Fortuna alterna per l’indulto: prima la pena, poi l’indulto, poi la revoca e, infine, l’annullamento della revoca

Nei reati continuati, il quantum di pena che rileva per applicazione o revoca dell’indulto si determina avuto riguardo alla pena base per il reato più grave senza tenere conto degli aumenti dati dall’applicazione della continuazione e, invece, calcolata la diminuente per l’eventuale scelta di rito speciale.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 584/16 depositata l’11 gennaio. Il caso. La vicenda riguarda un uomo che aveva beneficiato dell’indulto ex l. n. 241 del 31 luglio 2006 Concessione di indulto” . Successivamente alla concessione del beneficio, era intervenuta una condanna di applicazione pena su richiesta delle parti per un tempo di anni tre e mesi cinque di reclusione, definita davanti al giudice per le indagini preliminari di qui la richiesta del pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari in funzione di giudice dell’esecuzione per la revoca dell’indulto. Altro reato nel termine di cinque anni beneficio da revocare? In effetti, all’esito dell’udienza camerale, il gip revocava il beneficio ritenuto sussistente il presupposto – disciplinato dalla stessa legge – della commissione di altro reato nel termine di cinque anni. Senonché deve evidenziarsi che la pena in discussione era stata patteggiata prendendo come pena base i due anni e 8 mesi di reclusione poi aumentata per applicazione dell’istituto – a sua volta, in senso lato, beneficio – della continuazione e ridotta per la diminuente del rito speciale. Se la pena supera i due anni la revoca opera di diritto. Il provvedimento che ha disposto l’indulto ha previsto altresì che il beneficio è revocato di diritto se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni. La peculiare ipotesi dei reati in continuazione. Tuttavia, nel caso peculiare di reati unificati per la continuazione, sia per quanto concerne l’applicazione che la revoca dell’indulto, è stato affermato costantemente che l’entità della pena deve fare riferimento a quella inflitta relativamente a ciascuno di essi e non alla pena complessivamente determinata in ragione dell’applicazione dell’istituto di favor rei della continuazione. Come noto, la continuazione costituisce una particolare figura di concorso materiale di reati, punita meno gravemente rispetto al cumulo materiale in ragione dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso. Invero, il regime sanzionatorio previsto per l’ipotesi della continuazione tra reati è quello del cumulo giuridico che comporta l’applicazione della pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave, aumentata fino al triplo. Pena per il reato più grave tra quelli in continuazione e diminuente del rito così si determina la pena che comporta eventualmente il superamento del tetto. Il principio è stato confermato anche dalle Sezioni Unite della Cassazione 2009, Astone laddove si è precisato che il giudice dell’esecuzione è tenuto a verificare se la condanna per la quale viene disposta la revoca dell’indulto faccia riferimento a più reati in continuazione il giudice deve quindi verificare se la pena base per il reato più grave individuato era stata determinata in misura tale da comportare la revoca del beneficio, cioè se fosse pari o superiore ai due anni, atteso che questo è il tetto previsto dalla legge che disciplina l’indulto. Inoltre, per la determinazione del quantum di pena inflitta rientra come elemento di segno negativo quello determinato dalla diminuente di sanzione motivata dalla scelta del rito premiale, come nel caso di specie. Ordinanza di revoca da annullare. Per queste ragioni, il giudice dell’esecuzione ha errato nel ritenere che la pena concretamente inflitta potesse far venire meno il beneficio concesso perché ha considerato la pena finale applicata in forza dell’istituto della continuazione dei reati anziché la pena per il reato più grave tra quelli in continuazione, né ha fatto riferimento, nel determinare l’entità della pena da considerare per l’eventuale revoca del beneficio, alla diminuzione derivante dall’aver l’imputato acceduto alla definizione del processo con applicazione pena su richiesta delle parti. In sostanza, il giudice avrebbe dovuto guardare alla pena base e su questa applicare la diminuente del rito, onde verificare se la pena così ottenuta diversa e inferiore a quella determinata dall’applicazione dell’istituto della continuazione superasse o meno i limiti indicati dalla legge.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 11 novembre 2015 – 11 gennaio 2016, n. 584 Presidente Vecchio – Relatore La Posta Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 17.9.2014 il Giudice per le indagini preliminari Tribunale di Firenze, in funzione di giudice dell'esecuzione, all'esito dell'udienza camerale sulla richiesta dei pubblico ministero, revocava l'indulto applicato il 6.8.2008 a P.M., ai sensi della legge n. 241 del 2006, ritenendo sussistente il presupposto di cui al comma 3 dell'art. 1 della citata legge, avendo il M. commesso nel termine di cinque anni altro reato per il quale è stata applicata la pena di anni tre e mesi tre di reclusione. Affermava, in specie, che ai predetti fini deve aversi riguardo alla pena complessiva finale patteggiata per il reato commesso nei cinque anni dall'entrata in vigore della legge n. 241 del 2006. 2. Proponeva ricorso per cassazione il M., a mezzo dei difensore di fiducia, denunciando la violazione di legge con riferimento all'art. 1 comma 3 legge n. 241 del 2006. Rileva che con la sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari dei Tribunale di Firenze dei 22.5.2012 è stata applicata ex art. 444 cod. proc. pen. in relazione a reati commessi il 19.9.2010 la pena complessiva di anni tre e mesi tre di reclusione, determinata nella pena base per il reato più grave di anni due e mesi otto di reclusione, aumentata per la continuazione e ridotta per la diminuente dei rito nella misura indicata. Dovendo aversi riguardo alla sola pena per il reato più grave con la diminuente per il rito, non sussiste il presupposto di legge per la revoca dei beneficio dell'indulto. Considerato in diritto II ricorso è fondato. Deve ribadirsi che, ai fini dell'applicazione o della revoca dell'indulto in caso di reati unificati per la continuazione, si deve avere riguardo alla pena inflitta relativamente a ciascuno di essi e non a quella complessiva Sez. 1, n. 49986, 24/11/2009, Agnello, rv. 245967 Sez. 1, n. 4084 del 11/01/2013, D'Amico, rv. 254608 . In applicazione di detto principio - affermato anche dalle Sez. U., n. 21501 del 23/04/2009, Astone, pur esaminando una diversa ipotesi - il giudice dell'esecuzione è tenuto a verificare se la condanna in ragione della quale viene disposta la revoca dei beneficio dell'indulto ha riguardo a più reati unificati sotto il vincolo della continuazione e, in tal caso, se la pena base per il reato più grave individuato era stata determinata in misura tale da comportare la revoca del beneficio dell'indulto. Inoltre, per la determinazione dei quantum dì pena inflitta si deve tener conto delle diminuenti applicate in relazione alla scelta di un rito speciale Sez. 1, n. 2617 del 21/11/2012 - dep. 17/01/2013, Perez, rv. 254236 . Nella specie, il giudice dell'esecuzione non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, atteso che - come risulta dagli atti - la sentenza di applicazione di pena indicata come causa di revoca del beneficio si riferisce a più reati in continuazione e la pena per ítreato più grave, tenuto conto delle circostanze attenuanti e della diminuente per il rito, è inferiore a due anni di reclusione. Non sussistendo il presupposto per la revoca dell'indulto, il provvedimento impugnato deve essere annullato senza rinvio. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata. Si comunichi al Procuratore della repubblica presso il Tribunale di Firenze.