Quale il parametro per ammetter l’istanza di revoca di misura nei delitti con violenza alla persona?

La tipologia di delitti in relazione ai quali deve trovare applicazione l’art. 299, comma 3, c.p.p. laddove impone a pena di inammissibilità l’obbligo di preventiva notifica, alla persona offesa dei delitti commessi con violenza alla persona, delle istanza di revoca o modifica di misure cautelari in essere risulta individuata dalla legge non già in termini astratti con riguardo al nomen iuris del titolo dei reati, corrispondenti alla classificazione contenuta nel libro secondo del codice penale o nelle leggi speciali, ma con riferimento al concreto atteggiarsi delle modalità commissive della condotta, che devono essere connotate in fatto da violenza alla persona”.

Questo l’importante principio di diritto affermato nella pronuncia della I sezione Penale della Corte di Cassazione n. 49339, depositata il 15 dicembre. Il caso di specie. Con la sentenza del 15 dicembre la Cassazione è chiamata a pronunciarsi sulla interpretazione dell’articolo 299 comma 3 c.p.p., così come modificato dalla legge n. 119/2013, laddove richiama il dettato del comma 2- bis e quindi il novero dei delitti commessi con violenza alla persona . Come noto, infatti, per effetto della novella legislativa, nei procedimenti aventi ad oggetto i delitti appena menzionati, la richiesta di revoca o modifica della misura cautelare in essere proposta ai sensi dell’art. 299 c.p.p. deve, a pena di inammissibilità della istanza stessa, essere preceduta dalla notifica alla persona offesa, che entro due giorni può presentare memorie ai sensi dell’art. 121 c.p.p Nel caso in esame, il Tribunale della libertà di Venezia, adito in sede di appello cautelare, aveva confermato la declaratoria di inammissibilità di istanza di revoca presentata a favore di indagato per il delitto di tentato sequestro di persona a scopo di estorsione artt. 56, 630 c.p. , per non essere stata l’istanza notificata alla persona offesa ai sensi dell’art. 299 comma 3 c.p.p Avverso l’ordinanza del Tribunale della libertà la difesa propone ricorso per cassazione evidenziando che gli indagati erano stati tratti in arresto prima di poter porre in essere alcun atto violento nei confronti del sequestrando e che pertanto, nel caso di specie, non poteva ritenersi sussistente l’obbligo di previa notifica alla persona offesa, operante solo laddove, facendo riferimento al caso concreto e non al nomen iuris della fattispecie astratta, la condotta sia stata posta in essere con concreta violenza alla vittima. Evidenzia altresì il ricorrente che il concetto di violenza menzionato nell’art. 299 comma 2- bis c.p.p. deve essere interpretato restrittivamente come mera violenza fisica, con conseguente esclusione di tutti i casi di mera minaccia o di violenza solo psichica. Poiché nel caso di specie nessuna violenza fisica era stata posta in essere in danno della vittima il ricorrente deduce la violazione di legge in relazione all’art. 299 comma 3 c.p.p. e richiede il conseguente annullamento della impugnata ordinanza. All’ampiezza del concetto di violenza In prima battuta, osservano gli Ermellini dissattendendo sul punto la doglianza del ricorrente, l’ampiezza del concetto di violenza alla persona, con il riferimento generico e privo di ulteriori specificazioni nel testo della legge, non può consentire, sul piano interpretativo, alcun discrimine tra le diverse forme di violenza, sia essa fisica, psichica, morale, né in linea generale sulla base di tipologie di delitto consumate ovvero arrestatesi alla soglia del delitto tentato, comunque penalmente rilevante ex art. 56 c.p Sul punto, l’interpretazione proposta dal ricorrente deve essere rigettata, non essendovi alcun motivo per rifarsi ai parametri interpretativi adottati in relazione alla nozione di violenza alla persona” contenuta nella nota clausola scriminante di cui al discusso art. 649 c.p fa da contraltare la necessità di un accertamento in concreto. Ben diverse, per contro, le conclusioni a cui perviene la Suprema Corte in merito alla ulteriore censura del ricorrente. Infatti, secondo gli Ermellini, l’obbligo imposto al richiedente la revoca o la modifica in melius della misura cautelare, a pena di inammissibilità, di notificare al difensore della persona offesa, ovvero in mancanza direttamente a quest’ultima, la stessa richiesta di revoca o di modifica al fine di stimolare un contraddittorio, opera, per testuale dettato legislativo, solo per i delitti commessi con violenza alla persona . Detta individuazione, prosegue la Cassazione, non viene compiuta dal legislatore con il riferimento a termini astratti e dunque al nomen iuris del titolo del reato, bensì in relazione al concreto atteggiarsi delle modalità commissive della condotta, nel singolo caso specifico, modalità che, appunto, devono risultare connotate in fatto da violenza alla persona”. Ciò che rileva dunque è l’effettiva manifestazione nel caso singolo e concreto di una violenza alla persona, come si evince sia dal dato letterale della legge, sia dalla esistenza del correlato obbligo previsto per la polizia giudiziaria di comunicare immediatamente ai servizi socio – assistenziali o comunque al difensore della persona offesa l’intervenuta attenuazione del regime cautelare dell’indagato per reati commessi in suo danno. La ratio della normativa è, infatti, quella di assicurare una miglior tutela proprio alle vittime di concrete condotte violente, suscettibili di potenziali reiterazioni in caso di modifica dello status cautelare dell’incolpato. Le conseguenze nel caso in esame. Facendo applicazione dei suddetti principi di diritto, che invero paiono ricondurre a termini di maggiore ragionevolezza una normativa che, seppur fondata su condivisibili ragioni di tutela della vittima c.d. debole”, pareva eccessivamente ampia, la Cassazione rileva come nel caso concreto sottoposto al suo vaglio l’arresto dei rapitori era avvenuto ancor prima che gli stessi potessero avere alcun contatto con la vittima che, dunque, non poteva aver patito alcuna forma di violenza. Poiché, quindi, nel caso di specie, seppur non per desistenza dell’indagato, ma per tempestivo intervento delle forze di Polizia, nessuna violenza si era concretizzata sulla persona offesa non poteva dirsi operante l’obbligo di preventiva notifica alla persona offesa della istanza de libertate , a nulla valendo in contrario il nomen iuris del pur gravissimo delitto che l’indagato si accingeva a porre in essere. Ne consegue l’annullamento con rinvio della impugnata ordinanza di inammissibilità. Il paradosso. Pur condivisibile nell’intento di limitare l’applicazione della novella legislativa, la pronuncia in esame finisce, per altro verso, per stigmatizzare l’incongruità e il paradosso del parametro legislativo adottato, che appesantisce e grava di oneri il delicato percorso procedimentale posto a tutela della libertà dell’indagato sulla base della esistenza di una mera violenza in concreto di qualsivoglia genere, natura ed entità patita dalla persona offesa, prescindendo completamente dalla gravità del delitto posto in essere dall’indagato laddove ovviamente lo stesso consenta l’applicazione di misure cautelari .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 29 ottobre – 15 dicembre 2015, n. 49339 Presidente Vecchio – Relatore Sandrini Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 24.06.2015 il Tribunale di Venezia, costituito ai sensi dell'art. 310 cod.proc.pen., ha rigettato l'appello proposto da G.G. avverso l'ordinanza emessa l'8.05.2015 con cui il GIP in sede aveva rigettato l'istanza di revoca o modifica della misura cautelare della custodia in carcere applicata nei confronti dei G. per il reato, commesso in concorso con altri, di cui agli artt. 56-630 cod. pen., consistito nel compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco al sequestro a scopo di estorsione della persona di B.L., appostandosi nelle vicinanze dell'abitazione familiare della vittima, al fine di chiedere il pagamento di 600.000 euro per la sua liberazione. Il Tribunale, preso atto che l'indagato non aveva notificato l'istanza originaria alla persona offesa dal reato, riteneva assorbente il difetto della condizione di ammissibilità prevista dall'art. 299 comma 3 cod.proc.pen., in relazione alla natura di delitto commesso con violenza alla persona del reato ascritto al G., la cui carenza era rilevabile d'ufficio e comportava di per sé il rigetto dell'appello. 2. Ricorre per cassazione G.G., personalmente, deducendo violazione di legge, in relazione all'art. 299 comma 3 cod.proc.pen., e vizio di motivazione dell'ordinanza impugnata, contestando la sussistenza a suo carico dell'obbligo di notificare l'istanza di revoca o modifica della misura cautelare alla persona offesa dal reato e lamentando l'omesso esame dei merito dell'istanza, con riguardo alle dedotte esigenze di salute connesse al compimento del settantesimo anno di età. In particolare, il ricorrente contesta la riconducibilità del reato a lui ascritto al novero dei delitti commessi con violenza alla persona, da intendersi comprensivi solo di quelli implicanti l'uso di violenza fisica, richiedente il dispiegamento di un'energia sopraffattrice, con esclusione della minaccia e della mera violenza psichica deduce la natura irragionevole di una diversa interpretazione della norma, tale da rendere eccessivamente gravoso l'esercizio del diritto di difesa rileva che il reato di cui all'art. 630 cod. pen. può essere realizzato con modalità differenti, che spaziano dalla violenza fisica alla minaccia, non considerate dal Tribunale in relazione al caso di specie, nel quale il delitto era contestato nella sua forma tentata, priva di connotazioni violente in danno della persona offesa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini e con le precisazioni che seguono. 2. La novella di cui al D.L. n. 93 del 2013, convertito con modificazioni nella legge n. 119 del 2013, ha introdotto nell'art. 299 del codice di rito, che disciplina la revoca e la sostituzione delle misure cautelare personali, la previsione - al comma 3 - dell'obbligo della parte che chieda la modifica in melius dello status cautelare di notificare, a pena di inammissibilità, al difensore della persona offesa ovvero, in mancanza di esso, direttamente a quest'ultima salvo che non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio la richiesta di revoca o modifica che non sia stata proposta in sede di interrogatorio di garanzia di una delle misure coercitive che maggiormente limitano la libertà dell'indagato, tra le quali per quanto qui interessa quella della custodia in carcere prevista dall'art. 285 cod.proc.pen., al fine di stimolare l'instaurazione di un contraddittorio cartolare sulla richiesta stessa, e ciò con esclusivo riguardo ai procedimenti di cui al precedente comma 2-bis introdotto nel corpo dell'art. 299 dalla medesima novella , che sono quelli che hanno per oggetto testuale i delitti commessi con violenza alla persona . La tipologia di delitti in relazione ai quali deve trovare applicazione la novità normativa risulta, dunque, individuata dalla legge non già in termini astratti, con riguardo al nomen iuris dei titolo dei reati, indicati singolarmente o per categorie giuridiche tipiche, corrispondenti alla classificazione contenuta nel libro secondo del codice penale o nelle leggi speciali, ma con riferimento al concreto atteggiarsi delle modalità commissive della condotta, che devono essere connotate in fatto da violenza alla persona , secondo una modalità esplicativa della condotta dell'agente che può caratterizzare perciò un genus indeterminato di delitti, a prescindere dal loro inquadramento sistematico formale e dal bene giuridico protetto in via principale dalla relativa incriminazione non necessariamente riconducibile, sul piano tecnico, al novero dei delitti contro la persona . Una corretta esegesi del testo normativo impone pertanto di valorizzare, agli effetti di verificare l'insorgenza dell'obbligo di notificare alla persona offesa dal reato la richiesta di revoca o sostituzione della misura coercitiva applicata al presunto autore, non tanto la riconducibilità teorica del delitto, che è stato contestato nel titolo cautelare, a una fattispecie legale astratta connotata - nel suo schema dommatico - dalla violenza alla persona, quanto invece l'effettiva manifestazione, nel singolo caso, di una condotta materiale caratterizzata dalla concreta esplicazione di atti di violenza in danno della persona offesa ciò che risponde non solo alla lettera della legge, ma anche alla ratio oggettiva della novella normativa emergente dalla lettura coordinata del comma 3 col comma precedente - 2-bis - che ha contestualmente introdotto l'obbligo della polizia giudiziaria di comunicare immediatamente, nei medesimi casi, ai servizi socio assistenziali e al difensore della persona offesa, o in mancanza direttamente a quest'ultima, l'attenuazione del regime cautelare della persona indagata per fatti di violenza commessi in suo danno , che è quella di assicurare nuovi e migliori strumenti, informativi e di tutela, ai soggetti deboli che siano vittime di condotte violente suscettibili di potenziale reiterazione in caso di modifica dello status cautelare dei soggetto responsabile. L'ampiezza del riferimento lessicale alla violenza in genere, e senza ulteriori specificazioni alla persona , che deve connotare le modalità commissive dell'azione delittuosa, non può dunque consentire, sul piano ermeneutico, alcuna distinzione tra le diverse forme di violenza - fisica, psicologica, morale - in cui la stessa può concretizzarsi, né tra fattispecie consumate o tentate, sempre che queste ultime siano pervenute a uno stadio tale di attuazione della condotta da aver dato luogo alla concreta estrinsecazione di atti di violenza, che costituiscono l'elemento qualificante e imprescindibile dell'insorgenza dell'obbligo di notifica previsto dalla legge, la cui finalità di apprestare uno strumento di tutela sul piano processuale a una platea indifferenziata di persone, offese da una ampia gamma di delitti, non permette alcun automatico recepimento, ai relativi effetti, dei risultati dell'elaborazione giurisprudenziale della nozione di violenza alle persone operata da questa Corte - in tema di delitti contro il patrimonio commessi in danno di congiunti - ai diversi e più limitati effetti di diritto sostanziale di circoscrivere l'operatività della speciale causa di non punibilità prevista dall'art. 649 cod. pen., la cui giustificazione razionale costituisce oggetto di critiche sempre più serrate da parte della dottrina e della giurisprudenza sotto il profilo dei suoi ritenuti aspetti anacronistici. 3. Facendo applicazione al caso di specie dei principi di diritto così delineati, va rilevato che dal testo dell'ordinanza in data 7.01.2015 contenuta nel fascicolo trasmesso a questa Corte dal giudice di merito con cui il Tribunale di Venezia aveva rigettato la richiesta di riesame proposta dal G., confermando l'ordinanza genetica, applicativa della custodia cautelare in carcere, emessa dal GIP nei suoi confronti, risulta che l'indagato era stato arrestato in flagranza dai carabinieri, appostatisi all'esito di pregressa attività investigativa sul luogo di programmata esecuzione del sequestro nei pressi dell'abitazione della vittima, interrompendo l'azione delittuosa prima che il G., stazionante insieme ai complici - in attesa che il minore uscisse di casa - a bordo di un'autovettura sulla quale la perquisizione successiva aveva consentito di rinvenire i mezzi che dovevano servire a immobilizzare e camuffare la vittima , avesse compiuto atti di violenza o di costrizione di qualsiasi tipo in danno della persona offesa. In assenza del presupposto di fatto costituito dalla concreta esplicazione di una violenza anche solo morale sulla persona della vittima dei tutto verosimilmente ignara dell'azione delittuosa in corso di attuazione ai suoi danni , per quanto non riconducibile alla volontà dell'agente ma al tempestivo intervento della polizia giudiziaria, deve dunque escludersi l'insorgenza dell'obbligo previsto dall'art. 299 comma 3 cod.proc.pen. di notificare alla persona offesa la richiesta di revoca o sostituzione della misura coercitiva, che non poteva perciò essere dichiarata inammissibile sul solo presupposto dell'inottemperanza dei ricorrente a un incombente al quale non era tenuto. 4. Per tale assorbente ragione l'ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Venezia perché proceda, con piena libertà di giudizio e nell'ambito del devoluto, a un nuovo esame, anche nel merito, dell'appello cautelare proposto da G.G La cancelleria trasmetterà copia della presente sentenza al direttore dell'istituto penitenziario di appartenenza dell'indagato, ai sensi dell'art. 94 comma 1-ter disp. att. cod.proc.pen P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame, con integrale trasmissione degli atti, al Tribunale di Venezia in funzione di giudice dell'appello de libertate. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario, ai sensi dell'art. 94 co. 1-ter, disp. att. c.p.p