Omesso versamento IVA e valenza scriminante della delega di funzioni

In tema di reati tributari l’affidamento ad un terzo dell’incarico di predisporre la dichiarazione annuale dei redditi, sia esso un professionista ovvero un dirigente della impresa assoggettata all’imposizione tributaria, non esonera il legale rappresentante della società, tenuto al versamento delle imposte in nome e per conto di quella, dalla responsabilità penale per il delitto di omesso versamento, in quanto trattandosi di reato omissivo la norma considera come personale ed indelegabile il relativo dovere. Tuttavia la prova del dolo di evasione non deriva dalla semplice violazione dell’obbligo di versamento, né può essere ricondotta al concetto di culpa in vigilando sull’operato del terzo, posto che trasformerebbe il rimprovero per l’atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo.

Questo il principio di diritto sancito dalla Terza Sezione penale della Cassazione nella sentenza 4621/16, depositata il 04 febbraio. Il caso di specie. Il ricorso per cassazione, che ha dato origine alla pronuncia in esame, si incentra sulla doglianza del ricorrente, il quale evidenzia che, pur essendo all’epoca dei fatti legale rappresentante della società tenuta al versamento delle imposte, il Consiglio di Amministrazione prevedeva la figura, effettivamente esistente, di un amministratore delegato a provvedere, in luogo dell’imputato, agli adempimenti fiscali. Da tale circostanza il ricorrente deduce la violazione di legge commessa dal giudice di merito nell’attribuire, comunque, al legale rappresentante la responsabilità per l’omesso versamento IVA. Con altro motivo si duole l’imputato del fatto che i giudici di merito non avrebbero compiuto alcun accertamento sulla effettiva attribuibilità al ricorrente delle sottoscrizioni apposte in calce alle dichiarazioni IVA effettivamente presentate dalla società. Evidente lo stretto collegamento fra i due motivi di ricorso. Il percorso decisionale degli Ermellini. Sgombrato il campo dalla questione della paternità della sottoscrizione della dichiarazione IVA, ritenuta dalla Cassazione questione di fatto non censurabile in sede di legittimità, la Corte si dedica alla problematica della effettiva presenza di un amministratore delegato agli adempimenti fiscali. L’incipit del percorso argomentativo degli Ermellini pare tranchant, in quanto, richiamando un recente orientamento giurisprudenziale, osserva come l’affidamento ad un terzo dell’incarico di predisporre la dichiarazione annuale dei redditi dell’impresa, sia nel caso di un professionista che di un dirigente della stessa azienda, non esonera dalla responsabilità il legale rappresentante della società. È costui infatti il soggetto tenuto al versamento delle imposte in nome e per conto della persona giuridica. Il delitto di omesso versamento si fonda, inoltre, per la sua natura omissiva, su un obbligo personale non delegabile ad un terzo. Nessuna valenza scriminante parrebbe, dunque, riconosciuta ad una delega di funzioni espressa sia nei confronti di un altro membro del Consiglio di amministrazione che nei confronti di un terzo professionista. Una apertura garantista. Dopo la rigorosa premessa, giunge quasi inaspettata una apertura garantista degli Ermellini che osservano come il delitto di omesso versamento IVA abbia natura dolosa e, dunque, debba essere fornita, comunque, la prova della volontà colpevole dell’imputato. Tale considerazione induce i Giudici della Cassazione ad affermare che, in conseguenza, il dolo non può rinvenirsi nella semplice culpa in vigilando del legale rappresentante che non abbia adeguatamente sorvegliato l’operato del delegato agli adempimenti fiscali. Se così fosse si finirebbe, infatti, per rendere colposa una fattispecie, in realtà, dolosa. Prosegue la Cassazione evidenziando come l’imputazione dolosa debba, per contro, fondarsi su elementi fattuali dai quali possa desumersi che il legale rappresentate fosse a conoscenza dell’esistenza dell’obbligo di versamento della imposta in questione, per una somma superiore alla soglia di rilevanza integrando anche la soglia un elemento costitutivo del reato e dunque rientrante nel fuoco della coscienza e volontà . Una conclusione colpevolista. Nel dettaglio del caso specifico, osservano i Giudici del Palazzaccio che il legale rappresentante della società aveva personalmente partecipato alla cessione di un terreno dalla quale era sorto un ingente debito IVA. Egli, dunque, pienamente consapevole dell’esistenza del debito tributario sopra la soglia di penale rilevanza, ne aveva scientemente delegato l’adempimento ad un terzo e, dunque, si era assunto il rischio che l’incaricato omettesse il versamento della imposta dovuta. Nel caso di specie, quindi, secondo la Cassazione ben può ritenersi provato l’elemento psicologico del dolo richiesto dalla fattispecie incriminatrice, con conseguente conferma della impugnata sentenza di condanna. Pur di fronte ad una apertura, certamente interessante, sulla necessità di un rigoroso accertamento dell’elemento psicologico del reato, restano dunque le difficoltà nel tradurre in termini concreti detto principio, soprattutto sulla tematica tanto risalente quanto dolente di una precisa individuazione dei termini di confine tra la figura del dolo eventuale e quello della colpa cosciente.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 giugno 2015 – 4 febbraio 2016, n. 4621 Presidente Fiale – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Ancona ha confermato, con sentenza dei 19 dicembre 2013, la pronunzia con la quale il Tribunale di Ancona, sezione distaccata di lesi, aveva dichiarato la penale responsabilità di M.G., imputato per la violazione dell'art. 10-ter dei dPR n. 74 del 2000, condannandolo, pertanto, alla pena di anni uno di reclusione, oltre alle sanzioni accessorie. Per l'annullamento di tale sentenza ha interposto ricorso per cassazione il M., con l'assistenza dei propri difensori, affidandolo a tre motivi col primo ha dedotto la inosservanza della legge penale nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata per avere la Corte territoriale ritenuto integrato, sotto il profilo oggettivo, il reato a lui contestato. Col secondo motivo è dedotta nuovamente la violazione di legge nonché il vizio di motivazione per avere la Corte territoriale omessi di verificare chi avesse sottoscritto la dichiarazione IVA di cui al capo di imputazione. Col terzo ed ultimo motivo è censurata la violazione di legge per avere la Corte territoriale attribuito il reato di cui in contestazione al M. sebbene la società da lui rappresentata fosse diretta da un amministratore delegato il quale doveva provvedere, in luogo dell'imputato, allo svolgimento degli adempimenti fiscali. Considerato in diritto Il ricorso proposto da M.G. è infondato. Osserva, infatti, la Corte, quanto al primo motivo di impugnazione, che la imputazione contestata al M. attiene al mancato versamento entro i termini previsti dalla legge della imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione a tal fine presentata dallo stesso contribuente. Tanto premesso rileva la Corte che non ha cittadinanza di fronte a questa Corte il motivo di impugnazione avente ad oggetto la non dovutezza dell'imposta per non essere stato riscosso nell'anno di riferimento il prezzo del bene riguardato dalla fattura passiva emessa dalla società amministrata dal M. trattasi, a tacer d'altro, evidentemente di argomento di mero fatto, non più rilevabile in questa sede di legittimità. Anche il secondo motivo di impugnazione - col quale è censurata la sentenza della Corte territoriale marchigiana, in relazione al mancato accertamento della paternità della sottoscrizione della dichiarazione IVA presentata dalla Salus Spa, della quale il M. è il legale rappresentante, relativamente all'anno di imposta 2006 - coinvolge un accertamento di fatto, la cui contestazione è oramai preclusa nella presente fase di legittimità del giudizio. Con riferimento al terzo motivo, col quale il ricorrente rivendica la erronea applicazione della legge penale in cui sarebbe incorso il giudice dei gravame nel non avere rilevato che, essendo stato nominato presso la Salus Spa un amministratore delegato, la responsabilità per l'omesso versamento dell'IVA doveva essere attribuita a lui e non al ricorrente, ritiene questa Corte che l'assunto sul quale la censura si basa è fallace. Invero, questa Corte ha precisato che in tema di reati tributari, l'affidamento ad un terzo dell'incarico di predisporre la dichiarazione annuale dei redditi, sia esso un professionista ovvero un dirigente della impresa assoggettata all'imposizione tributaria, non esonera il soggetto che, per essere il legale rappresentante della società, è tenuto al versamento delle imposte in nome e per conto di quella, dalla responsabilità penale per il delitto di omesso versamento, in quanto, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere Corte di cassazione, Sezione III penale, 8 marzo 2010, n. 9163 tuttavia, la prova del dolo di evasione non deriva dalla semplice violazione dell'obbligo di versamento né può essere ricondotta al concetto di culpa in vigilando sull'operato del terzo, posto che una siffatta impostazione trasformerebbe il rimprovero per l'atteggiamento antidoveroso da doloso in colposo. Essa deve essere ancorata alla ricorrenza di elementi fattuali dimostrativi del fatto che il soggetto obbligato abbia omesso il versamento dell'imposta in questione, per quantità superiori alla soglia di rilevanza penale, nella consapevolezza che la stessa fosse dovuta. Nel caso in esame la Corte territoriale ha opportunamente evidenziato la circostanza che il M. aveva personalmente partecipato alla vendita di un terreno ceduto dalla Salus Spa, di tal che egli era perfettamente consapevole della c ete~, per effetto del compimento dell'affare di cui sopra, dell'esistenza di un considerevole debito per IVA a carico della citata società e ciononostante, affidando alll'amministratore delegato l'incarico di provvedere al versamento, ha scientemente assunto il rischio che il soggetto di tanto incaricato omettesse di versare quanto dovuto all'Erario. In definitiva, il ricorso proposto dal M. deve essere rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.