No alla buona fede dell’Istituto bancario nella concessione del mutuo in un quadro di entrate illecite

Ai fini dell’opponibilità del diritto di garanzia del terzo sul bene oggetto di confisca, la condizione della sua buona fede deve essere verificata in relazione al momento in cui il contratto è stato stipulato. Essa può essere ravvisata soltanto nel caso in cui risultino dimostrate l’estraneità a qualsiasi collusione o compartecipazione all’attività criminosa, l’inconsapevolezza credibile in ordine alle attività svolte dal prevenuto e un errore scusabile sulla situazione apparente del medesimo.

Con la sentenza n. 50018/15, depositata il 18 dicembre scorso, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione interviene in tema di finanziamenti operati dalla banca al cliente in un quadro di entrate illecite da parte del beneficiario del mutuo. Diritto di garanzia del terzo sul bene oggetto di confisca. Gli Ermellini, infatti, ribadiscono il principio consolidato in giurisprudenza in base al quale , ai fini dell’opponibilità del diritto di garanzia del terzo sul bene oggetto di confisca, la condizione della sua buona fede va verificata riguardo al momento in cui il contratto è stato stipulato e può essere ravvisata solo nel caso in cui risulti dimostrata a l’estraneità a qualsiasi collusione o compartecipazione all’attività criminosa b l’inconsapevolezza credibile in ordine alle attività svolte dal prevenuto c un errore scusabile sulla situazione apparente del prevenuto. In buona sostanza, secondo i Giudici di Piazza Cavour, il convincimento del terzo sulla situazione apparente deve essere incolpevole e tale indagine deve compiersi, caso per caso, con riferimento alla ragionevolezza dell’affidamento, che non potrà essere invocato da chi versi in una situazione di negligenza, ad esempio, per avere notevolmente trascurato gli obblighi derivanti dalla stessa legge ovvero per non aver osservato comuni norme di prudenza attraverso cui accertarsi della realtà delle cose, anziché affidarsi alla mera apparenza dei fatti. Opacità del contraente. Al riguardo – come si legge nella sentenza in commento – non può dirsi realizzata in buona fede un’operazione bancaria certamente vantaggiosa e garantita per l’Istituto sotto il profilo economico, ma effettuata nella consapevolezza della evidente opacità del contraente e, quindi, dell’alto rischio di collisione del privato interesse della banca con il prevalente interesse pubblico alla prevenzione criminosa e mafiosa. Ciò soprattutto in relazione alla manifesta eccessività dell’importo finanziato rispetto all’entità della base reddituale del beneficiario, ovvero alla definizione dell’operazione entro contesti locali o territoriali di non rilevanti dimensioni o al profilo di soggetti da tempo in rapporti con l’Istituto bancario. Le doglianze della difesa. Nel caso di specie, il Tribunale territoriale aveva rigettato l’opposizione presentata da un Istituto bancario avverso il provvedimento con il quale era stato accertato il difetto di buona fede in capo al medesimo in relazione al mutuo di importo pari ad 80000,00 Euro, concesso ad una cliente e, per l’effetto, veniva disposta la cancellazione della relativa ipoteca iscritta in suo favore su di un immobile. La banca proponeva ricorso per cassazione, lamentando che il Tribunale, nel concludere che la banca mutuante aveva concesso il mutuo sapendo che lo stesso sarebbe stato onorato grazie alle illecite entrate della madre del beneficiario e ad altre entrate illecite, in assenza di entrate lecite, non aveva considerato che la sottoposizione della madre del cliente a custodia cautelare era avvenuta a distanza di tre anni dalla concessione del mutuo. Inoltre, le vicende per le quali la madre era stata ristretta, che avevano determinato l’avvio anche del procedimento di prevenzione, erano maturate anch’esse successivamente alla concessione del mutuo. Infine , il beneficiario aveva percepito entrate lecite nelle due annualità prese in esame e nessuna prova di illecite entrate era emersa. In definitiva, ad avviso dell’Istituto bancario, nessun elemento concreto e specifico, al di là della presunzione di legge, legava il mutuo con l’attività illecita della madre della cliente, né nella fase originaria di concessione del mutuo stesso, visto che a quella data l’attività illecita contestata alla madre non era ancora iniziata, né nella fase successiva del rimborso, dato che nessun rilievo risultava in tal senso dai decreti dei giudici di merito e che il conto cointestato tra madre e figlia era stato dissequestrato. Livello di diligenza elevato. Al contrario, come si è visto, per gli Ermellini, il giudice di merito risulta aver proceduto correttamente, facendo buona applicazione dei principi consolidati in giurisprudenza, deducendo logicamente la inverosimiglianza del fatto che l’Istituto bancario ignorasse la reale qualità del debitore, in ragione di una serie di circostanze analiticamente e logicamente esaminate. D’altra parte – confermano i Giudici del Palazzaccio – la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha già in passato fornito indicazioni importanti al fine di verificare la sussistenza della buona fede in capo al titolare di un’ipoteca sorta antecedentemente rispetto al provvedimento di confisca. Si è così chiarito che gli operatori bancari esperti nelle norme e negli usi bancari nonché nella normativa in materia di reimpiego o riciclaggio di attività illecite, nella concessione del credito si attengono normalmente ad un livello di diligenza piuttosto elevato, essendo tenuti a verificare l’affidabilità di coloro che chiedono il finanziamento attraverso la richiesta e l’esame di tutta la documentazione necessaria per garantire opportunamente la banca. L’evidente erroneità della ricorrente in base alla quale esisteva una situazione di apparenza del tutto idonea a giustificare l’eventuale mancanza di approfondimenti istruttori e, dall’altro lato, la logicità e congruenza delle conclusione del Tribunale, là dove ha qualificato come colpevole, con esclusione della buona fede, la predetta ignoranza dell’esistenza di altri mutui da parte della Banca, determinano la decisione del rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 17 settembre – 18 dicembre 2015, numero 50018 Presidente Milo – Relatore Rotundo Fatto e diritto 1 .-. Intesa San Paolo s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso l'ordinanza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale di Roma, in data 20-10-14, ha rigettato l'opposizione presentata nel suo interesse avverso il provvedimento con il quale era stato accertato il difetto di buona fede in capo alla medesima in relazione al mutuo dell'importo di euro 80.000,00 concesso a Z.G. F. e, per l'effetto, era stata disposta la cancellazione della relativa ipoteca iscritta in suo favore sull'immobile sito in Roma, via Fulda, numero XX La ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, rilevando che il Tribunale, nel concludere che la banca mutuante aveva concesso il mutuo sapendo che lo stesso sarebbe stato onorato grazie alle illecite entrate della madre della Z. e ad altre entrate illecite, in assenza di entrate lecite , non aveva considerato che la madre della cliente era stata sottoposta a custodia cautelare a distanza di quasi tre anni dalla concessione del mutuo maggio 2008 che le vicende per le quali la predetta era stata ristretta, che avevano determinato l'avvio anche del procedimento di prevenzione, erano maturate anch'esse successivamente alla concessione del mutuo dal dicembre 2006 al maggio 2008 che la Z. aveva percepito nel periodo entrate lecite nelle due annualità prese in esame in fase di valutazione della domanda di mutuo pari a circa 24/25.000,00 euro netti all'anno che nessuna prova di illecite entrate della Z. era emersa, tant'è che nessuna censura era stata mossa alle movimentazioni dei suoi conti correnti sui quali erano state pagate le rate di mutuo che la misura patrimoniale a carico della Z. era stata disposta sulla base della presunzione di legge ex art. 2 bis Legge 575/65, quale figlia del soggetto proposto, non contrastata da allegazioni difensive della mutuataria. La ricorrente sottolinea altresì di avere, contrariamente a quanto affermato nel provvedimento impugnato, a suo tempo verificato la corrispondenza tra quanto dichiarato dalla cliente e quanto risultante dai suoi dati reddituali, rilevando l'esistenza a suo carico di un unico mutuo per il quale aveva corrisposto interessi messi in detrazione nelle dichiarazioni dei redditi. I redditi percepiti dalla Z. circa euro 2.000,00 mensili al netto di imposta ed oneri erano inoltre tutt'altro che modesti e bisognava tenere conto che alle esigenze della famiglia provvedeva anche il marito della mutuataria, F.M., che era per altro in grado di far fronte anche al pagamento del mutuo cointestato con la moglie relativo ad altro immobile di sua proprietà, sicché il carico sulla Z. in riferimento a tale ulteriore immobile era al massimo pari ad una quota del 50%. Del resto anche il mutuo cointestato Unicredit Banca S.p.a. era ampiamente garantito dall'immobile acquistato dal marito, sul quale era stata accesa ipoteca volontaria a favore del predetto istituto di credito. In definitiva, ad avviso della ricorrente, nessun elemento concreto e specifico, al di là della presunzione di legge, legava il mutuo Intesa San Paolo s.p.a. con l'attività illecita della proposta Z. D., madre della mutuataria, né nella fase originaria di concessione del mutuo l'unica rilevante ai fini della valutazione della buona fede atteso che a quella data l'attività illecita contestata alla proposta non era ancora iniziata, né nella fase successiva del rimborso, atteso che nessun rilievo risultava in tal senso dai decreti dei giudici di merito e che il conto cointestato tra madre e figlia era stato dissequestrato. D'altra parte la Banca non aveva avuto parte alcuna nella fase di acquisto del bene, le cui vicende acquisitive si erano concluse prima della concessione del mutuo il soggetto proposto non era intervenuto in nessuna maniera nel rapporto contrattuale di finanziamento tra la Banca e la cliente Z.G. F. nessuna attività illecita risultava commessa dalla madre della mutuataria prima della concessione del mutuo e neanche la mutuataria era soggetto dedito ad attività illecite. Esisteva quindi una situazione di apparenza del tutto idonea a giustificare l'eventuale mancanza di approfondimenti istruttori, anche in rapporto alla scarsa entità del finanziamento richiesto. La Banca, in buona sostanza, non aveva e non poteva avere elementi di conoscenza tali da lasciare prefigurare un collegamento tra le attività illecite allora neanche sussistenti , terzo responsabile dell'illecito futuro e soggetto mutuatario entrato in rapporti diretti con l'Istituto. 2 .-. Il ricorso è infondato. In base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell'opponibilità del diritto di garanzia del terzo sul bene oggetto di confisca la condizione della sua buona fede va verificata con riguardo al momento in cui il contratto è stato stipulato e può essere ravvisata solo nel caso in cui risulti dimostrata a l'estraneità a qualsiasi collusione o compartecipazione all'attività criminosa b l'inconsapevolezza credibile in ordine alle attività svolte dal prevenuto c un errore scusabile sulla situazione apparente del prevenuto Sez. 6, numero 2334 del 15/10/2014, dep. 19/01/2015, Rv. 263282 . In altri termini, il convincimento del terzo sulla situazione apparente deve essere incolpevole e tale indagine deve compiersi, caso per caso, con riferimento alla ragionevolezza dell'affidamento, che non potrà essere invocato da chi versi in una situazione di negligenza, ad esempio per avere notevolmente trascurato gli obblighi derivanti dalla stessa legge ex artt. 1175, 1176, 1189, 1337, 1341, 1366, 1375, 1393, 1396 e 1429 c.c. , ovvero per non avere osservato comuni norme di prudenza attraverso cui accertarsi della realtà delle cose, anziché affidarsi alla mera apparenza dei fatti v., in motivazione, Sez. 6, n 2334 del 15/10/2014, dep. 19/01/2015, cit. . Sotto questo profilo, non può dirsi realizzata in buona fede un'operazione bancaria certamente vantaggiosa e garantita per l'Istituto sotto il profilo economico oltre che resa in esito alle procedure a tal fine previste , ma effettuata nella consapevolezza della evidente opacità del contraente e, in definitiva, dell'alto rischio di collisione del privato interesse della banca con il prevalente interesse pubblico alla prevenzione criminale e mafiosa arg. ex Sez. 1, 13 giugno 2012, numero 36990, cit. , specie in relazione, ad es., alla manifesta eccessività dell'importo finanziato rispetto all'entità della base reddituale del beneficiario, ovvero alla definizione dell'operazione entro contesti locali o territoriali di non rilevanti dimensioni, o, infine, al profilo di soggetti da tempo in rapporti con l'Istituto bancario. Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, il Tribunale di Roma ha fatto buona applicazione dei principi sopra enunciati e ha logicamente dedotto l'inverosimiglianza del fatto che l'Istituto ignorasse la reale qualità del debitore, in ragione di una serie di circostanze analiticamente e logicamente esaminate. Ai fini dell'accertamento della buona fede l'art. 52 d.lgs. 159/11 ha attribuito particolare rilievo agli elementi oggettivi, quali le condizioni delle parti, i rapporti personali e patrimoniali tra le stesse, il tipo di attività svolta dal creditore, la sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale. La giurisprudenza di questa Corte ha già fornito importanti indicazioni al fine di verificare la sussistenza della buona fede in capo al titolare di un'ipoteca sorta antecedentemente rispetto al provvedimento di confisca. Si é così chiarito che gli operatori bancari esperti nelle norme e negli usi bancari nonché nella normativa in materia di reimpiego o riciclaggio di attività illecite, nella concessione del credito si attengono normalmente ad un livello di diligenza piuttosto elevato, essendo tenuti a verificare l'affidabilità di coloro che richiedono il finanziamento attraverso la richiesta e l'esame di tutta la documentazione necessaria per garantire opportunamente la banca, oneri che si sono rafforzati dopo l'entrata in vigore della Legge numero 346/1986, cd. Rognoni-LaTorre. In questo quadro, il Tribunale ha correttamente rilevato che era specifico interesse della Banca Intesa San Paolo verificare se la mutuataria fosse onerata da altri mutui bancari, non mancando di mettere in evidenza che per fare tale verifica sarebbe bastata una banale richiesta alla Centrale dei rischi appositamente creata al fine di assistere il sistema bancario nella gestione delle politiche di prestito e di controllo dei rischi creditizi. La Banca, nel caso in esame, si è sempre trincerata dietro l'affermazione dell'ignoranza dell'esistenza di altri mutui. Ne discende, da un lato, la evidente erroneità della affermazione della ricorrente in base alla quale esisteva una situazione di apparenza del tutto idonea a giustificare l'eventuale mancanza di approfondimenti istruttori e, dall'altro, la logicità e congruenza delle conclusioni del Tribunale là dove ha qualificato come colpevole con esclusione della buona fede la predetta ignoranza dell'esistenza di altri mutui da parte della Banca. 3. Il rigetto del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. così deciso in Roma, all'udienza del 17-9-2015.