La Cassazione torna a fare il punto in tema di diritto di difesa

In base alla lettura congiunta dell’art. 6, commi 1 e 3, della CEDU, la condanna dell’imputato non può essere fondata unicamente su prove acquisite nella fase delle indagini e che non siano state oggetto di contraddittorio, poiché in tale ipotesi si verificherebbe una compressione degli inviolabili diritti di difesa dell’individuo.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3660/16, depositata il 27 gennaio scorso. Il caso. La Corte d’Appello di Lecce, riformando parzialmente la statuizione del giudice di prime cure, assolveva un imputato dal reato di cui all’art. 73 d. P.R. n. 309/90 produzione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti e dall’illecito previsto dall’art. 644 c.p. usura . L’imputato proponeva ricorso per cassazione, lamentando mancato controllo, da parte della Corte territoriale, sull’affidabilità delle dichiarazioni della persona offesa, acquisite, in sede di giudizio, ai sensi dell’art. 512 c.p.p. lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione . Dichiarazioni non sottoposte a contraddittorio impossibile fondare unicamente sulle stesse un giudizio di condanna. La Suprema Corte ha ribadito quanto già affermato dalla giurisprudenza CEDU, secondo cui, in tema di giusto processo, non contrasta con l’art. 6 della Convenzione l’acquisizione, in qualità di prove, di dichiarazioni assunte senza contraddittorio. L’utilizzazione probatoria delle suddette, però, incontra delle limitazioni, finalizzate ad impedire che la condanna dell’imputato sia determinata esclusivamente da tali dichiarazioni. Gli Ermellini hanno precisato che, in base alla lettura congiunta dell’art. 6, commi 1 e 3, della CEDU, la condanna dell’imputato non può essere fondata unicamente su prove acquisite nella fase delle indagini e che non siano state oggetto di contraddittorio, poiché in tale ipotesi si verificherebbe una compressione degli inviolabili diritti di difesa dell’individuo. Il Collegio ha, peraltro, rilevato come il nostro ordinamento abbia recepito la regola di diritto di cui alla suddetta norma CEDU, con l’ordine di esecuzione di cui all’art. 2 della l. n. 848/1955 tale disposizione, infatti, esclude che la condanna di un imputato possa derivare, in via esclusiva, dalle deposizioni rese da una persona che non sia stata interrogata, in fase istruttoria ovvero in sede di dibattimento. Unica eccezione, contemplata dall’art. 2 citato, si configura nel caso in cui l’impossibilità del dichiarante sia stata controbilanciata da altri elementi o da garanzie processuali idonee a garantire l’equità del giudizio. Gli Ermellini hanno sottolineato che, nel caso di specie, le condotte illecite, connesse al reato di usura, dell’imputato non trovano fondamento, esclusivamente, nelle dichiarazioni della persona offesa. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 – 27 gennaio 2016, n. 3660 Presidente Prestipino – Relatore Gallo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 12/11/2013, la Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Taranto, in data 22/06/2007, assolveva L.L. dal reato ex art. 73 DPR 309/90 di cui al capo c , nonché dal reato di usura, di cui al capo A , limitatamente al fatto commesso in danno di N.A. per insussistenza dei fatto, dichiarando prescritto il residuo reato, sempre in danno di N.A. di conseguenza riduceva la pena inflitta per il reato di usura in danno di F.A. in anni tre di reclusione ed €. 3.000,00 di multa, previa concessione delle generiche equivalenti. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso l'imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando due motivi di gravame con i quali deduce 2.1 Violazione delle regole che governano la formazione della prova di cui all'art. 192 cod. proc. pen. e vizio della motivazione, dolendosi che la Corte non avesse effettuato il dovuto controllo di affidabilità delle dichiarazioni della persona offesa, acquisite al processo ex art. 512 cod. proc. pen. essendo deceduto il denunziante. 2.2 Violazione di legge, in relazione all'art. 157 cod. pen. per essere il reato estinto per prescrizione, sul rilievo che la recidiva reiterata specifica sarebbe stata contestata soltanto in data 4/5/2007, quando il reato si era ormai prescritto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Questa Corte ha avuto modo di puntualizzare che una sentenza di condanna che si basi unicamente o in misura determinante su una testimonianza resa in fase di indagini da un soggetto che l'imputato non sia stato in grado di interrogare o far interrogare nel corso del dibattimento, integra una violazione dell'art. 6 CEDU - così come interpretato, da ultimo, dalla sentenza della Corte EDU, del 15 dicembre 2011, Al Khawaja e Tahery c/ Regno Unito - solo se il pregiudizio così arrecato ai diritti di difesa non sia stato controbilanciato da elementi sufficienti ovvero da solide garanzie procedurali in grado di assicurare l'equità del processo nel suo insieme. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non configurabile la violazione dell'art. 6 CEDU in un caso in cui le dichiarazioni rese in sede di indagini, acquisite in dibattimento ex art. 512 bis c.p.p., non erano, però, da considerarsi indispensabili per sostenere la fondatezza dell'accusa, essendo quest'ultima risultata provata alla luce di ulteriori emergenze processuali . Sez. 6, n. 2296 del 13/11/2013 - dep. 20/01/2014, Frangiamore, Rv. 257771 . Le Sezioni Unite di questa Corte, d'altra parte, già in precedenza Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010 - dep. 14/07/2011 avevano messo in risalto la circostanza che, alla luce della giurisprudenza della CEDU in tema di giusto processo, l'acquisizione come prova di dichiarazioni assunte senza contraddittorio non risulta di per sè in contrasto con l'art. 6 della CEDU, ma sussistono precisi limiti alla loro utilizzazione probatoria, al fine di impedire che l'imputato possa essere condannato sulla base esclusiva o determinante di esse. Pertanto, l'ammissibilità di una prova testimoniale unilateralmente assunta dall'accusa può risultare conforme al dettato del citato art. 6, ma affinché il processo possa dirsi equo nel suo insieme in base ad una lettura congiunta dell'art. 6, commi 1 e 3, lett. d , una condanna non deve fondarsi esclusivamente o in maniera determinante su prove acquisite nella fase delle indagini e sottratte alla verifica dei contraddittorio, anche se differito. Il principio affermato dalla giurisprudenza europea è dunque che i diritti della difesa sono limitati in modo incompatibile con le garanzie dell'art. 6 quando una condanna si basa, unicamente o in misura determinante, su deposizioni rese da una persona che l'imputato non ha potuto interrogare o fare interrogare né nella fase istruttoria né durante il dibattimento sent. 14 dicembre 1999, A.M. c. Italia sent. 13 ottobre 2005, Bracci, cit sent. 9 febbraio 2006, Cipriani c. Italia sent. 19 ottobre 2006, Majadallah, cit sent. 18 maggio 2010, Ogaristi c. Italia , e ciò anche quando il confronto è divenuto impossibile per morte dei dichiarante o per le sue gravi condizioni di salute sent. 7 agosto 1996, Ferrantelli e Santangelo c. Italia sent. 5 dicembre 2002, Craxi c. Italia , ovvero quando l'irreperibilità del dichiarante sia giuridicamente giustificata da un diritto di costui al silenzio, come nel caso di coimputati sent. 20 aprile 2006, Carta c. Italia o di imputati di reato connesso sent. 27 febbraio 2001, Luca c. Italia . In sostanza - si è sottolineato - dall'art. 6 della CEDU, per come costantemente e vincolativamente interpretato dalla Corte di Strasburgo, discende una norma specifica e dettagliata, una vera e propria regola di diritto - recepita nel nostro ordinamento tramite l'ordine di esecuzione contenuto nella L. 4 agosto 1955, n. 848, art. 2 - che prescrive un criterio di valutazione della prova nel processo penale, nel senso che una sentenza di condanna non può fondarsi, unicamente o in misura determinante, su deposizioni rese da una persona che l'imputato non ha potuto interrogare o fare interrogare nè nella fase istruttoria ne' durante il dibattimento, salvo che l'impossibilità di controinterrogare il dichiarante non sia stata controbilanciata da elementi sufficienti ovvero da solide garanzie procedurali in grado di assicurare l'equità del processo nel suo insieme. 3. Alla stregua di tali principi la censura sollevata con il primo motivo di ricorso deve essere respinta in quanto l'affermazione di responsabilità dell'imputato, in ordine alla condotta usuraria, non poggia soltanto sulle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dal F. Infatti la Corte ha messo in evidenza la sussistenza di robusti elementi di riscontro che si incastonano nella dichiarazione della persona offesa rendendola inattaccabile. Tali elementi sequestro di cambiali, vendita di un immobile per atto pubblico, deposizione della moglie della p.o. sono idonei a controbilanciare il pregiudizio arrecato ai diritti della difesa dall'impossibilità di controinterrogare il dichiarante e ad assicurare l'equità del giudizio. 4. È infondato anche il secondo motivo di ricorso in punto di prescrizione dei reato. Questa Corte ha avuto modo di precisare che ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l'aumento di pena per la circostanza aggravante è valutabile anche se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza dei termine di prescrizione previsto per il reato non aggravato, purché la contestazione abbia preceduto la pronuncia della sentenza. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 33871 del 02/07/2010 Ud. dep. 17/09/2010 Rv. 248131 . Nel caso di specie, come riconosciuto dalla stessa difesa ricorrente, l'aggravante ad effetto speciale della recidiva reiterata specifica è stata contestata nel corso dei giudizio dì primo grado all'udienza del 26/1/2007. Pertanto, ai fini del calcolo della prescrizione del reato deve tenersi conto della recidiva, con la conseguenza che il reato non si è ancora prescritto. 5. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.