Il ribaltamento del giudizio assolutorio di primo grado non sempre richiede la rinnovazione istruttoria

Non sono applicabili i principi posti dalla Corte EDU del 5 luglio 2011, nella sentenza Dan c. Moldavia - per la quale il giudice di secondo grado che, discostandosi dalle conclusioni assolutorie della sentenza di primo grado, decida di condannare l’imputato sulla base delle dichiarazioni di un teste già ascoltato in dibattimento, ha l’obbligo di sentire nuovamente e personalmente il teste – qualora il giudice di appello non proceda ad una rivalutazione dell’attendibilità della testimonianza, ma si limiti ad apprezzare le dichiarazioni rese alla luce di ulteriori elementi del compendio probatorio trascurati dal giudice di prima istanza.

In tal senso si è espressa la Quarta Sezione Penale della Suprema Corte con la sentenza 49816, depositata il 17 dicembre 2015, chiarendo i limiti di applicabilità dei principi sanciti dalla Corte di Strasburgo nell’ambito della famosa sentenza Dan c.Moldavia del 5 luglio 2011 in relazione alla violazione dell’articolo 6, par. 1, CEDU. Come è noto, siffatta pronuncia sovranazionale impone ai giudici d’appello di procedere alla nuova audizione di un teste già escusso in primo grado nel momento in cui, dovendo giungere ad un giudizio di condanna nei confronti dell’imputato rispetto a quello assolutorio formulato dal giudice di prime cure. Tuttavia, la lesione del baluardo difensivo contemplato dall’articolo 6 CEDU non si realizza automaticamente con il mero ribaltamento della decisione giudiziale in assenza di rinnovazione istruttoria delle prove orali poste alla base della pronuncia. Il caso di specie. La quaestio trae origine dalla sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d’appello di Campobasso, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado emessa dal locale Tribunale penale, con cui tre sanitari venivano ritenuti colpevoli dei reati di cui agli artt. 40, 113 e 589 c.p., per aver cagionato la morte di una partoriente a causa di imprudenza, negligenza ed imperizia e della violazione dei canoni della buona pratica clinica. Detto epilogo seguiva all’ordinario svolgimento del giudizio di secondo grado, senza la riassunzione di nessuna delle prove orali. Avverso tale decisione ricorrono per Cassazione i tre imputati, a mezzo del proprio difensore, prospettando una serie di motivi, ma concentrando, in modo particolare, le doglianze difensive sulla violazione dell’articolo 6 CEDU, con riferimento alla prova dichiarativa assunta a mezzo di un teste escusso in primo grado, ma non ascoltato personalmente dai giudici di seconda istanza. La difesa richiama, a sostegno della propria tesi, la nota sentenza della Corte EDU 5 luglio 2011, Dan contro Moldavia, in cui veniva ravvisata la violazione del principio del giusto processo, laddove, nell’ipotesi in cui il processo di appello si fosse concluso col ribaltamento del giudizio assolutorio, il giudice di seconde cure non avesse proceduto all’assunzione diretta delle prove orali dal medesimo ritenute non attendibili. La sentenza della Corte EDU 04.06.2013, Hani contro Romania. I Giudici di Piazza Cavour, con la sentenza in commento, caldeggiano il principio più che fondato enucleato nella pronuncia Dan contro Moldavia, e, al contempo, ne delineano i limiti di applicabilità. All’uopo, infatti, viene richiamata la sentenza della Corte EDU 04 giugno 2013, Hani contro Romania, con la quale si è pervenuti all’affermazione del fatto che il giudice di appello deve procedere all’ascolto diretto e personale del testimone già escusso in primo grado quando il giudizio di condanna, in riforma di quello di assoluzione, derivi non già da una diversa valutazione delle dichiarazioni del teste così come lumeggiate da altri elementi probatori, bensì da una differente ponderazione di attendibilità della testimonianza stessa. Con tali premesse, la Suprema Corte ribadisce i confini entro cui circoscrivere la lesione dell’articolo 6 CEDU in caso di riforma dell’epilogo assolutorio in appello a tal fine, sono necessari i requisiti della decisività della prova testimoniale e della necessità di una rivalutazione della stessa in termini di attendibilità. Pertanto, solo nel caso in cui l’affermazione della penale responsabilità scaturisca da un diverso apprezzamento dell’attendibilità di prove orali considerate decisive sussiste l’obbligo, ex articolo 6, par.1, CEDU, di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale attraverso l’escussione dei testi oggetto di differente valutazione. L’infondatezza delle doglianze dei sanitari. Sulla scorta di siffatte considerazioni, i Giudici di Piazza Cavour rigettano i ricorsi in tal senso proposti, rilevando che, nel caso in esame, nessuna lesione della norma sovranazionale è stata commessa. Nella specie, la Corte d’appello di Caltanissetta ribaltava il giudizio di assoluzione formulato in primo grado non perché il teste escusso in dibattimento fosse non attendibile, ma perché una lettura dell’intero coacervo probatorio, alla luce degli esatti canoni di ponderazione giudiziale da seguire in materia di colpa, non poteva che condurre all’affermazione della penale responsabilità dei prevenuti.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 10 settembre - 17 dicembre 2015, n. 49816 Presidente Brusco – Relatore Ciampi Ritenuto in fatto 1. Con l'impugnata sentenza resa in data 4 dicembre 2014 la Corte d'Appello di Campobasso, in riforma della sentenza emessa dal locale Tribunale in data 28 gennaio 2014 nei confronti degli odierni ricorrenti nonché di C.G. , che aveva mandato gli stessi assolti perché il fatto non costituisce reato, appellata dalle parti civili nonché dal Procuratore Generale presso la Corte territoriale e dal Procuratore della Repubblica, dichiarava B.C.F. , T.G. e G.C. colpevoli del reato ad essi ascritto e li condannava alla pena ritenuta di giustizia nonché alla rifusione dei danni in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separata sede, assegnando una provvisionale di complessivi Euro 80.000,00. Gli imputati erano stati tratti a giudizio per rispondere del reato p. e p. dagli artt. 589, 113 e 40 cod. pen. perché nella qualità, in particolare il B.C. quale direttore dell'equipe medica, in cooperazione con gli altri componenti di detta equipe, fra qui il T. e la G. , avendo eseguito l'intervento di parto cesareo sulla paziente S.G. presso la U.O. A. Cardarelli di Campobasso, per negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché violando i canoni della buona pratica clinica ed omettendo di effettuare la dovuta programmazione ed organizzazione dell'intervento e di predisporre le opportune misure rianimatorie in relazione alle condizioni fisiche della paziente, alla quale era stata diagnosticata una placenta previa ed acereta , ne cagionavano il decesso per discoagulopatia conseguente a shock ipovolemico emorragico. In particolare il B.C. e gli altri sanitari componenti dell'equipe, nel corso del parto cesareo, immediatamente dopo l'estrazione del feto, essendosi resa necessaria l'esecuzione di un'isterectomia, procedevano, nonostante il prevedibile evento emorragico connesso alla condizione di accretismo e pervietà placentare, ad un secondamento manuale della placenta a seguito del quale si verificava alle ore 10,15, una cospicua metrorragia solo alle ore 10,40 la donna veniva sottoposta ad una trasfusione di sangue, la quale tuttavia anche perché non tempestiva, non riusciva ad impedire l'evolversi di uno shock ipovolemico che determinava alle ore 10,55 un arresto cardiocircolatorio ed una midriasi areflessica irreversibile coma cerebrale successivamente non essendo cessate le forti perdite ematiche, con l'ausilio di altri professionisti intervenuti d'urgenza, i sanitari effettuavano l'intervento di tamponamento della cavità pelvica mediante bende laparotomiche, ma le condizioni cliniche della paziente erano ormai irrimediabilmente compromesse e la predetta decedeva alle ore 18,00. 2. Avverso tale decisione ricorrono con atto congiunto a mezzo del difensore T.G. e G.C. deducendo violazione di legge, la mancanza e contraddittorietà di motivazione, nonché travisamento del fatto in ordine all'avvenuto ritenuto pacifico secondamento manuale della placenta ed al nesso causale tra detta manovra ed il decesso della S. , lamentano altresì la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale e la violazione dell'obbligo imposto dall'art. 6 CEDU nella tifò interpretazione della Corte Edu. Con un secondo motivo lamentano vizio di motivazione sempre in relazione all'intervenuto secondamento manuale assumendo che la placenta si era staccata spontaneamente come evincibile dalla mancanza delle c.d. aree di strappamento e che comunque l'ecografia eseguita prima dell'intervento non era in grado di riconoscere la sussistenza della c.d. placenta percreta evidenziatasi solo durante l'intervento con un terzo motivo lamentano ancora la violazione dell'art. 606 comma 1 lett e per vizio della motivazione con riferimento alla errata applicazione del principio dell'affidamento e della cooperazione nel delitto colposo. 3. Ricorre anche a mezzo del difensore di fiducia C.B.F. lamentando violazione di legge e mancanza di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del nesso causale affermata dalla Corte territoriale sulla base di affermazioni apodittiche ed auto dimostrative senza peraltro differenziare le condotte ascritte ai sanitari a titolo di omissione da quelle a titolo commissivo. In particolare sottolinea come non si sia data alcune rilevanza causale all'emorragia iniziata già prima dell'intervento ed alla sua incontrollabilità all'esito del taglio cesareo. Con un secondo motivo deduce parimenti agli altri imputati la violazione dell'art. 6 comma 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo con riferimento alla testimonianza del ferrista C.A. la manifesta illogicità della motivazione. 4. Le parti civili hanno depositato memoria difensiva chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso o comunque rigettarlo. Considerato in diritto 5. I ricorsi sono infondati. La sentenza impugnata è pervenuta all'affermazione di penale responsabilità degli imputati con ciò riformando la sentenza di primo grado che, invece, come esposto in narrativa li aveva mandati assolti. A riguardo con un motivo comune tutti gli odierni ricorrenti deducono la violazione dell'art. 6 CEDU. Osserva in proposito la Corte l'obbligo di rinnovazione dell'istruttoria fondato sulla nota decisione della Corte EDU, 5 luglio 2011, Dan contro Moldavia sussiste solo qualora il giudice d'appello per procedere alla reformatio in peius della sentenza assolutoria di primo grado intenda operare un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova orale acquisita dal primo giudice non vi è invece tenuto qualora approdi, in base al proprio libero convincimento, ad una valutazione di colpevolezza attraverso una rilettura degli esiti della prova dichiarativa di cui non ponga in discussione il contenuto o l'attendibilità , valorizzando gli elementi eventualmente trascurati dal primo giudice, ovvero evidenziando gli eventuali travisamenti in cui quest'ultimo sia incorso nel valutare le dichiarazioni. Osserva la Corte come è noto, il processo penale vigente in Italia, quale delineato dal legislatore del 1989, prevede un giudizio di primo grado a struttura tipicamente accusatoria, nell'ambito del quale, quanto meno in linea generale, la prova viene acquisita, nel contraddittorio delle parti dinanzi al giudice imparziale e terzo ed al principio del contraddittorio, consacrato a livello costituzionale nell'art. 111 Cost., si affiancano a livello di legge ordinaria, come cardini del nuovo processo penale, i principi dell'oralità e dell'immediatezza. Nell'ambito di questo sistema processuale è stato, tuttavia, mantenuto, a differenza di quanto avviene nei cosiddetti sistemi accusatori puri, attraverso il giudizio di appello, il doppio grado di giurisdizione che consiste nella possibilità di ottenere sulla medesima imputazione una seconda pronuncia destinata a prevalere sulla prima nel rispetto dei limiti delle impugnazioni proposte dalle parti, è prevista, con il secondo grado di giudizio, la possibilità di rivedere in peius o in melius la prima decisione. A ciò si può pervenire, in linea generale, attraverso l'esame del medesimo materiale probatorio formatosi in primo grado, essendo la possibilità di escutere testimoni o assumere nuove prove, attraverso la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, un'eccezione subordinata alla presenza di rigorosi presupposti. Nell'ambito di questo sistema delineato dal legislatore, merita particolare attenzione, l'ipotesi - che è quella di cui si discute nell'ambito del presente ricorso - della sentenza di assoluzione in primo grado riformata, in seguito all'impugnazione da parte del pubblico ministero, in una sentenza di condanna. A riguardo, ancor prima dell'intervento del giudice sovranazionale, si era quindi affermato che, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello, che riformi totalmente la decisione di primo grado, ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato Sez. U, sent. n. 33748 del 12/07/2005, Rv. 231679 . Si è parlato al riguardo di motivazione rafforzata per evidenziare come essa debba essere particolarmente pregnante ed approfondita segnatamente si è, acutamente, precisato che la sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado deve confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati Sez. 6, sent. n. 6221 del 20/04/2005, Rv. 233083 . Nel contempo, però, si era costantemente riconosciuto l'effetto devolutivo dell'appello proposto dalla parte pubblica avverso la sentenza di assoluzione, precisandosi anche quali erano i diritti che l'imputato, assolto in primo grado, poteva fare vale nel giudizio di appello instaurato solo su iniziativa del pubblico ministero in tal senso questa Corte ha avuto modo di affermare L'appello del pubblico ministero contro la sentenza di assoluzione emessa all'esito del dibattimento, salva l'esigenza di contenere la pronuncia nei limiti della originaria contestazione, ha effetto pienamente devolutivo, attribuendo al giudice ad quem gli ampi poteri decisori previsti dall'art. 597, cod. proc. pen., comma 2, lett. b . Ne consegue che, da un lato, l'imputato è rimesso nella fase iniziale del giudizio e può riproporre, anche se respinte, tutte le istanze che attengono alla ricostruzione probatoria del fatto ed alla sua consistenza giuridica dall'altro, il giudice dell'appello è legittimato a verificare tutte le risultanze processuali e a riconsiderare anche i punti della sentenza di primo grado che non abbiano formato oggetto di specifica critica, non essendo vincolato alle alternative decisorie prospettate nei motivi di appello e non potendo comunque sottrarsi all'onere di esprimere le proprie determinazioni in ordine ai rilievi dell'imputato Sez. U, sent. n. 33748 del 12/07/2005, Rv. 231675 . La decisione della Corte EDU richiamata dai ricorrenti, che ha ravvisato la violazione dell'art. 6 par. 1 della Convenzione per violazione dei principi del giusto processo, nell'ipotesi in cui il processo di appello, che aveva portato ad un ribaltamento della decisione assolutoria di primo grado, si era svolto in assenza di qualsiasi attività istruttoria e sulla base del solo esame testuale delle prove assunte nel giudizio di primo grado. Segnatamente i giudici di Strasburgo, pur riconoscendo la piena compatibilità con i principi affermati dalla Convenzione della possibilità della condanna pronunciata dal giudice di appello in riforma di una pronuncia assolutoria in primo grado, hanno affermato che, laddove il diverso epilogo decisorio scaturisca da una diversa valutazione di attendibilità di prove orali considerate decisive, l'art. 6 della Convenzione impone l'assunzione diretta da parte dei giudici di appello delle suddette prove orali, in ordine alle quali si ritiene di dovere modificare il giudizio di attendibilità espresso dai primi giudici. Si è poi ancora ribadito che è incompatibile con le garanzie convenzionali il ribaltamento della sentenza di assoluzione fondato su una mera rivalutazione della testimonianza assunta in primo grado, laddove non si sia proceduto alla nuova audizione dei testimoni, con l'ulteriore precisazione che a tale incombente il giudice di appello deve procedere anche d'ufficio in assenza di un'esplicita richiesta di parte Corte EDU 04/06/2013, Hani contro Romania . La giurisprudenza di questa Corte, chiamata a confrontarsi con i richiamati principi, si è trovata, da subito, a doverne circoscrivere in modo netto e preciso gli ambiti di applicazione, evidenziando le fattispecie concrete alle quali si era riferita la Corte EDU e nell'ambito delle quali, soltanto, si era ritenuto indispensabile, in caso di ribaltamento della decisione assolutoria di primo grado, risentire i testimoni già escussi in quel grado di giudizio. In sostanza, si è precisato che, con riferimento al giudizio di appello, la violazione del principio stabilito dall'art. 6, par. 1 CEDU è ancorata al duplice requisito della decisività della prova testimoniale per pervenire, ribaltando l'esito assolutorio del primo grado di giudizio, ad un giudizio di penale responsabilità, e della necessità, ai medesimi fini, di operare una rivalutazione, in termini di attendibilità, della medesima prova testimoniale il tutto sulla base della semplice lettura delle dichiarazioni rese dai testi in questione nel giudizio di primo grado, senza procedere ad un nuovo esame degli stessi cfr., Sez. 5, sent. n. 38085 del 05/07/2012, Rv. 253541 Sez. 2, sent. n. 46065 del 08/11/2012, Rv. 254726 Sez. 5, sent. n. 10965 del 11/01/2013, Rv. 255223 Sez. 6, sent. n. 16566 del 26/02/2013, Rv. 254623 . L'evoluzione della giurisprudenza di legittimità - partita dal principio ripetutamente affermato secondo cui nel caso di riforma in peius, da parte del giudice di appello, della sentenza di assoluzione in primo grado, laddove l'affermazione di penale responsabilità scaturisca da un diverso apprezzamento dell'attendibilità di prove orali considerate decisive, sussiste l'obbligo, in forza dell'art. 6 par. 1 CEDU, così come interpretato dalla Corte EDU, di procedere alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale sentendo nuovamente, nel contraddittorio delle parti, i suddetti testimoni - nella prosecuzione di quel percorso di adattamento ai principi delle fattispecie concrete ha finito per ulteriormente limitare il campo di applicazione della regola generale, riconoscendo la legittimità di giudizi di valutazione più ampi e sempre meno legati all'esigenza di procedere comunque alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale. Si è così affermato Sez. 5, sent. n. 8423 del 16/10/2013, Caracciolo e altro, Rv. 258945 Sez. 4, sent. n. 4100/13 del 06/12/2012, Bifulco, Rv. 254950 Sez. 5, sent. n. 10965 del 11/01/2013, Cava e altro, Rv. 255223 che, non sono applicabili i principi posti dalla Corte EDU del 5 luglio 2011, nella sentenza Dan c. Moldavia - per la quale il giudice di secondo grado, che, discostandosi dall'epilogo assolutorio della sentenza di primo grado, intenda condannare l'imputato sulla base delle dichiarazioni di un teste già ascoltato in primo grado, ha l'obbligo di sentire nuovamente e personalmente il suddetto teste - qualora il giudice di appello non proceda ad una rivalutazione dell'attendibilità di una testimonianza, ma si limiti ad apprezzare le dichiarazioni rese alla luce di ulteriori elementi trascurati dal primo giudice. Ed ancora si è ritenuto che non violi il principio dell' oltre ogni ragionevole dubbio , il giudice di appello che riformi totalmente la sentenza assolutoria di primo grado valutando diversamente il medesimo compendio probatorio, purché delinei con adeguata motivazione le linee portanti del proprio alternativo percorso argomentativo, che metta in evidenza le ragioni di incompletezza o incoerenza del provvedimento riformato Sez. 2, sent. n. 17812 del 09/04/2015, dep. 29/04/2015, Maricosu, Rv. 263763 . Applicando tali principi al caso in esame non sussiste la dedotta violazione. La Corte di appello, infatti, dopo avere ricostruito i fatti, riassunto le motivazioni della sentenza di primo grado ed analizzato con cura gli elementi probatori acquisiti, ha puntualmente ed esaurientemente provveduto a confutarne gli elementi portanti giustificando in modo congruo e logico le ragioni della propria decisione, finendo così col giungere ad una diversa valutazione in punto di responsabilità degli odierni ricorrenti. In particolare non ha effettuato una rivalutazione dell'attendibilità del teste C. , ma ha effettuato una compiuta analisi dell'intero compendio probatorio, escludendo dal proprio giudizio quella testimonianza che si poneva in insanabile contrasto con tutte le altre prove acquisite, idonee per numero e rilevanza ad eliderne il valore. Ne vi è spazio per condividere quanto sostanzialmente sostenuto dalle difese in ordine al fatto che, trattandosi di valutazioni diverse operate in ordine al medesimo compendio probatorio dai giudici di primo e di secondo grado, ciò sarebbe sintomatico di una possibile diversa lettura degli elementi emergenti dagli atti tale da non ritenere raggiunta la prova di colpevolezza dei ricorrenti. Seguendo tale impostazione, infatti, mai si potrebbe giungere ad un ribaltamento della decisione in sede di appello qualora non si siano aggiunte nuove prove con la paradossale conseguenza che l'errore decisionale del giudice di prime cure che ha pronunciato una sentenza di assoluzione non sarebbe altrimenti emendabile. La presenza di differenti gradi di giudizio trova infatti la propria ragion d'essere proprio nella possibilità bidirezionale di diverse valutazioni delle prove, frutto delle libertà decisionale dei giudicanti. Ciò che conta è, in conclusione, che ogni decisione venga assunta nel rispetto delle modalità di legge, secondo i criteri guida indicati ed interpretati nella loro prospettiva evolutiva dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema e della Corte EDU, con motivazione idonea, non contraddittoria e non manifestamente illogica atteso che questi possono essere gli unici aspetti evocati in sede di legittimità in quanto - è doveroso rimarcarlo - questa Corte è giudice del provvedimento e non del fatto. In particolare La Corte territoriale, attingendo ad argomenti privi dei gravi vizi paventati, ha persuasivamente dimostrato perché andava escluso che i sanitari fossero intervenuti rispettando le buone prassi e i protocolli comunemente consigliati in situazioni quale quella di specie. In fatto, va premesso che è pacifico che la S. era risultata affetta, all'esito di esami ecografici, da gravi patologie placentari al punto che era stato programmato l'intervento di taglio cesareo e che alla paziente era stato fatto sottoscrivere un consenso informato sulla necessità dell'intervento e sulla possibile isterectomia. L'intervento era iniziato alle ore 10,00 del 25 gennaio 2007 e dopo pochi minuti veniva estratto il feto che vagiva prontamente e veniva affidato alle cure dei neonatologi. Successivamente veniva effettuata l'isterectomia mentre l'exitus si verificava alle ore 18,30. La sentenza impugnata addebita agli imputati due condotte colpevoli la prima di tipo commissivo consistente nell'aver eseguito il secondamento manuale, nonostante fosse già prevista e programmata l'isterectomia, la seconda di tipo omissivo, derivante dalla non corretta gestione dell'intervenuta emorragia. Quanto al primo profilo la Corte territoriale ha valorizzato le emergenze della cartella clinica in cui risulta chiaramente ed univocamente barrata a penna solo la casella inerente appunto al secondamento manuale confortate dalle dichiarazioni dei testi e del coimputato Co. e smentite solo dal C. . Tale modus operandi, che era da evitare in relazione al complessivo quadro clinico della paziente, emergente dall'esame ecografico eseguito il giorno precedente, causava l'emorragia contrassegnata da una diffusa coagulopatia c.d. c.i.d. che determinava alla luce delle risultanze delle consulenze tecniche il decesso della S. . Parimenti dopo l'insorgere dell'emorragia gli odierni ricorrenti risultavano aver agito in modo assolutamente inadeguato, limitandosi ad un tamponamento intracavitario addominale mediante garze laparotomiche. Corretta appare poi la decisione della Corte anche con riferimento al ritenuto nesso causale, affermato sulla base delle risultanze peritali, come pure l'affermazione di penale responsabilità nei confronti di tutti gli odierni ricorrenti, non essendo emerso alcun elemento idoneo a differenziare la posizione di taluno sul piano causativo dell'evento. A riguardo va richiamato l'orientamento di questa Corte secondo cui In tema di colpa medica nell'attività di equipe , ciascuno dei soggetti che si dividono il lavoro risponde dell'evento illecito, non solo per non aver osservato le regole di diligenza, prudenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte, ma altresì per non essersi fatto carico dei rischi connessi agli errori riconoscibili commessi nelle fasi antecedenti o contestuali al suo specifico intervento cfr. Sez. 4, n. 41317 del 11/10/2007, Rv. 237891 . Con riferimento al nesso causale, la Corte d'Appello ha in definitiva rimarcato, seguendo i principi più volti indicati da questa Corte, che se i garanti l'equipe sanitaria avessero tenuto la condotta lecita prevista dalla legge, operando secondo il noto principio di controfattualità, guidato sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica - universale o statistica S.U., 10/7/2002, n. 30328 -, l'evento non si sarebbe verificato. In questo senso l'evento doveva ritenersi evitabile. Senza contare che qui si evidenzia, come si è detto, oltre ad una rilevante colpa per omissione, anche una concorrente e parimenti grave colpa per commissione. In particolare, quanto allo specifico territorio del nesso causale nella colpa medica questa Corte ha già chiarito che in tema di reato colposo omissivo improprio, la prova del nesso di causalità tra la condotta omissiva e l'evento deve fondarsi sul criterio della probabilità logica e non di quella statistica, sicché è da escludere che il suo riconoscimento postuli, in ogni caso, l'accertata operatività di leggi scientifiche universali o di leggi statistiche che esprimano un coefficiente prossimo alla certezza, dovendosi piuttosto fare riferimento al ragionamento inferenziale evocato in tema di prova indiziaria dall'art. 192 c.p.p., comma 2, oltre che alla regola generale in tema di valutazione della prova di cui al comma 1 dello stesso articolo ed alla ulteriore regola della ponderazione delle ipotesi antagoniste, prevista dall'art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e ciò in vista dell'individuazione, con elevato grado di credibilità razionale e previa esclusione dell'efficienza causale di alternativi meccanismi eziologici, della condizione necessaria dell'evento e non di quella meramente sufficiente alla sua produzione Cass., Sez. 4, n. 17523 del 26/3/2008 . 6. I ricorsi vanno pertanto rigettati. Ne consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese in favore delle parti civili, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili M.R. , M.D. , M.N. e M.V. che liquida in Euro 4500,00 oltre accessori come per legge.