Dichiarazioni della persona offesa: la perizia psicologica non è obbligatoria

In materia di reati sessuali verso minorenni, non si può considerare inattendibile la testimonianza della persona offesa esclusivamente in ragione del mancato espletamento della perizia psicologica tale valutazione è utile, ma non costituisce un accertamento indefettibile.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 47267/2015, depositata il 30 novembre. Il caso. La Corte d’Appello di Milano, condannava un imputato per i reati di cui agli artt. 81 cpv, 609 bis e ter c.p. violenza sessuale in continuazione . Il condannato ricorreva per cassazione, contestando la valutazione operata dai giudici di merito sulle dichiarazioni della parte offesa, minorenne all’epoca dei fatti. Il ricorrente contestava, inoltre, il mancato espletamento della consulenza psicologica inerente allo sviluppo cognitivo della parte lesa, osservando come tali mancanze avessero determinato il difetto di elementi indispensabili ai fini della verifica sulla credibilità della stessa. La credibilità del minore deve essere valutata in senso omnicomprensivo. La Suprema Corte ha precisato come l’espletamento di perizia psicologica sulla parte offesa non costituisca un atto indefettibile del procedimento. In particolare, gli Ermellini hanno ribadito il costante orientamento giurisprudenziale per cui l’uso di tale strumento deve ritenersi proficuo, ove concentrato sull’attitudine del minore a testimoniare, sia sotto un profilo intellettivo, sia dal punto di vista della credibilità del medesimo. La Corte di legittimità ha evidenziato che la credibilità del minore deve essere valutata in base ad un giudizio omnicomprensivo, in relazione alla posizione psicologica dello stesso rispetto alle circostanze, alla sua attitudine a testimoniare, alle sue condizioni emotive ed alle dinamiche familiari da cui è coinvolto. Deve, peraltro, essere oggetto di esame anche la capacità del minore di recepire le informazioni, di raccordarle e di esprimerle. Gli Ermellini hanno, però, chiarito che, nell’ambito dei reati sessuali verso minorenni, non si può tacciare d’inattendibilità la testimonianza della persona offesa esclusivamente in ragione del mancato espletamento della perizia psicologica, dovendosi ritenere utile, ma non imprescindibile, tale strumento probatorio. La Suprema Corte ha sottolineato che, l’inosservanza dei criteri previsti dalla Carta di Noto, per l’esame del minore, non comporta nullità o inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte. Nel caso in cui la perizia non sia stata espletata, l’attendibilità del minore deve essere valutata sulla base di altri elementi di prova oggettivi e precisi, cui il giudice deve dare adeguata motivazione. Il giudice, ha precisato il Collegio, è libero di ricorrere ad un’indagine tecnica finalizzata a fornire informazioni e dati sul grado di maturità psichica della persona offesa le considerazioni sull’attendibilità della prova competono al solo magistrato. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha rispettato i principi affermati e, per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 – 30 novembre 2015, n. 47267 Presidente Fiale – Relatore De Masi Ritenuto in fatto Con sentenza n. 3958/2015 la Corte di Appello di Milano, ha confermato la sentenza emessa dal G.I.P. del Tribunale di Varese, in data 24/3/2010, a seguito di giudizio abbreviato, nei confronti di S.O. , che aveva dichiarato l'imputato responsabile del delitto di cui agli artt. 81 cpv, 609 bis e ter, -perché in tre circostanze, tra il omissis , costringeva S.S. nata il OMISSIS e quindi all'epoca dei fatti minore degli anni 14 a subire atti sessuali - meglio descritti nel capo d'imputazione - ingenerando nella vittima il timore di essere percossa, minacciandola di non dire nulla alla madre con la frase altrimenti vedi - e ritenuta l'ipotesi di cui all'art. 609 bis c.p., previa applicazione della diminuente di rito, lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, con i doppi benefici di legge. Avverso la sentenza l'imputato propone, personalmente, ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, concludendo per l'annullamento della impugnata sentenza, con ogni conseguente statuizione. Il ricorrente, con il primo motivo, si duole, ai sensi dell'art. 606, c.1, lett. c, c.p.p., con riferimento ai criteri di valutazione delle prove, del fatto che la Corte di Appello ha ritenuto di poter fondare l'affermazione di responsabilità penale dell'imputato sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, escludendo ogni possibile influenza di processi di auto o etero suggestione, oppure di mera esaltazione o fantasia, in assenza di indagine positiva e rigorosa, circa l'attendibilità delle dichiarazioni accusatorie. Deduce il ricorrente che il mancato esperimento dell'incidente probatorio, il mancato espletamento di consulenza o perizia psicologica sullo sviluppo cognitivo e sociale della minore, sulla storia familiare della medesima, hanno fatto mancare elementi di giudizio indispensabili per valutare la credibilità della minore. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole, ai sensi dell'art. 606, c.1, lett. e, c.p.p., della manifesta illogicità della motivazione in quanto ricavata su di una ricostruzione dei fatti basata integralmente sulle dichiarazioni della parte lesa, con violazione dell'art. 192 c.p.p., e sostiene che dalla intervenuta revoca della parte civile possa desumersi una sorta di ripensamento circa le gravi accuse formulate a suo carico. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole, ai sensi dell'art. 606, c.1, lett. b, c.p.p., del diniego di concessione delle attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., basato sulla ritenuta mancanza di elementi valutabili a tal fine a favore dell'imputato , ciò nonostante lo stato d'incensuratezza ed il comportamento processuale tenuto, non avendo valore preclusivo né la mancata confessione, né l'indisponibilità a risarcire il danno. Con il quarto ed ultimo motivo di doglianza, il ricorrente deduce vizio di motivazione e violazione dell'art. 133 c.p., in relazione ai criteri di determinazione della pena, essendo stata nell'impugnata sentenza ingiustamente definita mite e del tutto congrua quella comminata dal giudice di prime cure, senza alcuna considerazione della condotta di vita, del contesto sociale e familiare dell'imputato. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. Con il primo motivo di doglianza, il ricorrente si duole della valutazione, operata dei giudici di merito, circa la capacità a testimoniare della parte offesa, all'epoca dei fatti infraquattordicenne, e quindi circa l'attendibilità delle dichiarazioni rese dalla stessa, essendo il minore esposto a fenomeni di auto ed etero suggestione, ed ha evidenziato come S.S. , nel descrivere i toccamenti e le posture assunte dal suo abusante, non avesse mostrato né vergogna, né tentennamenti, in modo non confacente ad una narrazione post-traumatica, sicché non essendo stata ritenuta la necessità di disporre alcuna consulenza o perizia psicologica, si sarebbero dovute vagliare in maniera più rigorosa le possibili motivazioni a mentire, così come le altrettanto possibili influenze suggestive derivanti dall'ambiente familiare della minore. Con il secondo motivo di doglianza il ricorrente deduce, sotto il profilo del vizio motivazionale, l'incoerenza logica delle argomentazioni con le quali la Corte di Appello di Milano ha valutato il materiale probatorio acquisito e della lettura, in chiave di assenza di interesse economico strumentale, dell'intervenuta revoca della costituzione di parte civile della parte offesa. Entrambi i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, vanno disattesi. L'espletamento di una perizia psichiatrica o psicologica sulla capacità della minore a rendere consapevole testimonianza e per valutare l'attendibilità delle sue dichiarazioni, che di per sé non è un mezzo di prova, non rappresenta un passaggio istruttorio indefettibile. È opportuno a detto proposito ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che la valutazione del contenuto della dichiarazione del minore, parte offesa in materia di reati sessuali, in considerazione delle complesse implicazioni che la materia stessa comporta, deve contenere un esame dell'attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo utile ed esatto della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne. È stato così ritenuto proficuo l'uso dell'indagine psicologica, che concerne due aspetti fondamentali l'attitudine del bambino a testimoniare, sotto il profilo intellettivo ed affettivo, e la sua credibilità. Il primo consiste nell'accertamento della sua capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all'età, alle condizioni emozionali, che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e natura dei rapporti familiari. Il secondo - da tenere distinto dall'attendibilità della prova, che rientra nei compiti esclusivi del giudice - è diretto ad esaminare il modo in cui la giovane vittima ha vissuto ed ha rielaborato la vicenda in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna Sez. 3, n. 896 del 23/7/1997, Rv. 208447 o che la credibilità di un bambino deve essere esaminata in senso omnicomprensivo, valutando la posizione psicologica del dichiarante rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne, la sua attitudine a testimoniare - che coinvolge la capacità di recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle -, le sue condizioni emozionali in riferimento alle relazioni con il mondo esterno ed alle dinamiche familiari, nonché i processi di rielaborazione cognitiva delle vicende vissute, processi tanto più limitati quanto più il bambino è in tenera età Sez. 3, n. 23278 del 6/4/2004, Rv. 229421 o che la valutazione del contenuto delle dichiarazioni della persona offesa minorenne deve contenere un esame sia dell'attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo esatto, ovvero di recepire le informazioni, raccordarle con altre e di esprimerle in una visione complessa, sia della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne che hanno regolato le sue relazioni con il mondo esterno Sez. 3, n. 20568 del 10/4/2008, Rv. 239879 o che, in tema di reati sessuali su minori in tenera età, è illegittimo, per violazione del principio della formazione della prova in contraddittorio, il rifiuto del giudice di disporre una perizia psicologica in contraddittorio, al fine di accertare l'aderenza alla realtà o meno della narrazione dei fatti, in dipendenza di eventuali elaborazioni fantasiose proprie dell'età o della struttura personologica del minore Sez. 3, n. 26692 del 23/2/2001, Rv. 250629 . È stato però anche precisato, in tema di reati sessuali nei confronti di minori che il mancato espletamento della perizia in ordine alla capacità a testimoniare non rende per ciò stesso inattendibile la testimonianza della persona offesa, giacché un tale accertamento, seppure utile laddove si tratti di minori di età assai ridotta, non è tuttavia un presupposto indispensabile per la valutazione dell'attendibilità, ove non emergano elementi patologici che possano far dubitare della predetta capacità Sez. 3, n. 38211 del 24/10/2011, Rv. 251381 che non determina nullità o inutilizzabilità l'inosservanza dei criteri dettati dalla cosiddetta Carta di Noto nella conduzione dell'esame dei minori persone offese di reati di natura sessuale, e non è neanche, di per sé, ragione di inattendibilità delle dichiarazioni raccolte, pur quando l'esame sia condotto dal consulente o dal perito in sede di consulenza o perizia Sez. 3, n. 15157 del 16/12/2010,. Rv. 249898 che il mancato espletamento della perizia in ordine alla capacità a testimoniare non rende per ciò stesso inattendibile la testimonianza della persona offesa, giacché un tale accertamento, seppure utile laddove si tratti di minori di età assai ridotta, non è tuttavia un presupposto indispensabile per la valutazione dell'attendibilità, ove non emergano elementi patologici che possano far dubitare della predetta capacità Sez. 3, n. 38211 del 7/7/2011, Rv. 251381 . Ne discende che, quando la capacità a testimoniare e l'attendibilità del minore non sia stata accertata attraverso una perizia o quando questa non sia stata svolta col rispetto di protocolli generalmente riconosciuti e condivisi dalle relative comunità scientifiche, allora la valutazione sulle dette capacità ed attendibilità deve necessariamente fondarsi su altri oggettivi e sicuri elementi di prova o di riscontro ed è onere del giudice dare di ciò adeguata e puntuale motivazione Sez. 3, n. 1235 del 2/10/2012, Rv. 254414 . In ogni caso, il giudice può senz'altro fare ricorso ad una indagine tecnica che fornisca dati inerenti al grado di maturità psichica del teste minore vittima di abusi sessuali, per valutarne l'attitudine a testimoniare, ovvero la capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessiva, ma non - anche - per valutare l'attendibilità della prova, poiché tale operazione rientra nei compiti esclusivi del giudice Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, Rv. 251662 . Nel caso in esame, la motivazione della Corte territoriale, in merito all'attendibilità delle dichiarazioni rese dalla minore non manca affatto di coerenza ed anzi testimonia una analisi approfondita di tutte le deduzione delle parti, nonché un dettagliato esame di tutte le risultanze processuali, condotta proprio al fine di far cadere ogni ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell'imputato. Nella specie, infatti, la valutazione di capacità della minore a testimoniare e di attendibilità dei suoi racconti, è stata desunta da una molteplicità di elementi. Innanzitutto, le modalità con le quali la minore ha esternato i fatti che le erano accaduti, dapprima ad una amica B. , nell'occasione mostrando turbamento, piangendo ed affermando di avere timore di parlarne con la madre , e solo successivamente alla madre, dopo che l'amica e la sorella della abusata avevano convinto quest'ultima a confidarsi con la genitrice, che dunque non poteva averla in alcun modo suggestionata. In secondo luogo, dal riscontro offerto dalle dichiarazioni della neuropsichiatra, dott.ssa Bo. , alla cui osservazione la madre aveva sottoposto la minore, dopo averne ricevute le confidenze, e quindi dopo averne potuto parlare approfonditamente con la figlia dell'accaduto. Neppure è rimasta senza rilievo la circostanza, come evidenziato dai giudici d'appello, che i fatti sono stati denunciati alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Milano, non già dalla madre, ma dalla suindicata professionista, soggetto che esprime obiettivamente una posizione del tutto neutra rispetto alla esaminata vicenda. Ed ancora, tra la abusata e l'autore della violenza sessuale vi era stata, per la natura dei rapporti esistenti tra i rispettivi nuclei familiari d'appartenenza, pregressa conoscenza e frequentazione, tant'è che la minore si intratteneva senza timori a casa del coniugi S. , al piano inferiore, in taverna, per guardare la televisione, ed in tale situazione l'imputato aveva approfittato, quanto al primo episodio criminoso, della circostanza che la madre della bambina si intratteneva a discorrere con la propria moglie, al piano superiore dell'abitazione. Né il fatto che con le stesse modalità si siano consumati i due successivi episodi contestati al S. può porsi in contraddizione con la attendibilità della narrazione della minore considerato che, come ben evidenziato nell'impugnata sentenza, l'uomo inizialmente non c'era ed è sopraggiunto successivamente . La esternazione non immediata degli abusi è stata ricollegata, con logica argomentazione, alla progressività della condotta dell'imputato, non a caso definita ingravescente , in quanto il S. , dapprima, si era limitato a infilare la mano negli slip dell'abusata ed a palparle le parti intime, attività interrotta solo per il richiamo della madre di S. al piano superiore, poi, le aveva leccato i genitali da sopra gli slip, infilando una mano negli stessi per palparle le parti intime, mentre con l'altra mano ed un ginocchio impediva alla minore di muoversi, infine, le aveva iniziato a leccare i genitali, dopo averle spostato gli slip cfr. capo di imputazione , in tal modo via via accrescendo il turbamento della ragazzina, non certo priva, data l'età, di una qualche capacità di discernere quanto le stava accadendo, e così inducendola a rivelare a terzi i fatti. Del tutto pretestuoso quindi è il riferimento, contenuto nel primo motivo di ricorso, ad una pretesa quanto sospetta mancanza di vergogna e di tentennamenti della minore nella descrizione delle morbose attenzioni dell'imputato - riportate come da una lista della spesa - considerato che, secondo quanto puntualmente osservato dai giudici d'appello, dopo l'iniziale disagio psicologico che l'aveva portata a raccontare alla madre, piangendo, i fatti in oggetto, superato l’imbarazzo dei primi incontri con la neuropsichiatra, appare plausibile che nel corso delle successive audizioni, la ragazza riuscisse a riferire i fatti in maniera più sicura e distaccata . Non è rimasta fuori dall'analisi della Corte territoriale neppure la questione, dedotta dal ricorrente, di un possibile interesse economico della parte offesa e, sul punto, appare sufficiente richiamare il passaggio motivazione della impugnata sentenza, assolutamente coerente rispetto alle acquisizioni processuali, circa l'intervenuta revoca della costituzione di parte civile, che non può che escludere qualsiasi prospettiva lucrativa legata alla denuncia penale,'e circa l'assenza di apprezzabili motivi di inimicizia o rancore tra le parti, non apparendo plausibile un risentimento dalla minore per i rimproveri ricevuti dalla moglie del S. , e dunque non da quest'ultimo personalmente, per il non positivo merito scolastico, stante la manifesta sproporzione con la gravità della accuse, tale da non poter sfuggire neppure ad una tredicenne. Va da sé, che il conforme convincimento raggiunto dai giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, si rispecchia nella coerenza dell'impianto strutturale dell'impugnata decisione, che non risulta minimamente incrinato dalle argomentazioni che costituiscono l'ossatura dello schema difensivo dell'odierno ricorrente, proprio perché la versione alternativa dei fatti fornita dall'imputato non ha trovato - questa si - alcun riscontro obiettivo nel processo. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole del diniego di concessione delle attenuanti generiche, ex art. 62 bis c.p., ed indica, come già aveva fatto in appello, l'incensuratezza e la correttezza del comportamento processuale, quali elementi da valorizzare, ma la Corte di Appello di Milano ha motivatamente dato valore preclusivo ad altri elementi, ritenuti sfavorevoli, quali l'accusa di intenti calunniosi, l'assenza di resipiscenza, l’indisponibilità a risarcire il danno, oltre che il contesto complessivo in cui i fatti si erano svolti, e non è affatto necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Rv. 256172 . Sul punto, va ribadito il dictum di questa Corte secondo cui, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Rv. 249163 sez. 6, n. 7707 del 4/12/2003, dep. il 23/2/2004, Rv. 229768 . In applicazione dell’art. 616 c.p.p., al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.