La dichiarazione “fa“ il reato tributario. La riforma le moltiplica

Non è sufficiente il mero inserimento in contabilità delle fatture per operazioni inesistenti, per integrare il reato. La riforma ex d.lgs. n. 158/2015 moltiplica” le dichiarazioni rilevanti, da intendersi non più solo quelle annuali”.

Così la Corte di Cassazione, Terza sezione Penale, con la sentenza n. 49570, depositata il 16 dicembre 2015. Il fatto. La Corte d’appello aveva condannato il tenente contabilità di più operatori finanziari per l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, fungendo da tramite fra i promotori finanziari ed una società simulata emittente, di cui coordinava le relazioni con soggetti economici esteri. Contestato è il reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 del d. lgs n. 74/2000, di cui il ricorrente in Cassazione denuncia la mancata integrazione per l’inutilizzo di quella individuata documentazione contabile – riportante asserite poste passive fittizie – nelle dovute dichiarazioni annuali. L’imputato contesta anche l’erronea rubricazione del fatto nell’alveo dell’art. 2 cit. anziché degli artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 74/2000 – che escludono la punibilità, in deroga all’art. 110 c.p., per chi concorre all’altrui emissione di fatture per operazioni inesistenti, consentendo il reato a terzi -, vista la qualità in capo all’imputato di agevolatore in un circuito commerciale fittizio di cui in realtà altri erano gli effettivi beneficiari. Le condotte prodromiche – alias il mero inserimento della documentazione per operazioni inesistenti nella contabilità professionale – non sono punibili. Al giudice non è dato prescindere dall’effettivo utilizzo nella dichiarazioni annuali. Alla colpevole Corte d’appello, per condannare, veniva ritenuto bastevole che quelle fatture fittizie fossero registrate in contabilità, ed era mancata ogni indagine sull’effettivo utilizzo delle medesime nelle dichiarazioni annuali nel tempo inoltrate dai professionisti. La Cassazione non fa che riecheggiare il noto spirito criminale che ha ispirato la riforma dei reati tributari. Non sono punibili il tentativo di reato tributario ex art. 56 c.p. né il mero inserimento in contabilità delle fatture fittizie in contestazione – che costituisce condotta prodromica priva di attitudine offensiva, invece prevista come reato dal previgente art. 4, lett. g della l. n. 516/1982 –. La Cassazione annulla il fatto, in realtà, non costituisce più reato. I Giudici tuttavia non escludono la più conforme a diritto contestazione a carico dell’imputato di agevolatore all’altrui emissione di fatture inesistenti, non punibile tuttavia ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. cit Ordina la trasmissione degli atti alla Procura per ogni valutazione al riguardo, apparendo il fatto da contestare radicalmente diverso da quello descritto nell’imputazione a carico del professionista. Cosa cambia con la riforma dei reati tributari ex d.lgs. n. 158/2015. Più dichiarazioni fanno il reato”. La Cassazione si confà alle linee evolutive prevalenti in punto di reati tributari. Anche ai sensi della riforma – entrata in vigore il 22 ottobre 2015 -, che ha innovato incidendo anche sulla fattispecie ex art. 2 del d.lgs. n. 74/2000, non si prescinde dall’integrazione del momento dichiarativo ai fini della consumazione del reato. Anzi la riforma li moltiplica. L’espunzione del termine annuale” dal testo di legge fa di ogni dichiarazione – non solo quella da presentare nella seconda metà dell’anno successivo a quello dell’emissione e della contabilizzazione delle fatture - il contenitore contabile all’interno del quale si realizza il reato – ad esempio nelle dichiarazioni infra annuali IVA o nelle dichiarazioni delle operazioni intracomunitarie -, quando sono utilizzate fatture per operazioni inesistenti e dunque ci si avvale di fittizie poste passive. Lo spirito della riforma pare individuare qualsiasi luogo contabile in cui viene dissimulata la consistenza e la movimentazione economica del soggetto d’imposta. Andrebbero tuttavia escluse le mere comunicazioni” – ad esempio la comunicazione IVA -, che non determinano lo stato contabile ed economico dell’azienda ad ogni effetto fiscale bensì fungono ad una funzione comunicativa o descrittiva degli stati economici dei soggetti emittenti.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 ottobre – 16 dicembre 2015, n. 49570 Presidente Franco – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. B.M. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Milano di conferma della sentenza dei Tribunale di Milano di condanna per il reato di cui all'articolo 2 dei d.lgs. n. 74 del 2000 per avere, in concorso con altri, in gran numero promotori finanziari per i quali teneva la contabilità, consentito loro di evadere le imposte avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti fungendo da tramite tra detti soggetti e la struttura della Doge s.a. che attraverso società estere curava l'emissione delle fatture in favore dei suddetti destinatari. 2. Con un primo motivo lamenta la violazione dell'articolo 2 del d. lgs. n. 74 del 2000 posto che l'addebito contestato non contempla l'avvenuta presentazione di alcuna delle necessarie dichiarazioni annuali, riportanti le fittizie componenti passive enunciate, limitandosi genericamente a contestare l'utilizzazione delle fatture per operazioni inesistenti. Di qui, tra l'altro, la mancanza anche di accertamento del momento consumativo del reato. 3. Con un secondo motivo lamenta la violazione degli artt. 8 e 9 del d. Igs. n. 74 del 2000 posto che il fatto avrebbe dovuto essere sussunto sotto il disposto dell'articolo 8 essendo stata contestata all'imputato la condotta consistita nel fungere da tramite, ricevendo una provvigione sugli importi fatturati, tra gli utilizzatori delle fatture e la struttura della Doge s.a. che curava l'emissione delle fatture stesse in favore dei suddetti destinatari lamenta che sul punto la Corte territoriale dapprima ha ritenuto astrattamente configurabile il reato di cui all'articolo 8, successivamente ha affermato che l'imputato fosse inserito in un contesto in cui avveniva l'emissione delle fatture e infine ha concluso, in violazione dell'articolo 9, per la conferma della responsabilità per la violazione dell'articolo 2. 4. Con un terzo motivo lamenta la violazione dell'articolo 192, comma 3, c.p.p. e la illogicità della motivazione in particolare lamenta che dalla lettura del capo d'imputazione si ricava che i correi dell'imputato sarebbero sessantanove e tuttavia la principale fonte di prova, ovvero Giovanni Guastalla, esaminato ex articolo 210 c.p.p., ha prodotto un elenco di cinquantadue nomi, indicandoli inizialmente tutti come soggetti indirizzati dall'odierno ricorrente verso la Doge ma dichiarando poi che alcuni di essi erano già clienti della società perché presentati da altre persone precedentemente. Di qui l'impossibilità di individuare con esattezza chi tra i sessantanove coimputati fosse già da tempo cliente della società. Aggiunge che il Tribunale ha dal canto suo indicato unicamente dieci deposizioni, senza peraltro riferimenti ai periodi di imposta, a riscontro delle dichiarazioni di Guastalla pur avendo puoi affermato la responsabilità penale per tutte e sessantanove le posizioni. 5. Con un quarto motivo lamenta la violazione dell'articolo 81 c.p. la sentenza impugnata ha affermato di non potere supplire alla mancata applicazione di aumenti per la contestata continuazione in assenza di impugnazioni sul punto da parte della pubblica accusa, senza tuttavia considerare che la pena di anni due di reclusione' inflitta doveva intendersi come pena complessiva per i tre anni di imposta contestati, in essa dunque compresi gli aumenti ai fini della continuazione stessa. 6. Con un quinto motivo lamenta la violazione degli artt. 62 bís c.p. e 157 c.p. e il vizio di motivazione per non avere la Corte d'Appello in alcun modo motivato sulla mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione per i fatti relativi all'anno 2006 e, quanto alle attenuanti generiche, per essersi posta in contraddizione con le valutazioni compiute dal primo giudice in ordine al fatto che la incensuratezza, ritenuta in sede di appello come unicamente di tipo formale, potesse fondatamente far ritenere l'astensione dalla commissione di altri reati. 7. Infine, con un ultimo motivo, lamenta la mancata concessione della circostanza attenuante di cui al comma 3 dell'articolo 2 dei d.lgs. n. 74 del 2000 in allora vigente per avere ritenuto che, siccome per alcuni dei clienti dell'imputato gli importi di cui alle fatture erano superiori alla soglia prevista, la circostanza non sarebbe stata applicabile a tutti i fatti contestati e ritenuti, senza tuttavia considerare se tra tali clienti fossero da ricomprendere o meno coloro che erano già clienti della società Doge e non riferibili dunque all'odierno ricorrente. Considerato in diritto 8. II primo, pregiudiziale rispetto a tutti gli altri, motivo di ricorso è fondato. Va premesso che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all'articolo 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 consiste, come espressamente previsto dalla norma rimasta immodificata anche a seguito dei recente d. Ig.s n. 158 del 2015, alla data della presente pronuncia in attesa di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale nel fatto di colui che, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi. Non può esservi quindi dubbio sul fatto che tale previsione, volutamente distaccandosi rispetto alla disciplina rappresentata dalla legge n. 516 del 1982, ha focalizzato come reso esplicito dal testuale richiamo alla indicazione in dichiarazione degli elementi passivi quale momento culminante ed indefettibile della condotta illecita il momento consumativo del reato sulla stretta condotta della presentazione della dichiarazione stessa con il conseguente abbandono del modello del reato prodromico in precedenza appunto considerato dal legislatore. In tal senso, pertanto, ed in assoluta aderenza al dettato normativo, si è più volte pronunciata la giurisprudenza di questa Corte tra le tante, da ultimo, Sez.3, n. 32348 del 18/06/2015, Persona, non massímata Sez. 3, n. 52752 del 20/05/2014, Vidi e altro, Rv. 262358 Sez. 3, n. 23229 del 27/04/2012,P.M. in proc. Rigotti, Rv. 252999 Sez. 3, n. 14855 del 19/12/2011, Malagò, non massímata Sez. 2, n. 42111 del 17/09/2010, De Seta, Rv. 248499 Sez. 1, n. 25483 del 05/03/2009, Daniotti, Rv. 244155 Sez. 3, n. 626 del 21/11/2008, Zipponi, Rv. 242343 che ha anche aggiunto come, in stretta connessione con tale modello, nell'articolo 6 si sia previsto che il delitto in questione non possa essere punito a titolo di tentativo ed è significativo, in proposito, che la stessa relazione ministeriale al decreto in oggetto spieghi che la ratio della norma è appunto quella di evitare che il trasparente intento dei legislatore delegante di bandire il modello dei reato prodromico risulti concretamente vanificato dall'applicazione del generale prescritto dell'articolo 56 c.p. si potrebbe sostenere, difatti, ad esempio, che le registrazioni in contabilità di fatture per operazioni inesistenti o sottofatturazioni, scoperte nel periodo d'imposta, rappresentino atti idonei diretti in modo non equivoco a porre in essere una successiva dichiarazione fraudolenta o infedele, come tali punibili ex se a titolo di delitto tentato . Di qui, dunque, la conseguenza, ancora un volta, da un lato, che solo con la condotta di presentazione della dichiarazione il reato può considerarsi perfezionato e, dall'altro, che, a differenza di quanto, in precedenza, stabiliva l'articolo 4, lett. g della I. n. 516 del 1982 che puniva ex se anche il semplice inserimento nella contabilità di fatture per operazioni inesistenti indipendentemente dall'allegazione alla dichiarazione , le condotte pregresse ad essa restano, sul piano penale, dei tutto irrilevanti, non potendo essere punite neppure a titolo di tentativo. Ma, se così è, deve allora constatarsi, in applicazione dei disposto dell'articolo 129 c.p.p. che rende non rilevante nella presente sede la mancata deduzione a suo tempo di tale motivo con l'atto di appello , che il fatto come contestato all'imputato è in realtà un fatto all'evidenza non connotato da disvalore penale, mancando in esso alcun riferimento alla necessaria ed imprescindibile indicazione in dichiarazione delle fatture emesse nel capo d'imputazione riportato in sentenza, ed esattamente corrispondente al contenuto dell'addebito indicato nel decreto che dispone il giudizio, si è contestato infatti all'imputato di avere, in concorso con altre sessantanove persone, consentito a queste di evadere le imposte avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti, avendo in particolare fatto da tramite tra detti soggetti e la struttura della Doge s.a. che, attraverso società estere, curava l'emissione delle fatture registrate nelle scritture contabili obbligatorie o tenute a fine di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria, a fronte di una provvigione sugli importi fatturati . Ed è del resto significativo che la motivazione della sentenza impugnata, in qualche modo accontentandosi , ai fini della utlizzazione illecita, dei dato invece neutro rappresentato dalla registrazione delle fatture nelle scritture contabili, non dia conto per nulla dell'avvenuta indicazione delle stesse nelle varie dichiarazioni vedi pagg.14 - 15 E'altrettanto pacifica la circostanza che le predette fatture siano state utilizzate dai soggetti indicati nel capo d'imputazione, come risulta dalle indagini della Guardia di Finanza che ha verificato, per ogni soggetto e per ogni anno d'imposta, quali e quante fatture siano state registrate nelle scritture contabili obbligatorie o tenute a fine di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria per il dettaglio, cfr. CNR della Guardia di Finanza 17.3.2010 . Di qui dunque, in definitiva, la necessità di prendere atto della operata contestazione a B. di un fatto non previsto dalla legge come reato. 9. Va aggiunto che neppure potrebbe ritenersi configurabile giuridicamente, nel fatto contestato, il concorso nel reato di cui all'articolo 8 nel senso di valorizzare cioè la condotta di intermediazione posta in essere da B. nel senso di agevolazione non già della condotta di utilizzazione delle fatture bensì della condotta di emissione delle stesse da parte della Doge S.A. , una tale prospettiva apparendo non compatibile, a fronte della diversità dei fatto, con la chiara ed inequivoca contestazione mossa a B. di un concorso posto in essere con i sessantanove utilizzatori delle fatture stesse ciò non toglie che debba essere effettuata la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica di Milano per ogni sua valutazione al riguardo. 10. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto come contestato non è previsto dalla legge come reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato dispone trasmettersi gli atti ai P.M. presso il Tribunale di Milano.