Adesione all’astensione dalle udienze: un diritto costituzionalmente garantito

La mancata concessione, da parte del giudice, del rinvio della trattazione dell’udienza camerale, a seguito di specifica richiesta in tal senso da parte del difensore, motivata dalla legittima adesione del legale all’astensione dalle udienze, integra una nullità.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 47285/2015, depositata il 30 novembre. Il caso . La Corte d’Appello di Firenze condannava, confermando la statuizione del giudice di prime cure, un imputato per i reati di cui agli artt. 337 e 339, comma 3, c.p. resistenza ad un pubblico ufficiale aggravata . Il condannato ricorreva per cassazione, lamentando la violazione degli artt. 178 e ss., 420 e ss., 97 c.p.p., con riferimento agli artt. 11 Cost. e 6 CEDU. In particolare, il ricorrente rilevava come il suo difensore avesse comunicato la propria adesione all’astensione dalle udienze, proclamata dall’Unione Italiana delle Camere Penali, e come la Corte territoriale avesse ugualmente proceduto, non ritenendo obbligatoria la presenza del difensore in sede di udienza camerale. L’adesione all’astensione collettiva deve rispettare le modalità previste per la stessa dal codice di autoregolamentazione. La Suprema Corte ha ribadito quanto affermato dalle Sezioni Unite, ovvero il principio per cui la mancata concessione, da parte del giudice, del rinvio della trattazione dell’udienza camerale, a seguito di specifica richiesta in tal senso da parte del difensore, integra una nullità ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c c.p.p., per la mancata assistenza fornita all’imputato. Tale nullità, hanno affermato gli Ermellini, ha carattere assoluto, ove si tratti di udienza camerale a partecipazione necessaria del legale, o carattere intermedio, nelle altre ipotesi. La Corte di legittimità ha sottolineato come tale orientamento tragga origine dalla pronuncia n. 171/1996 della Consulta, la quale ha riconosciuto nell’astensione degli avvocati dalle udienze un diritto di libertà costituzionalmente garantito. La Suprema Corte ha, poi, sottolineato come l’art. 2 bis della l. n. 83/2000 costituisca una norma secondaria, finalizzata a regolamentare l’astensione collettiva degli avvocati dalle udienze, nel rispetto delle disposizioni del codice di rito. Gli Ermellini hanno, peraltro, ricordato come, a parere delle Sezioni Unite, l’astensione costituisca esercizio di un diritto costituzionale del difensore, non essendo dunque riconducibile a tale ipotesi quanto previsto dal codice in materia di legittimo impedimento, istituto correlato alla garanzia di difesa dell’imputato. Il Collegio ha, infine, precisato che l’art. 3 del codice di autoregolamentazione non distingue, ai fini dell’esercizio dell’astensione, tra procedimenti per cui è prevista la partecipazione, anche se non necessaria, da parte del difensore. La Suprema Corte ha sottolineato come il principio affermato sia fondato sul presupposto di un’adesione all’astensione collettiva che rispetti le modalità previste dal codice di autoregolamentazione, che garantisce il bilanciamento degli interessi in gioco.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 12 – 30 novembre 2015, numero 47285 Presidente Rotundo – Relatore Ricciarelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 13-1-2014 la Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza di condanna di M.M. alla pena di anni due e mesi due di reclusione pronunciata con rito abbreviato dal GIP del Tribunale di Lucca per il reato di cui agli artt. 337 e 339 co. 3 cp. 2. Ha presentato ricorso il difensore del M., articolando un unico motivo violazione degli artt. 178 e ss., 420 e ss., 97 cod. proc. penumero , in relazione agli artt. 11 Cost e 6 C.E.D.U. con erronea applicazione della legge ex art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero . Il difensore dell'imputato dinanzi alla Corte territoriale aveva fatto pervenire comunicazione di adesione ad astensione dalle udienze proclamata dall'Unione Italiana delle Camere Penali, ma la Corte aveva proceduto oltre, nel presupposto che, trattandosi di udienza camerale, non era obbligatoria la presenza del difensore. Richiamando giurisprudenza della sesta sezione penale della Corte di cassazione, alla cui stregua l'astensione si sarebbe dovuta considerare espressione di un diritto di libertà, che non può essere conculcato con la compressione del ruolo professionale nel singolo procedimento, il ricorrente deduceva che non si sarebbe potuta fare differenza tra procedimenti a partecipazione necessaria e procedimenti a partecipazione facoltativa, conseguendo comunque dal mancato rinvio la eccepita nullità. Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato. 1.1. II difensore dell'imputato aveva fatto pervenire tempestiva dichiarazione di adesione all'astensione dalle udienze, legittimamente proclamata dall'organismo di categoria. Benché si trattasse di procedimento disciplinato dall'art. 599 cod. proc. penumero , che richiama le forme stabilite dall'art. 127 cod. proc. penumero , e benché dunque non fosse prevista la partecipazione obbligatoria del difensore, quest'ultimo, nell'esercizio di un diritto di libertà, costituzionalmente garantito, aveva diritto al rinvio dell'udienza. 1.2. Deve sul punto richiamarsi il principio affermato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione secondo cui a seguito della dichiarazione di adesione del difensore all'astensione dalla partecipazione alle udienze proclamata dagli organismi rappresentativi della categoria, la mancata concessione da parte del giudice del rinvio della trattazione dell'udienza camerale in presenza di dichiarazione effettuata o comunicata nei modi e con le forme di cui all'art. 3 del codice di autoregolamentazione determina una nullità per la mancata assistenza dell'imputato ai sensi dell'art. 178 comma 1, lett. c cod. proc. penumero , che ha natura assoluta, ove si tratti di udienza camerale a partecipazione necessaria del difensore, ovvero natura intermedia negli altri casi Cass. Sez. U. numero 15232 del 30/10/2014, dep. nel 2015, Tibò, rv. 263021 . E' stato portato in tal modo a compimento un percorso già avviato dalla Corte di cassazione, che attraverso due sentenze delle Sezioni Unite Cass. Sez. U. numero 26711 del 30/5/2013, Ucciero, rv. 255346, e Cass. Sez. U. numero 40187 del 27/3/2014, Lattanzio, rv. 259926 e 259927 aveva rilevato come dopo la sentenza della Corte costituzionale numero 171 del 1996, che aveva riconosciuto all'astensione degli avvocati natura di diritto di libertà costituzionalmente garantito, fosse intervenuta la legge 11 aprile 2000, numero 83, che, modificando la legge 12 giugno 1990, numero 146, aveva introdotto l'art. 2 bis, alla cui stregua era stato affidato al codice di autoregolamentazione, sottoposto al controllo della Commissione di garanzia, il compito di operare un equilibrato bilanciamento degli interessi in gioco. In tal modo secondo le Sezioni Unite della Corte di cassazione il codice di autoregolamentazione aveva assunto natura di normativa secondaria, idonea a disciplinare la materia dell'astensione collettiva degli avvocati dalle udienze, secondo i criteri di competenza o di specialità, senza che potesse ravvisarsi una reale antinomia rispetto alle norme del codice di procedura penale, secondo un criterio gerarchico. La più recente sentenza numero 15232, Tibò, ha risolto la questione concernente la rilevanza dell'adesione ad astensione di categoria anche nel caso di procedimenti nei quali non sia necessaria la presenza dei difensore le Sezioni unite hanno osservato che l'astensione costituisce espressione di un diritto di libertà e non è riconducibile all'alveo del legittimo impedimento, cosicché nulla rileva che la disciplina processuale con riferimento a taluni tipi di procedimento non attribuisca rilevanza all'impedimento dei difensore. Si è in particolare affermato che il legittimo impedimento è funzionale al diritto di difesa dell'imputato, il cui esercizio può essere diversamente modulato in relazione al tipo di procedimento, mentre l'adesione all'astensione di categoria è funzionale all'esercizio di un diritto costituzionale dei difensore, impregiudicati semmai eventuali profili di illegittimità costituzionale in ordine all'irrilevanza in taluni tipi di procedimenti dell'impedimento a comparire dei difensore. Si è aggiunto che l'art. 3 del codice di autoregolamentazione non opera distinzione, ai fini dell'esercizio dei diritto all'astensione, tra i procedimenti per i quali sia prevista la partecipazione, pur non necessaria, da parte del difensore. Di qui la conclusione che l'adesione all'astensione, pur non integrando impedimento, impone il rinvio della trattazione dell'udienza. 2. Poiché nel caso di specie era pervenuta alla Corte di Appello di Firenze la dichiarazione di adesione del difensore all'astensione dalle udienze, dichiarazione che risulta inserita nel verbale di udienza, e poiché nondimeno la trattazione dell'udienza non era stata rinviata, si configura alla luce dei condivisi principi affermati dalle Sezioni Unite, la nullità di tipo intermedio dei giudizio di appello eccepita con il motivo di ricorso. 3. Va solo osservato che il difensore aveva trasmesso una dichiarazione di adesione, non corredata da specifica istanza di rinvio. Peraltro tale dichiarazione sarebbe dovuta intendersi come rivelatrice della volontà di esercitare il relativo diritto costituzionalmente garantito, il quale, come rilevato dalle Sezioni Unite nella citata sentenza Tibò, costituisce di per sé la ragione che giustifica il rinvio cfr. pag. 19 ben si spiega che il principio di diritto affermato da detta sentenza pag. 22 sia incentrato sull'obbligo del rinvio in presenza di una dichiarazione di astensione del difensore, legittimamente proclamata dagli organismi di categoria ed effettuata nelle forme e nei termini di cui all'art. 3, comma 1, del vigente codice di autoregolamentazione , norma che in effetti non richiede altro che la manifestazione della volontà di adesione. Tale manifestazione riassume invero il contenuto dei diritto che si è inteso esercitare, sottendendo la volontà di astensione e di non partecipazione alla trattazione dell'udienza. Contrariamente a quanto ritenuto in una recente pronuncia della Corte di cassazione Cass. Sez. 2, numero 18681 del 15/1/2015, Recupero, rv. 2637711 , non sembra che sia necessaria in aggiunta anche l'univoca manifestazione della volontà di presenziare, giacché il diritto si risolve proprio nella mancata partecipazione, anche nel caso in cui si tratti di procedimento a partecipazione non necessaria, mentre la manifestazione della volontà di adesione all'astensione esprime di per sé un atteggiamento di attenzione verso il procedimento in corso, senza che sia concretamente configurabile secondo quanto invece prefigurato nella richiamata pronuncia il pericolo di uno spostamento della dichiarazione di astensione sul crinale della testimonianza associativa di categoria con potenziale collegamento verso il tema dell'abuso del processo, derivante dalla configurazione, in via ipotetica e astratta, anche di un possibile uso strumentale della dichiarazione di adesione individuale all'astensione collettiva, finalizzata non ad esercitare entrambi i diritti in oggettivo conflitto . In realtà il principio affermato dalle Sezioni Unite muove dall'assunto che l'adesione sia legittima in quanto rispettosa dei limiti e delle modalità individuate dal codice di autoregolamentazione, cui spetta di assicurare il bilanciamento degli interessi potenzialmente confliggenti, cosicché il rispetto di quei limiti e di quelle modalità, a prescindere dal tipo di procedimento, deve ritenersi di per sé sufficiente, senza che possa spostarsi l'analisi sul versante dell'abuso del processo e che possano ravvisarsi pericoli di non esatto bilanciamento degli interessi. 4. In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio a diversa sezione della Corte di appello di Firenze. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.