Dell’abuso risponde anche il nudo proprietario, se…

In tema di reati edilizi, la responsabilità per la realizzazione di opere abusive è configurabile anche nei confronti del nudo proprietario che ha la disponibilità dell'immobile ed un concreto interesse all'esecuzione dei lavori, se egli non allega circostanze utili a dimostrare che si tratti di interventi realizzati da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà.

Lo ha stabilito la Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 48451, depositata il 9 dicembre 2015. L’offensività dell’abuso edilizio-paesistico Nella sentenza in commento, la Suprema Corte richiama i propri principali orientamenti in tema di reati edilizi e paesistici, con riguardo al problema della concreta offensività dell’illecito penalmente rilevante. In tema di abuso paesaggistico, il principio di offensività opera in relazione all'attitudine della condotta ad arrecare pregiudizio al bene tutelato, in quanto, essendo reato di pericolo, non è richiesta la causazione del danno. L'incidenza della condotta sull'assetto del territorio non può inoltre essere esclusa dalla successiva attestazione della compatibilità paesaggistica dell'opera, rilasciata dell'autorità competente. Veniva così confermata, nel caso di specie, la responsabilità dell'imputato per abuso paesaggistico, avendo egli realizzato dei percorsi pedonali, protetti da vetrate, in area sottoposta a vincolo specifico. Inoltre, il reato di pericolo previsto dall'art. 181 del d.lgs. n. 42/2004, non richiede ai fini della sua configurabilità un effettivo pregiudizio per l'ambiente, essendo sufficiente l'esecuzione, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato, le cui conseguenze sull'assetto del territorio perdurano anche se l'amministrazione competente attesta la compatibilità paesaggistica delle opere eseguite. Del pari, in tema di reati ambientali, il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell'abuso edilizio eseguito in zona vincolata non esclude la punibilità del reato di pericolo di cui all'art. 181, comma 1 bis , d.lgs. n. 42/2004, che non richiede per la sua integrazione un effettivo pregiudizio per l'ambiente, in quanto il rilascio di tale provvedimento non implica automaticamente che l'opera realizzata possa ritenersi ex ante inoffensiva o inidonea a compromettere il bene giuridico tutelato. ed il titolo abilitativo necessario per la ristrutturazione edilizia. Per l’individuazione del concetto di totale difformità dell’intervento edilizio rispetto al progetto iniziale, occorre riferirsi all’articolo 31 del TUE Testo Unico dell’Edilizia – d.P.R. n. 380/2001 , a norma del quale sono interventi eseguiti in totale difformità quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione rispetto a quelle oggetto del permesso stesso. Rispetto al permesso di costruire, dunque, la difformità totale si delinea allorché i lavori riguardino un’opera diversa per conformazione e strutturazione da quella contemplata nel provvedimento in tale ipotesi, si applica la pena di cui all’art. 44, lett. b TUE. La difformità parziale si delinea invece allorché i lavori tendano ad apportare variazioni, circoscritte in senso qualitativo e quantitativo, alle opere così come identificate nel provvedimento in siffatta ipotesi, si applica la pena di cui all’art. 44, lett. a TUE. La difformità totale, in effetti, si verifica allorché si costruisca aliud pro alio , in una situazione nella quale l’esecuzione dei lavori è assistita da un permesso di costruire meramente apparente o non pertinente. Altra ipotesi è quella in cui i lavori eseguiti esulino radicalmente dal progetto approvato, nel senso che essi tendano a realizzare opere aggiuntive a quelle consentite e che abbiano una loro autonomia e novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale come ad esempio allorché venga realizzato un edificio a più piani in aggiunta a quello o a quelli stabiliti dal permesso . Il concetto di difformità parziale si riferisce, invece, ad ipotesi residuali, tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza da valutarsi in relazione al progetto approvato , nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione autonoma. Il permesso di costruire è sempre necessario? Non sempre le ristrutturazioni necessitano di permesso di costruire. La pronuncia in esame consente pure di approfondire la tematica relativa al titolo abilitativo di volta in volta necessario nel caso di ristrutturazioni aventi una portata più o meno innovativa” rispetto all’edificio preesistente. A tal proposito, occorre rilevare che sono sempre realizzabili con Dichiarazione di Inizio Attività oggi parzialmente sostituita dalla Segnalazione Certificata di Inizio Attività le ristrutturazioni edilizie di portata minore, quelle, cioè, che determinano una semplice modifica dell'ordine in cui sono disposte le diverse parti che compongono la costruzione, in modo che, pur risultando complessivamente innovata, questa conserva la iniziale consistenza urbanistica.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 ottobre – 9 dicembre 2015, n. 48451 Presidente Franco – Relatore Rosi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16 aprile 2013, il Tribunale di Cagliari ha dichiarato B.C. responsabile a dei reato di cui all'art. 44, lett. C dei D.P.R. n. 380 del 2001 per aver realizzato senza concessione edilizia, in zona sottoposta a vincolo paesistico ex D.M. 25 marzo 1996, lavori di sbancamento con scavo b dei reato di cui all'art. 181, comma 1 bis, del d.lgs. n. 42 del 2004, per aver realizzato le opere in zona sottoposta a vincolo paesaggistico senza relativo nulla-osta e, riconosciute le attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di mesi 8 e giorni 10 di reclusione fatto accertato in Carloforte, il 25 febbraio 2008. 2. Con sentenza dei 24 novembre 2014, la Corte di Appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza dei Tribunale di Cagliari, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti dei predetto in ordine al reato di cui al capo a perché estinto per prescrizione, ed ha ridotto la pena inflitta a otto mesi di reclusione inoltre, ha escluso l'ordine di rimessione in pristino dei luoghi e la subordinazione della sospensione condizionale della pena a tale ripristino, confermando nel resto. 3. Avverso la sentenza, l'imputato ha proposto, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione per i seguenti motivi 1 La sentenza sarebbe viziata nella parte in cui ha attribuito la responsabilità per i fatti contestati all'imputato atteso che egli era solo nudo proprietario dei terreni su cui era stato costruito il presunto edificio abusivo. II padre dell'imputato era, infatti, l'usufruttuario ed aveva sempre riconosciuto la propria responsabilità per i fatti di cui è processo. 2 II ricorrente ha lamentato, altresì, il vizio di motivazione con riferimento alla qualificazione dei fatti contestati e alla loro data di realizzazione. Erronea sarebbe l'imputazione nella parte in cui si è fatto riferimento all'assenza di concessione edilizia, mentre nel caso di specie, proprio perché era stata rilasciata la concessione edilizia per la ricostruzione di una cisterna interrata al servizio del fondo agricolo, si sarebbe dovuto parlare di parziale difformità. Inoltre, la natura dell'opera, che non ha prodotto alcun danno ai beni tutelati e non ha prodotto alterazioni negative dello stato dei luoghi non avendo inciso sul territorio e sull'ambiente, non poteva essere ricondotta alla fattispecie incriminatrice contestata. Quanto al tempus commissi delicti, l'immagine satellitare prodotta avrebbe confermato che i lavori di sbancamento sarebbero stati realizzati nel 2005. In sostanza, secondo la difesa, nel 2005, erano stati realizzati senza concessione edilizia lo sbancamento e lo stradello, mentre B. Battista aveva chiesto l'autorizzazione per la cisterna che era stata realizzata in maniera difforme nel 2008. In definitiva, si tratterebbe di opere diverse e frazionabili rispetto alla cisterna, pertanto, rispetto a tali opere sarebbe compiuto il termine di prescrizione. Considerato in diritto 1. Le censure prospettate dal ricorrente, oltre ad essere meramente ripetitive di quelle già proposte in appello, tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio, che devono essere rimessi all'esclusiva competenza del giudice di merito, mirando a prospettare una versione del fatto diversa e alternativa rispetto a quella posta a base del provvedimento impugnato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte cfr. Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148 , il giudizio di legittimità - in sede di controllo sulla motivazione - non può concretarsi nella rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione o nell'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili. 2. Orbene, nel caso di specie, con motivazione congrua e priva di smagliature logiche, la sentenza impugnata ha correttamente affermato la responsabilità dell'imputato in ordine al reato contestato, ritenendo prive di pregio le doglianze difensive. Come affermato da questa Corte così Sez. 3, n. 39400 del 21/03/2013, Spataro, Rv. 257676 , in tema di reati edilizi, la responsabilità per la realizzazione di opere abusive è configurabile anche nei confronti dei nudo proprietario, che abbia la disponibilità dell'immobile ed un concreto interesse all'esecuzione dei lavori, a meno che egli non alleghi circostanze utili a dimostrare che si tratti di interventi realizzati da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà. 3. Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha escluso con motivazione logica e coerente che le condotte contestate fossero da attribuire in via esclusiva al padre dell'imputato, ormai deceduto, in quanto usufruttuario dei terreni su cui erano state realizzate le opere abusive. I giudici dì merito, infatti, hanno evidenziato che nella nota indirizzata all'Ufficio tecnico dei Comune di Carloforte, era stato l'imputato a dichiarare che i lavori edilizi di costruzione sarebbero stati eseguiti in proprio inoltre, il direttore dei lavori nel trasmettere la dichiarazione di rinuncia ha dichiarato di rinunciare per motivi personali all'incarico del sig. B.C. . 4. Alla luce di tali considerazioni risulta evidente, pertanto, che l'intervento abusivo non poteva essere considerato come opera esclusiva dell'usufruttuario realizzata all'insaputa dei nudo proprietario. Sicché correttamente i giudici merito hanno ritenuto sussistente la responsabilità dell'imputato anche se nudo proprietario dei terreni, evidenziando come le dichiarazioni autoaccusatorie dei padre fossero state in realtà funzionali a scagionare il figlio, e perciò altrettanto correttamente, hanno ritenuto privo di pregio l'assunto difensivo secondo il quale, solo il padre dell'imputato, in qualità di usufruttuario e dunque di possessore dei terreno, avrebbe dovuto essere considerato autore dei reato contestato. 5. Del pari, risultano infondate le censure prospettate con riferimento alla qualificazione giuridica dei fatti. Sul punto, la sentenza impugnata ha evidenziato che l'autorizzazione n. 7/2007 non aveva certamente assentito l'intervento relativo alla realizzazione di uno stradello di 100 metri per il quale, invece, trattandosi di opera di urbanizzazione primaria, sarebbe stata necessaria la concessione edilizia la legislazione sarda non ha ancora adottato la terminologia del D.P.R. n. 380 del 2001, ma nella sostanza i due istituti si equivalgono . Peraltro, i giudici di merito hanno evidenziato come la testimonianza del Sabiu aveva chiarito che gli scavi riguardavano un'area maggiore rispetto a quella che sarebbe stata necessaria per la cisterna. 6. Per quanto attiene alla intervenuta dichiarazione di conformità, ne è stata esclusa la rilevanza dai giudici dei merito in applicazione dei principio per cui il reato di pericolo previsto dall'art. 181 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non richiede ai fini della sua configurabilità un effettivo pregiudizio per l'ambiente, essendo sufficiente l'esecuzione, in assenza di preventiva autorizzazione, di interventi che siano astrattamente idonei ad arrecare nocumento al bene giuridico tutelato, le cui conseguenze sull'assetto del territorio perdurano anche se l'amministrazione competente attesta la compatibilità paesaggistica delle opere eseguite cfr. Sez. 3, n. 11048 del 18/02/2015, Murgia, Rv. 263289 . E' stato anchtaffermato che il positivo accertamento di compatibilità paesaggistica dell'abuso edilizio eseguito in zona vincolata non esclude la punibilità del reato di pericolo di cui all'art. 181, comma 1-bis, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, che non richiede per la sua integrazione un effettivo pregiudizio per l'ambiente, in quanto il rilascio di tale provvedimento non implica automaticamente che l'opera realizzata possa ritenersi ex ante inoffensiva o inidonea a compromettere il bene giuridico tutelato Sez. 3, Sentenza n. 21029 del 03/02/2015, Dell'Utri, Rv. 263978 . 7. Conformemente agli indirizzi sopra citati, la Corte territoriale ha dato atto di alcuni elementi fattuali che hanno assunto significativo rilievo ai fini della valutazione di incidenza delle opere sull'assetto del paesaggio. La motivazione della sentenza impugnata, infatti, ha ritenuto che non potesse considerarsi inoffensiva la realizzazione abusiva di uno sbancamento di terra e la realizzazione di una stradina di quasi 120 metri di lunghezza e di quasi 5 metri di larghezza in una zona assoggettata al vincolo speciale della dichiarazione di notevole interesse pubblico. Di conseguenza, i giudici di merito hanno concluso con motivazione esaustiva che l'opera realizzata aveva costituito non già la classica pista di campagna, bensì un'opera imponente che aveva mutato i tratti caratteristici della zona. 8. Da ultimo, deve essere rigettata l'eccezione di prescrizione del reato. Infatti, anche con riferimento alla censura relativa alla datazione delle opere, si tratta ancora una volta di un accertamento di fatto che non può essere demandato al giudizio di legittimità, ove la motivazione dei provvedimento impugnato sia stata congruamente e logicamente motivata. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha precisato che, all'atto di accertamento da parte del Corpo Forestale, i lavori abusivi erano ancora in corso tale circostanza era stata confermata dalle fotografie in atti, che attestavano la presenza delle attrezzature da cantiere ancora in corso, scavi e movimenti di terra recentissimi, atteso che, come ha sottolineato il giudice di merito, la sede dei lavori non era interessata dalla crescita di erba, e vi erano anche dei tubi a vista. Sotto un diverso profilo, la sentenza impugnata ha altresì dato conto del fatto che era possibile ravvisare nelle opere realizzate i caratteri di un intervento unitario di modifica strutturale del terreno, e dunque ritenendo priva di fondamento la prospettiva difensiva finalizzata a prospettare la possibilità di valutare le opere separatamente, segmentando il tempus commissi delicti per ciascuna di esse. 9. Peraltro, giova ricordare che il reato di cui all'art. 181 D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, qualora sia realizzato attraverso una condotta che si protrae nel tempo, come nel caso di realizzazione di opere edilizie in zona sottoposta a vincolo, ha natura permanente e si consuma con l'esaurimento totale dell'attività o con la cessazione della condotta per qualsiasi motivo cfr. Sez. 3, Sentenza n. 24690 del 18/02/2015, Mancini, Rv. 263926 . Pertanto, tenuto conto della data di accertamento del reato avvenuta in data 25 febbraio 2008, con un termine lungo di prescrizione di sette anni e mezzo, e considerati i periodi di sospensione determinati dai reiterati rinvii del dibattimento disposti per l'adesione del difensore alle astensioni proclamate dagli organismo di categoria per un totale di centosessantadue giorni , i termini di prescrizione del reato contestato non sono ancora decorsi. Per tali motivi, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.