Atti persecutori: lo stato d’ansia non esclude la frequentazione di luoghi pubblici

Il comportamento molesto di cui all’art. 612 bis c.p. può trovare attuazione anche in luoghi come bar, discoteche e stabilimenti balneari, dal momento che la presenza di un perdurante e grave stato di ansia o paura non esclude che la vittima possa continuare a frequentare locali pubblici.

Così la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 48332/15, depositata il 7 dicembre. Il caso. Imputato condannato per il reato, tra gli altri, di atti persecutori ex art. 612 bis in danno di una donna con cui aveva intrattenuto una breve relazione sentimentale. Dopo la conferma della condanna da parte della Corte d’appello territoriale, l’uomo si rivolge ai Giudici di legittimità secondo l’imputato, infatti, le condotte contestate non potrebbero considerarsi reiterate, trattandosi di episodi sporadici e nemmeno idonei a generare nella vittima uno degli eventi richiesti dalla norma - episodi, peraltro, avvenuti in circostanze di tempo e di luogo tali da escludere ogni compromissione della sfera privata della parte offesa, essendosi verificati prevalentemente in luoghi ricreativi come bar, discoteche, stabilimenti balneari e persino all’interno del bar gestito dall’imputato. Secondo l’imputato, inoltre, deve essere esclusa la sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto per potersi ritenere integrato il reato di atti persecutori, dal momento che dall’istruttoria sarebbe emersa la sua mancanza di coscienza e volontà di perseguire la parte offesa al fine di generarle uno degli eventi descritti dall’art. 612 bis. Bastano anche due sole condotte di minaccia e di molestia. Gli Ermellini, innanzitutto, hanno precisato che gli atti ed i comportamento reiterati dell’imputato sono stati correttamente ritenuti dai Giudici di merito integranti il reato di stalking, a fronte dell’abitualità della condotta e della produzione nella parte offesa, in conseguenza di tale condotta, di un perdurante e grave stato di ansa o di paura. La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha più volte precisato che integrano il delitto di atti persecutori anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice. Lo stato d’ansia non esclude la frequentazione di luoghi pubblici. La circostanza secondo cui alcuni degli episodi contestati si sarebbero verificati in luoghi tali da indurre ad escludere la compromissione della sfera privata , poi, secondo i Giudici di Piazza Cavour, è stata correttamente ritenuta non significativa, dal momento che il comportamento molesto può trovare attuazione anche in tali luoghi e, comunque, la presenza di un perdurante e grave stato di ansia o paura non esclude che la vitta possa continuare a frequentare locali pubblici. Il dolo generico integra l’elemento soggettivo. Per quanto concerne poi il dolo nel delitto di cui all’art. 612 bis c.p., infine, dal Palazzaccio hanno chiarito che esso nel caso di specie risulta integrato, occorrendo per tale fattispecie il dolo generico, consistente nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un’intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l’agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 giugno – 7 dicembre 2015, numero 48332 Presidente Vessichelli – Relatore Pezzullo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 28.3.2013 la Corte d'Appello di L'Aquila confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Pescara in data 16.2.2011, con la quale P.F. era stato condannato, unificati i reati dal vincolo della continuazione, con l'aumento per la recidiva, alla pena di anni uno e mesi cinque di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede, per i reati di atti persecutori di cui all'articolo 612 bis c.p. capo a , lesioni capo b e violenza privata capo c in danno di Z.M. , con la quale aveva intrattenuto una breve relazione sentimentale, non rassegnandosi alla fine di essa decisa dalla donna. 2. Avverso tale sentenza l'imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, con i quali lamenta - con il primo motivo, il vizio di cui all'articolo 606, primo comma, lett. b c.p.p., in relazione all'articolo 612 bis, c.p., atteso che, nel caso di specie non è stata raggiunta la certezza processuale necessaria al fine di una pronuncia di condanna, non essendo stato superato il limite del al di là di ogni ragionevole dubbio , imposto dall'articolo 533 c.p.p., dell'elemento oggettivo e di quello soggettivo richiesti dall'articolo 612 bis c.p. le condotte del P. non possono intendersi reiterate, trattandosi di sporadici episodi, nemmeno idonei a generare nella vittima uno degli eventi richiesti dalla norma, trovando ciò conferma nelle stesse dichiarazioni rese dalla parte offesa, le quali fugano ogni dubbio sull'insussistenza del disagio psichico necessario ai fini di una pronuncia di condanna tutti gli episodi, infatti, sono avvenuti in circostanze di tempo e di luogo tali da escludere anche una minima compromissione della sfera privata, essendosi verificati prettamente in luoghi ricreativi quali bar, discoteche, stabilimenti balneari e, in una circostanza, perfino all'interno del bar gestito dal P. stesso dall'istruttoria espletata è emerso come il prevenuto non avesse la coscienza e volontà di perseguire la parte offesa al fine di generarle uno dei numerosi eventi descritti dall'articolo 612 bis, essendo spinto semplicemente dal desiderio di riprendere la relazione sentimentale interrotta della Z. tale particolare situazione emotiva consente di escludere ragionevolmente la sussistenza dell'elemento soggettivo richiesto per potersi ritenere integrato il reato di atti persecutori - con il secondo motivo, il vizio di cui di cui all'articolo 606, primo comma, lett. b c.p.p., in relazione all'articolo 582 c.p., atteso che nel caso in esame mancano elementi oggettivi che provino che il prevenuto abbia coscientemente e volontariamente cagionato una lesione personale alla Z. , risultando fondata la responsabilità penale dell'imputato unicamente sulle dichiarazioni rese dalla parte offesa secondo il costante orientamento giurisprudenziale, alla formazione del libero convincimento del Giudice può concorrere anche la testimonianza della persona offesa, ma in considerazione dell'interesse di cui la stessa persona offesa è portatrice, più rigorosa deve essere la valutazione di tale testimonianza ed opportuno appare il riscontro con altri elementi probatori nel caso di specie, le dichiarazioni rese dalla p.o. sono da ritenere inattendibili in quanto configgenti, sia con il contenuto dell'annotazione di P.G. redatta dagli agenti intervenuti, sia con quanto dichiarato dai medesimi in sede testimoniale e l'impianto accusatorio non ha trovato ancoraggio in elementi probanti concreti e certi emersi nel corso del dibattimento - con il terzo motivo, il vizio di cui all'articolo 606, primo comma, lett. b c.p.p., in relazione all'articolo 610 c.p., atteso che l'imputato è stato condannato per il delitto di violenza privata, nonostante dall'istruttoria dibattimentale non siano emersi quegli elementi certi ed univoci indispensabili ai fini di una pronuncia di condanna le risultanze processuali hanno evidenziato che la condotta del ricorrente non integra la fattispecie delittuosa ascrittagli nel capo e della rubrica, essendo emerso che l'imputato chiese il favore alla Z. di essere accompagnato nell'officina ricevendone risposta positiva e giunti sul posto la stessa volontariamente rimaneva in macchina ad aspettarlo da tanto appare evidente che nel caso di specie non sono emersi gli elementi necessari per potersi ritenere integrata la fattispecie di cui all'articolo 610 c.p., atteso che la condotta posta in essere dall'imputato non era connotata da violenza, né da minaccia, né tantomeno era tesa a coartare la libertà psichica della p.o. anche per il reato di cui al capo c dell'imputazione, il Giudice di merito ha fondato responsabilità del ricorrente sulla base delle dichiarazioni rese dalla p.o., discostandosi ampiamente dai principi giurisprudenziali sopra ricordati, non avendo compiuto un rigoroso esame dell'attendibilità intrinseca del dichiarante, atteso l'interesse cui la p.o è portatrice - con il quarto motivo, la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'articolo 606, primo comma, lett. e c.p.p., in relazione alla mancata concessione delle generiche ex articolo 62 bis c.p., non essendo i precedenti penali di per sé ostativi alla concessione delle attenuanti generiche, sebbene indicativi della personalità del prevenuto. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile, presentandosi in più punti generico ed essendo, comunque, manifestamente infondato. 1. Ed invero, l'imputato, con il primo motivo di ricorso, nel dedurre in maniera alquanto confusa l'insussistenza di elementi di responsabilità a suo carico al di là di ogni ragionevole dubbio , ripropone per un verso alcune questioni già addotte con l'atto di appello e risolte dalla Corte territoriale senza incorrere in vizi e dall'altro svolge doglianze del tutto generiche disancorate dal complesso degli elementi posti a suo carico. 1.1. In particolare, per quanto concerne la sporadicità degli episodi non idonea ad integrare la condotta abituale in contestazione, si osserva che tale deduzione trova smentita alle emergenze in atti come descritte dalle sentenze di merito, risultando denunciati dalla p.o. plurimi episodi criminosi, posti in essere dall'imputato, realizzati, con protrazione in un arco temporale significativo, mediante minacce, invio di messaggi oltraggiosi sulla utenza cellulare della donna, scritti sulla chat, lesioni, molestie al citofono alla Z. , determinati dalla circostanza della fine della relazione sentimentale con la predetta. 1.2. Dunque gli atti ed i comportamenti reiterati dell'imputato, volti a minacciare e molestare la p.o., correttamente sono stati ritenuti dai giudici di merito integranti il reato di stalking, tenuto conto dell'abitualità della condotta e della produzione nella p.o., in dipendenza di tale condotta, di un perdurante e grave stato di ansia o di paura. Per quanto concerne l'abitualità è sufficiente richiamare sul punto i principi più volte espressi da questa Corte, secondo cui integrano il delitto di atti persecutori, di cui all'articolo 612 bis cod. penumero , anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice Sez. 5, numero 6417 del 21/01/2010, Rv. 245881 . 1.3. La circostanza secondo cui alcuni degli episodi contestati si sarebbero verificati in luoghi tali da indurre ad escludere la compromissione della sfera privata, trattandosi di luoghi ricreativi, è stata correttamente ritenuta non significativa, atteso che ben può trovare attuazione il comportamento molesto anche in tali luoghi e, comunque, la presenza di un perdurante e grave stato di ansia o paura non esclude che la vittima possa continuare a frequentare locali pubblici. 1.4. Per quanto concerne, poi, il dolo nel delitto di cui all'articolo 612 bis c.p., anche esso nel caso in esame risulta integrato, occorrendo per tale fattispecie il dolo generico, consistente nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi Sez. 5 numero 18999 del 19/02/2014, Rv. 260411 . 2. Manifestamente infondato si presenta il secondo motivo di ricorso, relativo all'assenza di prova in relazione al delitto di lesioni. Ed invero, a prescindere dalla certificazione medica a comprova, le dichiarazioni della p.o. ritenute pienamente attendibili, anche perché riscontrate dalla dichiarazioni di altri testi, sono state ritenute correttamente dai giudici di merito idonee a dimostrare la responsabilità dell'imputato. Sul punto, giova richiamare i principi affermati da questa Corte, secondo cui le regole dettate dall'articolo 192, comma 3, cod. proc. penumero non trovano applicazione relativamente alle dichiarazioni della parte offesa queste ultime possono essere legittimamente poste da sole a base dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell'attendibilità intrinseca del racconto S.U., numero 41461 del 19.7.2012 Sez. 4, numero 44644 del 18/10/2011, Rv. 251661 Sez. 3, numero 28913 del 03/05/2011, C, Rv. 251075 Sez. 3, numero 1818 del 03/12/ 2010, Rv. 249136 Sez. 6, numero 27322 del 14/04/2008, De Ritis, Rv.240524 . Il vaglio positivo dell'attendibilità del dichiarante deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, di talché tale deposizione può essere assunta da sola come fonte di prova unicamente se venga sottoposta a detto riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva. Può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di una specifica pretesa economica la cui soddisfazione discenda dal riconoscimento della responsabilità dell'imputato. Inoltre, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione che la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto, che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni cfr. ex plurimis Sez. 6, numero 27322 del 2008, De Ritis, cit. Sez. 3, numero 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342 Sez. 6, numero 443 del 04/11/2004, dep. 2005, Zamberlan, Rv. 230899 Sez. 3, numero 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv. 227493 Sez. 3, numero 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232 , che nel caso di specie non si ravvisano. La sentenza impugnata, inoltre, ha compiutamente esaminato anche le divergenze tra il narrato della p.o. e le dichiarazioni del Carabiniere escusso, fornendo in proposito plausibile e non illogica spiegazione. 3. Manifestamente infondato si presenta, altresì, il terzo motivo di ricorso, relativo al delitto di violenza privata, in quanto tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte di Cassazione nell'ennesimo Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal Giudice per giungere alla decisione Sez. V, 04/06/2013 numero 39471 . In merito, poi, alla idoneità delle dichiarazioni della p.o. a fondare il giudizio di responsabilità dell'imputato vanno richiamate le considerazioni svolte sub 2 . 4. Del tutto generico si presenta il quarto motivo di ricorso, relativo alla mancata concessione delle generiche ex articolo 62 bis c.p., atteso che i giudici di merito, senza illogicità, hanno messo in risalto la ragione ostativa della cattiva personalità dell'imputato, già condannato per reati di lesioni ed armi. D'altra parte, l'esistenza di precedenti penali specifici può rilevare ai fini del diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche e dei benefici di legge Sez.6, numero 38780 del 17/06/2014 , avendo peraltro tali attenuanti lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all'imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo Sez. Ili, 27/01/2012, numero 19639 all'evidenza non ravvisate nella fattispecie in esame. 5. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile a colpa del ricorrente, al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 1800,00 oltre accessori come per legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del d.lgs. 196/03, in quanto disposto di ufficio.