Il riciclaggio si consuma in ogni caso con la sostituzione dei beni di provenienza delittuosa

In tema di riciclaggio, integra l'elemento oggettivo del reato anche il mero smontaggio di singoli pezzi, pur privi di codice identificativo, di un bene mobile registrato - come un ciclomotore - di provenienza delittuosa, rientrando tale condotta nella nozione normativa di operazione adatta ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene.

Lo ha deciso la Seconda Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46110/15, depositata il 20 novembre. Le varie versioni del delitto di riciclaggio Il riciclaggio va configurato come reato di mera condotta, pur se vincolata al pericolo concreto. L’attuale formulazione dell’art. 648 bis c.p. presenta numerose differenze sia rispetto all’originaria versione, introdotta nel codice penale dall’art. 3 d.l. 21 marzo 1978, convertito nella l. n. 97/1978, sia rispetto alle successive modificazioni, inserite prima dall’art. 23 l. n 55/1990 e successivamente dall’art. 4 l. n. 328/1993. Inizialmente, infatti, il legislatore intese punire unicamente la condotta di sostituzione di denaro o valori con altro denaro o altri valori, restringendo l’ambito d’applicazione della norma in esame ai soli casi di provenienza del denaro o dei valori da rapina aggravata, estorsione aggravata o sequestro di persona a scopo di estorsione. Sotto il profilo dell’elemento oggettivo, il reato in esame fu da principio strutturato quale delitto a consumazione anticipata, con conseguente esclusione della possibilità del tentativo la norma, infatti, vietava i semplici atti o fatti diretti alla sostituzione di denaro sporco” con denaro o altri valori da impiegare in attività economiche o finanziarie. Ulteriore differenza con le successive formulazioni fu costituita dalla configurazione del reato a dolo specifico, consistente nel procurare a sé o ad altri un profitto, o di aiutare taluno ad assicurarsi il profitto del reato. La norma, pertanto, ricalcava l’elemento psicologico dei delitti, rispettivamente, di ricettazione art. 648 c.p. e di favoreggiamento reale art. 379 c.p. . Con la citata legge del 1990, l’art. 648 bis c.p. fu rubricato con la sua attuale denominazione, cioè riciclaggio . Fu altresì ampliato il novero dei reati presupposto, con l’aggiunta dei delitti di produzione e traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope. Inoltre, il legislatore del 1990 affiancò, alla condotta di sostituzione, quella – più generica – di ostacolo all’identificazione dell’illecita provenienza del denaro, allargando l’oggetto materiale del reato anche ai beni e ad ogni altra utilità. Nell’ottica di una politica criminale improntata ad un maggior rigore e controllo sul fenomeno del riciclaggio, quest’ultimo fu configurato come delitto a dolo generico. Fu inoltre introdotta una circostanza aggravante speciale, applicabile ai casi di riciclaggio posto in essere nell’esercizio di un’attività professionale. La ratio di tale aggravante fu quella di colpire con maggior severità quelle categorie professionali soprattutto operatori bancari e finanziari particolarmente esposte al compimento di operazioni di riciclaggio. L’art. 648 bis c.p., inoltre, perse l’originaria struttura di delitto a consumazione anticipata il legislatore del 1990 concepì la fattispecie in esame prevedendo la configurabilità del tentativo secondo i principi generali dell’art. 56 c.p. dall’altro, riportò il momento consumativo del reato al compimento delle singole operazioni di riciclaggio. L’attuale testo dell’art. 648 bis c.p. risalente alla citata l. n. 328/1993 ha ulteriormente innovato la normativa previgente. In primo luogo, è stata introdotta un’altra condotta penalmente rilevante il trasferimento di denaro, beni o altra utilità. In secondo luogo, è stato notevolmente ampliato il novero dei reati presupposti, fino a comprendere qualsiasi delitto non colposo quindi anche preterintenzionale . Il legislatore, inoltre, ha inserito una formula di chiusura, con essa intendendo punire qualsiasi operazione avente ad oggetto denaro, beni o altra utilità, purché effettuata in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di ciò che viene riciclato. A far da contraltare all’indubbio rigore sotteso alla vigente disciplina, il legislatore ha previsto una circostanza attenuante speciale, per l’ipotesi in cui le utilità riciclate provengano da delitto punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. la natura di reato a forma libera Come ribadito nella sentenza in commento, integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l'accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell'aggirare la libera e normale esecuzione dell'attività posta in essere. Pertanto, il reato di riciclaggio, nel caso di autoveicoli, potrebbe prescindere anche da una azione incidente sui dati identificativi numerici e/o documentali del bene mobile registrato. Quanto all’elemento soggettivo del reato, esso è integrato dal dolo generico che consiste nella coscienza e volontà di ostacolare l'accertamento della provenienza dei beni, del denaro e di altre utilità, senza alcun riferimento a scopi di profitto o di lucro. e la differenza con la ricettazione. Giova rilevare che la specificità del reato di cui all'art. 648 bis c.p. si riscontra in quelle attività che siano dirette alla trasformazione parziale o totale della cosa o che, pur non incidendo direttamente sulla medesima, nel senso che non ne alterano i dati esteriori, costituiscono ostacolo all'accertamento della sua origine delittuosa. Esula, pertanto, la figura di reato anzidetto, configurandosi invece quella di ricettazione, prevista dall'art. 648 c.p., nel caso di soggetto il quale, venuto in possesso di un assegno di provenienza illecita, si sia soltanto servito di un intermediario per tentare di cambiarlo presso un istituto di credito.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 5 – 23 novembre 2015, n. 46110 Presidente Esposito – Relatore Pellegrino Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 18.07.2013, la Corte d'appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Modena, in composizione collegiale, in data 20.04.2006, con la quale F.P. era stato condannato alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa per il reato di cui all'art. 648 bis cod. pen. previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nonché del vincolo della continuazione, con la pena accessoria di legge e la condanna al risarcimento del danno a favore della parte civile, B.R. , liquidato in Euro 12.000,00. A F.P. è stato contestato di essersi appropriato dei codici identificativi del motore, del cambio e del telaio di automezzi non più in circolazione perché distrutti in conseguenza di pregressi incidenti stradali e di averli applicati su autovetture di provenienza furtiva. 2. Avverso detta sentenza, F.P. , tramite difensore, propone ricorso per cassazione, lamentando - primo motivo mancanza di motivazione in ordine al primo motivo d'appello essendosi la sentenza di secondo grado limitata a riportare il contenuto della pronuncia di primo grado alla quale ha integralmente aderito omettendo di vagliare criticamente ed analizzare le censure difensive - secondo motivo mancanza di motivazione in ordine al secondo motivo d'appello con il quale la difesa aveva eccepito che i fatti ascritti al prevenuto avrebbero dovuto essere qualificati come acquisto di cose di sospetta provenienza - terzo motivo mancanza di motivazione in ordine al quarto motivo d'appello con il quale la difesa aveva eccepito la necessità di acquisire nuove prove ex art. 507 cod. proc. pen. - quarto motivo erronea applicazione dell'art. 648 bis cod. pen. nella parte in cui il collegio non aveva ritenuto sussumibili i fatti entro il disposto di cui al comma 3 dell'art. 648 bis cod. pen Considerato in diritto 1. Il ricorso, che presenta numerose censure in fatto non scrutinabili in sede di legittimità, è infondato - per taluni motivi, anche in modo manifesto - e, come tale, va rigettato. 2. Con motivazione logica e congrua - e quindi immune dai denunciati vizi di legittimità - la Corte territoriale da conto degli elementi che l'hanno portata ad affermare la penale responsabilità dell'imputato. Va ricordato, in proposito, che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti tra le varie, cfr. Sez. 3, n. 12110 del 19/03/2009 e n. 23528 del 06/06/2006 . Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi , dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento Sez. 3, sent. n. 35397 del 20/06/2007 Sez. U, sent. n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 . Successivamente, è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e , il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene ne1 alla ricostruzione dei fatti ne1 all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile a l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato b l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento Sez. 2, sent. n. 21644 del 13/02/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542 . Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il ricorrente non può, come nel caso che ci occupa limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta. Il vizio della manifesta illogicità della motivazione deve essere evincibile dal testo del provvedimento impugnato. Com'è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte, la sentenza deve essere logica rispetto a sé stessa , cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da altri atti del processo , purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un nuovo giudice del fatto. Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli atti del processo costituisce invero il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto travisamento della prova che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove , prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all'interno della decisione. In altri termini, vi sarà stato travisamento della prova qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste ad esempio, un documento o un testimone che in realtà non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell'imputato . Oppure dovrà essere valutato se c'erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma - occorrerà ancora ribadirlo - non spetta comunque a questa Corte Suprema rivalutare il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito. Per esserci stato travisamento della prova occorre, tuttavia, che sia stata inserita nel processo un'informazione rilevante che invece non esiste nel processo oppure si sia omesso di valutare una prova decisiva ai fini della pronunzia. In tal caso, però, al fine di consentire di verificare la correttezza della motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per cassazione quale sia l'atto che contiene la prova travisata o omessa. Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere carattere di decisività. Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimità una rivalutazione complessiva delle prove che, come più volte detto, sconfinerebbe nel merito. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Bologna alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva. Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia, il ricorrente chiede sostanzialmente una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto. 3. Manifestamente infondato è il primo motivo. Le osservazioni critiche ivi articolate si risolvono nella introduzione di temi in fatto diversi da quelli emergenti dalla ricostruzione - vincolante perché esente da vuoti logici - resa nel doppio giudizio di conformità operato dai giudici del merito, assumendo i toni tipici ed altrettanto inammissibili, delle valutazioni alternative rispetto a quelle segnalate in sentenza non adeguatamente supportate dall'indicazione dei profili di manifesta illogicità del motivare della Corte destinati ad inficiarne il portato. Invero la Corte territoriale, lungi dall'omettere di pronunciarsi sulle censure difensive sollevate con l'atto di appello, ha analiticamente indicato quali alterazioni finalizzate ad ostacolarne l'identificazione avessero subito le autovetture o parti di esse, riconducibili alla mano del F. , e precisamente l'autovettura Volkswagen Golf, originariamente targata , denunciata rubata il omissis da M.F. e venduta a B.R. l'autovettura Lancia Lybra SW, targata , con motore e codice statistico, risultante abbinato all'autovettura tg. , denunciata rubata il omissis da F.N. n. un motore Volkswagen TD avente n. completo di cambio avente n. omissis , originariamente montato sulla vettura Golf tg. . 4. Infondato è il secondo motivo di doglianza. Occorre necessariamente premettere come costituisca principio ormai consolidato della giurisprudenza di questa Suprema Corte che, per integrare l'elemento oggettivo del reato di riciclaggio, è sufficiente il mero smontaggio di singoli pezzi, pur privi di codice identificativo, di un bene mobile registrato, come un'autovettura o un ciclomotore, di provenienza delittuosa, rientrando tale condotta nella nozione normativa di operazione adatta ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene Sez. 2, sent. n. 12766 del 11/03/2011, dep. 29/03/2011, Spagnolo ed altro, Rv. 249678 . Al riguardo, va premesso che, con la riforma attuata dalla L. 9 agosto 1993, n. 328, art. 4, il delitto di riciclaggio è a forma libera, grazie alla previsione di chiusura che, alle condotte di sostituzione o trasferimento, ha aggiunto qualsiasi altra operazione atta ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene è pacifico che possa trattarsi di operazioni anche meramente materiali sui beni diversamente, sarebbe bastato ad integrare il delitto il trasferimento della res , già previsto come condotta rilevante nell'originaria formulazione della norma incriminatrice , purché tali da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa . Il riferimento alle condotte che ostacolano l'identificazione della provenienza delittuosa - e, prima ancora, a quelle di trasferimento - icasticamente evidenzia che la condotta del soggetto attivo del reato può incidere tanto sulla mera identità del bene, ovvero sulla sua riconoscibilità , quanto sulla tracciabilità del suo percorso. Invero, per escludere il delitto di riciclaggio non basta che il bene resti astrattamente tracciabile se poi, proprio in forza di interventi di manomissione delle sue componenti, se ne altera l'identità in modo da non renderlo più riconoscibile. E, per converso, un bene può restare fisicamente identico e, ciò nondimeno, di difficile tracciabilità a cagione di plurimi trasferimenti dopo essere stato sottratto alla sfera di controllo del suo titolare. Nel caso dei beni mobili registrati, la tracciabilità è legata alle relative risultanze documentali e queste ultime all'identità del mezzo che è data non soltanto dagli identificativi fisicamente impressi sul bene come i numeri di telaio o di motore o comunque ad esso incorporati come la targa , ma anche dal modello e dall'epoca di produzione. Di conseguenza, pur senza intaccare il numero di telaio o di motore dell'autovettura, una volta smontati taluni pezzi e sostituiti con altri analoghi, ancorché per ipotesi di modelli differenti per tipo, epoca e/o casa produttrice , si ottiene il medesimo risultato, vale a dire la creazione di un bene non più conforme e, quindi, di non agevole riconoscibilità ai numeri identificativi su di esso rimasti inalterati. Invero, il delitto di riciclaggio è integrato dal compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche soltanto a rendere difficile l'accertamento della provenienza del bene cfr., Sez. 6, sent. n. 16980 del 18/12/2007, dep. 24/04/2008, Papale . Pertanto, non corretta è la tesi secondo cui il delitto di riciclaggio non potrebbe prescindere da un'azione incidente sugli identificativi numerici e/o documentali del bene mobile registrato, né questa Suprema Corte ha mai statuito il contrario. Infatti, come si riconosce in altro precedente della giurisprudenza di legittimità Sez. 2, sent. n. 15092 del 02/04/2007, dep. 13/04/2007, P.M. in proc. Morino e altri, Rv. 236354 , se le operazioni tese ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa possono consistere sia in quelle che incidono sulla cosa o ne alterano i dati esteriori, sia in quelle che lo trasformano o lo modificano parzialmente, allora anche lo smontaggio di un veicolo in singoli pezzi è riconducibile a tale categoria di operazioni. Tale operazione è infatti simile a quelle di taglio di pietre preziose o lo smontaggio e la fusione di gioielli altrimenti riconoscibili, che all'evidenza integrerebbero il delitto di riciclaggio, ricorrendone gli altri presupposti richiesti dalla norma incriminatrice, essendo oggettivamente e soggettivamente finalizzate ad occultare la provenienza delittuosa dei suddetti beni. A tale proposito, va ricordato che questa Corte ha affermato che la disposizione di cui all'art. 648- bis cod. pen., pur configurando un reato a forma libera, richiede che le attività poste in essere sul denaro, bene od utilità di provenienza delittuosa siano specificamente dirette alla sua trasformazione parziale o totale, ovvero siano dirette ad ostacolare l'accertamento sull'origine delittuosa della res , anche senza incidere direttamente, mediante alterazione dei dati esteriori, sulla cosa in quanto tale Sez. 2, sent. n. 47088 del 14/10/2003, dep. 09/12/2003, Rv. 227731 . Non è quindi necessario, per integrare il delitto di riciclaggio di un autoveicolo di provenienza delittuosa, che siano alterati i dati identificativi dello stesso quali il telaio, il numero di targa o quello del motore, potendosi ottenere il risultato di occultarne la provenienza delittuosa anche smontando il veicolo e vendendo o riutilizzando i singoli pezzi. Smontaggio e riutilizzo integrano infatti proprio l'elemento specializzante della più grave fattispecie di riciclaggio rispetto a quella di ricettazione consistente, come detto, nell'ostacolare l'individuazione della provenienza delittuosa dei beni. Fermo quanto precede, rileva il Collegio come, nella fattispecie, la dinamica delle condotte accertate presenza di numerose manomissioni ed alterazioni in un contesto di interventi del tutto seriali non possa lasciare adito a dubbi sulla ricorrenza del reato di riciclaggio ed esclude in radice la possibilità di ipotizzare condotte occasionali, fortuite ed inconsapevoli. 5. Infondato è il terzo motivo di doglianza. Invero, per costante giurisprudenza di legittimità, la mancata assunzione di una prova decisiva - quale motivo di impugnazione per cassazione - può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495, comma 2, cod. proc. pen., sicché il motivo non potrà essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l'invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all'art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione cfr., Sez. 2, sent. n. 9763 del 06/02/2013, dep. 01/03/2013, Rv. 254974 Sez. 2, sent. n. 841 del 18/12/2012, dep. 09/01/2013, Rv. 254052 Sez. 3, sent n. 24259 del 27/05/2010, dep. 24/06/2010, Rv. 247290, secondo cui la mancata ammissione di prove sollecitate al giudice ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen. non costituisce un vizio deducibile ai sensi dell'art. 606, comma primo, lett. d , cod. proc. pen. . 6. Manifestamente infondato è il quarto motivo di doglianza. Invero, come correttamente precisato dalla Corte territoriale, la fattispecie di cui all'art. 648 bis, comma 3, cod. pen., è impropriamente evocata, posto che i reati presupposti risultano essere furti aggravati la sottrazione di un'autovettura costituisce sempre furto aggravato ex artt. 624, 625 n. 7 cod. pen. , tutti puniti con pena edittale superiore nel massimo ad anni cinque di reclusione. 7. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.