibili con le sue capacità e competenze tecnico-professionali, assegnando i termini di sette giorni per sanare la prima violazione e di 15 giorni per sanare la seconda. Trasmetteva poi la relativa informativa di reato al pubblico ministero, così omettendo, nell'esercizio delle funzioni, di astenersi in presenza di un interesse proprio e arrecando a Ma. , T. e R. un ingiusto danno, essendo stato iniziato a loro carico un procedimento penale. In omissis . 2. Il ricorrente deduce, con una prima doglianza, violazione di legge e vizio di motivazione,poiché, mediante il foglio di prescrizione, l'imputato ha ingiunto al Ma. non di assegnargli il ruolo di Direttore del Dipartimento ma di completare il documento di valutazione dei rischi, dotandolo della valutazione del rischio organizzativo psico-sociale e delle misure di prevenzione e protezione dei dipendenti, nonché di riassegnare al M. stesso le funzioni di vigilanza, ispezione e controllo sul luogo di lavoro, sottrattegli inspiegabilmente dai dirigenti Asl, T. e R. . Il foglio di prescrizione pertanto non può essere qualificato quale strumento di indebita pressione sul Ma. , al fine di ottenere riconoscimenti organizzativi e gestionali atti a soddisfare i propri interessi personali, trattandosi, al contrario, di un atto dovuto, in quanto finalizzato a segnalare una grave violazione dei diritti dei lavoratori, quale risulta l'ingiustificato demansionamento. Infatti, il d. lg. 758/94 obbliga l'ufficiale di polizia giudiziaria a formulare, in caso di accertata violazione di norme di salute e di sicurezza sul lavoro, il foglio di prescrizioni e a comunicare al pubblico ministero la notizia di reato. Il ricorrente, in sede di dichiarazioni spontanee, ha infatti affermato che l'obbligo del datore di lavoro era quello di eliminare le decisioni dirigenziali che ledevano il suo diritto costituzionale e contrattuale al lavoro, come operatore del Servizio di prevenzione e non come direttore del Dipartimento, lavoro che egli, per tanti anni, aveva svolto con quella passione profonda che gli è stata riconosciuta dallo stesso giudice di primo grado. 2.1. Inoltre l'invio del foglio di prescrizioni e la segnalazione di reato alla Procura della Repubblica non instaurano automaticamente il procedimento penale, essendo ciò rimesso alle determinazioni del pubblico ministero, ragion per cui il ricorrente non aveva nemmeno la possibilità di cagionare, in concreto, il danno ingiusto rappresentato dal procedimento penale. 2.2. Quest'ultimo inoltre non può essere qualificato come danno ingiusto, essendo, all'opposto, il processo penale uno strumento volto proprio al perseguimento della giustizia. 2.3. Ancor meno questo danno poteva essere considerato ingiusto dal M. , che era del tutto convinto di adempiere a un dovere d'ufficio, senza alcuno scopo ritorsivo e senza alcun intento di nuocere alle persone denunciate ma con l'unica intenzione di migliorare il funzionamento dell'Azienda sanitaria di cui faceva parte, ragion per cui non può essere ravvisato neanche l'elemento soggettivo del reato di abuso di ufficio. Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. La prima censura è manifestamente infondata. L'art. 323 cod. pen. pone infatti, a carico del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, l'obbligo di astenersi in presenza di un interesse proprio. La norma che incrimina l'abuso di ufficio, nella parte relativa all'omessa astensione in presenza di un interesse dell'agente, ha dunque introdotto nell'ordinamento, in via diretta e generale, un dovere di astensione per i pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio che si trovino in una situazione di conflitto di interessi. Pertanto l'inosservanza di tale dovere comporta, in presenza di tutti gli altri requisiti previsti dalla legge, l'integrazione degli estremi del reato, anche qualora faccia difetto, relativamente al procedimento nell'ambito del quale l'agente è chiamato ad operare, una specifica disciplina dell'astensione o quest'ultima riguardi un numero più ridotto di ipotesi o sia priva di carattere cogente Cass., Sez. 6, 19-10-2004, n. 7992, Rv. 231477 e senza che sia nemmeno necessario individuare alcuna violazione di legge o di regolamento perché possa ritenersi sussistente l'elemento materiale del reato Sez. 6, 14-4-2003, n. 26702,Rv. 225490 . Correttamente pertanto i giudici di merito hanno evidenziato che il dovere di astensione derivava dalla sussistenza di un interesse personale del ricorrente, ravvisabile nel caso di specie, come ha chiarito lo stesso M. , in sede di dichiarazioni spontanee, allorquando ha affermato, secondo quanto si evince dalla motivazione del provvedimento impugnato, che era obbligo del datore di lavoro eliminare le decisioni dirigenziali che ledevano il suo diritto costituzionale e contrattuale al lavoro, come operatore del Servizio di prevenzione. Presupposto indefettibile per l'esercizio di prerogative di natura pubblicistica è, viceversa, l'assoluta estraneità del pubblico ufficiale o dall'incaricato di pubblico servizio o dei suoi prossimi congiunti agli interessi coinvolti nella situazione sulla quale incide l'esercizio del potere. Nel caso di specie, la preordinazione dell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria al soddisfacimento di un interesse personale, da parte del pubblico ufficiale, è ulteriormente evidenziata dalla Corte territoriale, laddove ha sottolineato l’apposizione, da parte del M. , nella segnalazione di reato, di una formula analoga a quella prevista dall'art. 408, comma 2 cod. proc. pen., che è funzionale alla proposizione dell'opposizione alla richiesta di archiviazione da parte della persona offesa dal reato ma che è del tutto incongrua se riferita ad un ufficiale di polizia giudiziaria che trasmetta al pubblico ministero, in ottemperanza ad un obbligo di legge, una notizia di reato. 3.Anche la seconda e la terza doglianza sono manifestamente infondate. Ai sensi dell'art. 335 cod. proc. pen., infatti, il pubblico ministero iscrive immediatamente, sul registro previsto dalla stessa norma, ogni notizia di reato che gli perviene nonché il nominativo della persona alla quale il reato stesso è attribuito. L'iscrizione sul registro notizie di reato, che determina l'avvio della fase delle indagini preliminari, è dunque un atto dovuto da parte del pubblico ministero, a seguito della ricezione della notitia criminis , vieppiù quando, in essa, vengano prefigurate precise ipotesi di reato, in relazione alla violazione di norme specificamente enunciate, a carico di soggetti puntualmente individuati, come nel caso in esame. Ragion per cui è certamente infondata l'affermazione secondo la quale l'avvio del procedimento penale si riconnette esclusivamente ad una determinazione del pubblico ministero e non all'iniziativa dell'ufficiale di polizia giudiziaria che invia la notitia criminis alla procura della Repubblica. 4.L'iscrizione sul registro ex art. 335 cod. proc. pen. costituisce di per sé un danno, determinando la sottoposizione all'indagine penale e ledendo l'immagine del soggetto iscritto, soprattutto quando, come nel caso di specie, si tratti di un pubblico ufficiale. Il danno cagionato, nel caso in esame, è altresì ingiusto, poiché l'iscrizione sul registro notizie di reato è avvenuta in forza di una norma del tutto estranea alla fattispecie concreta in disamina, in quanto, come opportunamente ha chiarito la Corte territoriale, la disposizione che è stata contestata nel foglio di prescrizioni e per l'inottemperanza alla quale è stata inoltrata la segnalazione di reato al pubblico ministero attiene a tutt'altro ambito di operatività, inerendo all'obbligo del datore di lavoro, del dirigente e del preposto di adottare le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori. Dunque una norma che disciplina profili completamente diversi da quelli inerenti alla vicenda in esame, relativa all'affidamento al M. di determinati compiti, nell'ambito dell'Unità funzionale, tenendo conto delle sue capacità e competenze tecnico-professionali. È pertanto ravvisabile il requisito della doppia ingiustizia, in quanto il danno è derivato dalla condotta del M. , caratterizzata dalla violazione dell'obbligo di astensione. Ma è anche in sé contra ius , in quanto correlato ad un'iscrizione sul registro notizie di reato e quindi all'avvio di un procedimento penale a carico dei soggetti denunciati, in forza di una norma del tutto estranea alla fattispecie concreta in esame. 4. L'ultimo motivo di ricorso si colloca al di fuori dell'area della deducibilità nel giudizio di cassazione, ricadendo sul terreno del merito. Le determinazioni adottate dal giudice a quo, in ordine al profilo in disamina, sono quindi insindacabili ove siano supportate da motivazione esente da vizi logico-giuridici. Al riguardo, la Corte territoriale ha evidenziato che, nel caso in esame, ci si trova di fronte alla piena consapevolezza e volizione dell'evento costituito dall'altrui ingiusto danno, come conseguenza diretta ed immediata della propria condotta, in considerazione della competenza tecnica del soggetto agente dello stato ampiamente critico dei suoi rapporti con i soggetti denunciati e delle caratteristiche della denuncia stessa, che, in un'ottica di distorsione dei poteri di polizia giudiziaria, assume connotazioni ritorsive o comunque strumentali rispetto all'obiettivo primario di perseguimento di un interesse personale. L'impianto argomentativo a sostegno del decisum si sostanzia dunque in un apparato esplicativo puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico esperito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità. 5. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, a norma dell'art. 606, comma 3, cod. proc. pen., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.