Beccato in possesso di droga, contatta lo spacciatore... Condannato per favoreggiamento

Inequivocabile la condotta dell’uomo, che ha sì fornito il numero di telefono del fornitore alle forze dell’ordine, ma, allo stesso tempo, ha contattato il suo referente dicendogli di buttar via la scheda telefonica. Illogico sostenere che la chiamata sia stata frutto di paura.

Beccato in possesso di droga per uso personale. Collabora con le forze dell’ordine per l’individuazione dello spacciatore. Ma l’aiuto offerto è solo una finzione Allo stesso tempo, difatti, chiama il fornitore dello stupefacente e gli ‘suggerisce’ di disfarsi della scheda telefonica utilizzata di solito. Legittima la condanna per il reato di favoreggiamento personale”. Irrilevante il fatto che alla fine lo spacciatore sia stato individuato comunque Cassazione, sentenza n. 49277, sezione Sesta Penale, depositata il 14 dicembre 2015 . Controllo. Blitz delle forze dell’ordine. L’uomo tenuto sotto controllo viene fermato egli è in possesso di stupefacente appena acquistato. Per alleggerire la propria posizione egli fornisce il numero di cellulare utilizzato abitualmente dal fornitore . Ciò consente di effettuare alcune importanti intercettazioni , ma, allo stesso tempo, consente di far emergere il ‘doppio gioco’ dell’uomo. Egli, difatti, immediatamente dopo l’acquisto della droga , ha fornito un avvertimento al fornitore , dicendogli di non contattarlo più e di liberarsi della scheda telefonica utilizzata . Per i giudici di merito, vista la condotta tenuta dal consumatore di droga, è corretta la contestazione del reato di favoreggiamento personale nei confronti dello spacciatore. Telefonata. E ora la visione tracciata tra Tribunale e Corte d’appello viene condivisa dai magistrati della Cassazione. Pare inequivocabile, difatti, la condotta tenuta dall’uomo. Egli ha evidentemente favorito il proprio fornitore di droga. Nessun dubbio è possibile, una volta ricostruita la vicenda. L’uomo, colto dagli agenti immeditatamente dopo l’acquisto di sostanza stupefacente , ha svelato il numero telefonico del proprio fornitore , però ha anche provveduto ad avvertire lo spacciatore della necessità di disfarsi della scheda telefonica . Chiaro l’obiettivo evitare l’identificazione dello spacciatore, poi coinvolto nelle successive indagini sul commercio dello stupefacente. E poco plausibile è l’obiezione difensiva proposta, cioè che egli abbia contattato il fornitore per chiedergli di non chiamarlo più, in quanto spaventato dai controlli subiti . A smentire questa ricostruzione sono le intercettazioni , da cui emerge che dopo il controllo, chiamò una prima volta il suo fornitore, intimandogli di liberarsi della scheda, e poi operò una successiva chiamata per verificare l’esecuzione della disposizione appena impartita . Tutto ciò conduce alla conferma della condanna per il favoreggiamento realizzato nei confronti dello spacciatore.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 ottobre – 14 dicembre 2015, n. 49277 Presidente Milo – Relatore Petruzzellis Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 13/11/2614, ha confermato la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Grosseto nei confronti di G.M. in relazione all'imputazione di cui all'art. 378 cod. pen. in ragione dell'avvertimento dato al suo fornitore di stupefacente, immediatamente dopo l'acquisto, di non contattarlo più e di liberarsi della scheda telefonica utilizzata. 2. Con il primo motivo di ricorso la difesa di G.M. deduce la presenza nella sentenza impugnata dei vizi di cui all'art. 606 comma 1 lett. b ed e cod. proc. pen. nell'individuazione degli elementi costitutivi del reato, poiché non si è tenuto conto della concreta collaborazione offerta dall'interessato per l'individuazione del reato consumato dal terzo, mentre la mancata indicazione nominativa del proprio fornitore era conseguenza della sua mancata conoscenza del dato, peraltro sopperito, ai fini identificativi, dall'indicazione fornita con il riferimento al numero di cellulare in uso allo stesso. Peraltro, in forza degli elementi in possesso degli investigatori, la condotta addebitata al G. era risultata inidonea al fine di realizzare lo scopo concreto dell'aiuto al terzo. Si contesta inoltre l'esistenza dell'elemento psicologico del reato, poiché l'interessato non era a conoscenza di ulteriori indagini a carico del fornitore, al di fuori della vendita realizzata in suo favore. 3. Con il secondo motivo si deduce violazione di cui all'art. 506 comma 1 lett. e cod. proc, pen. con riferimento alla sussistenza dei dolo del reato, che nella sentenza si assume condizionato dalla consapevolezza in capo all'agente della natura consueta delle intercettazioni in tema di reati in materia di stupefacenti, la cui qualificazione come dato notorio si contesta, nel presupposto della non indefettibilità di tale approfondimento. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile, perché proposto per motivi non consentiti. 2. Preliminarmente deve darsi conto dell'impossibilità di accogliere l'istanza proposta dal difensore con atto trasmesso presso al Cancelleria in data 22/10/2015 invero, il concomitante impegno professionale evocato quale condizione ostativa risulta già fissato e noto al professionista fin dal gennaio del corrente anno, circostanza che imponeva all'interessato di comunicare a questa Corte, all'atto della ricezione dell'avviso di fissazione della presente udienza, risalente al 28/07/2015, o comunque in data immediatamente successiva, la sussistenza della impossibilità a presenziare, come richiesto dalla disposizione contenuta nell'art. 420 ter comma 5 cod. proc. pen che condiziona il riconoscimento del rinvio per legittimo impedimento alla pronta comunicazione dello stesso, che, per quanto esposto, non é dato ravvisare nel caso concreto. 3. Nel merito il ricorso é inammissibile per manifesta infondatezza e genericità, essendo costituito dalla reiterazione delle deduzioni di merito poste a fondamento dell'appello, il cui sviluppo risulta aver ignorato le argomentazioni spese al riguardo nella pronuncia impugnata, che traccia l'orizzonte valutativo nel quale deve muoversi il giudizio di legittimità. La condotta descritta integra sui piano oggettivo e soggettivo il reato di favoreggiamento contestato, poiché, come è chiaramente spiegato nella pronuncia, l'interessato, colto dagli agenti immediatamente dopo l'acquisto di sostanza stupefacente per uso personale, ammise l'acquisto, svelando agli inquirenti solo il numero telefonico del proprio fornitore, salvo a provvedere contestualmente ad avvertire quest'ultimo della necessità di disfarsi della scheda, condotta che poteva perseguire esclusivamente lo scopo di non permettere l'identificazione dell'accusato delle successive indagini, ed in relazione alla quale risulta correttamente ravvisato il dolo del reato. Le giustificazioni di fatto espresse dall'interessato nel giudizio di merito per fornire una interpretazione alternativa alla sua condotta -relativa alla necessità di richiedere ai fornitore di non richiamarlo più in quanto spaventato dai controlli subiti-, ed in questa sede reiterate, non si confrontano con l'opposto accertamento richiamato nella pronuncia impugnata, ove si dà conto che, grazie alle intercettazioni in corso si é appreso che G1, immediatamente dopo il controllo subito, chiamò una prima volta il suo fornitore intimandogli di liberarsi della scheda, ed operò una successiva chiamata per verificare l'esecuzione della disposizione appena impartita, ad ulteriore chiarimento del suo interesse ad annullare le tracce offerte agli inquirenti per l'identificazione. Tali circostanze realizzano l'elemento oggettivo e soggettivo del reato contestato, 4. La deduzione di una illogicità della motivazione, fondata sulla natura, notoria o meno, delle intercettazioni telefoniche nei procedimenti in tema di stupefacenti, risulta frutto di una cattiva interpretazione della pronuncia in esame, che si limita correttamente a rilevare le plurime finalità elusive connesse alla sparizione della scheda telefonica, quale unico elemento utile fornito dall'interessato agli inquirenti, che quest'ultimo ha consapevolmente posto in essere per una finalità che, sulla base del contenuto delle comunicazioni intercettate, non poteva che includere l'interesse alla tutela del fornitore, elemento rispetto al quale il ricorrente non ha offerto alcuna congrua analisi alternativa di merito, fondata su elementi desumibili dagli atti, che si possano ritenere ingiustamente trascurati. In tal senso del tutto pretestuosa e priva di basi argomentatine risulta la denunciata presenza del vizio lamentato. 5.L'accertamento di inammissibilità dei ricorso impone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado e della somma indicata in dispositivo e ritenuta equa, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile li ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.