Disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ma… è tutto da annullare perché c’è già un procedimento per lo stesso fatto!

Se il potere di azione penale è stato consumato in forza di un procedimento a carico della stessa persona per il medesimo fatto, l’ufficio del pubblico ministero non può esercitarlo nuovamente rimedi alla duplicazione sono l’archiviazione, oppure, se l’azione è stata già iniziata, la pronuncia di sentenza di non doversi procedere.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 45909/15, depositata il 19 novembre. Il caso. Il legale rappresentante di una società cooperativa era accusato di violazione della legge tributaria per non aver versato l’iva per l’anno di imposta 2011. Il pubblico ministero otteneva dal giudice per le indagini preliminari un decreto di sequestro preventivo sulle somme presenti sui conti correnti nonché sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di immobili di proprietà dell’indagato. Proposto ricorso al Tribunale del Riesame, il vincolo veniva confermato. Decreto di sequestro da annullare. La misura è stata disposta in un procedimento la cui azione penale non poteva e non potrà essere proposta perché vi è un altro procedimento per lo stesso fatto e in danno della stessa persona azionato in precedenza dallo stesso ufficio del pubblico ministero. Pertanto, l’ordinanza impugnata e il decreto di sequestro preventivo sono stati annullati con restituzione all’avente diritto di quanto sottoposto a vincolo reale. Duplicazione di procedimenti per lo stesso fatto. Davanti alla Corte di legittimità veniva rilevato che la condotta per la quale è stato disposto il sequestro preventivo era oggetto anche di un procedimento penale diverso, sempre presso la medesima autorità giudiziaria ma giunto alla fase dibattimentale era fissata udienza . Lo stesso fatto aveva dato luogo a due procedimenti, iscritti a distanza di tempo di un anno circa l’uno dall’altro. La duplicazione, come è evidente, viola il divieto di bis in idem . Ne bis in idem. Costituisce ius receptum che l’azione penale non possa essere promossa per un fatto” e a carico di una persona” per il quale un procedimento sia già pendente, anche se eventualmente in fase e grado diversi, nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del pubblico ministero. Rimedi contro la patologia della duplicazione. Se un procedimento è stato duplicato ne deve essere disposta l’archiviazione oppure, nell’ipotesi in cui l’azione penale sia stata esercitata, la causa di improcedibilità deve essere rilevata con sentenza. Essendo consumato” il potere del pubblico ministero di promuovere l’azione penale, si determina una preclusione ad un nuovo esercizio, con l’effetto che il procedimento, tecnicamente, è improcedibile. Se i procedimenti sono in fasi o gradi diversi? Le Sezioni Unite della Cassazione, per illustrare la problematica, hanno fatto ricorso alla figura della preclusione-consumazione del potere di azione penale. Tale figura offre la chiave di lettura per risolvere la questione relativa alla regola del divieto di bis in idem nei casi di litispendenza di procedimenti davanti ad uffici della medesima sede giudiziaria. Potere di azione consumato”. L’ufficio del pubblico ministero che abbia esercitato l’azione penale in relazione ad una determinata imputazione non può successivamente promuovere un nuovo processo contro la stessa persona” per il medesimo fatto” ciò perché restano immutati i termini oggettivi e soggettivi della regiudicanda che determinano consumazione del potere di azione dell’ufficio del pubblico ministero. La non reiterabilità dell’azione penale discende, secondo l’interpretazione della Corte, dall’art. 112 Cost., che sottopone al vincolo di legalità l’obbligatorietà dell’azione penale, insieme alla sua irretrattabilità, se non nei casi previsti dalla legge. Bis in eadem re ne sit actio. La Suprema Corte aggiunge che il principio costituisce corollario della razionalità e dell’ordine del processo che la regola della preclusione-consumazione mira a salvaguardare. Si rileva, al riguardo, che opinando diversamente – e cioè consentendo che lo stesso organo della pubblica accusa possa discrezionalmente reiterare l’esercizio dell’azione penale contro la stessa persona e per il medesimo fatto – il sistema processuale assumerebbe caratteri contraddittori, dissonanti e asimmetrici rispetto al principio di legalità nonché incompatibili con le regole del giusto processo” prefigurato dall’art. 111 Cost Giusto processo e ne bis in idem. Il principio delineato dall’art. 111 Cost. richiede non solo la rispondenza alle regole della ragionevole durata del processo e della parità delle parti in contraddittorio, ma anche il diritto dell’imputato a non essere perseguito più d’una volta per l’identico fatto. Ne bis in idem contro i rischi di abuso del processo”. La Corte sottolinea altresì che il divieto di bis in idem è un antidoto contro prassi anomale caratterizzate da condotte qualificabili come vero e proprio abuso del processo”. Qualora non si riconoscesse al divieto carattere di principio generale dell’ordinamento, potrebbero verificarsi condotte concretamente idonee a vulnerare la regola dell’immediatezza e della concentrazione nella formazione della prova in contraddittorio, rendendo possibile un uso strumentale del potere di azione per finalità inconciliabili con la legalità e l’ordine processuali. Un epilogo necessitato per il secondo procedimento. Il secondo giudice non può che pronunciare sentenza di non doversi procedere o di non luogo a procedere ovvero, quando l’azione penale non sia stata ancora esercitata, decreto di archiviazione per impromovibilità dell’azione stessa. Del resto, sotto quest’ultimo profilo, è stato evidenziato che sarebbe irrazionale imporre al pubblico ministero l’esercizio dell’azione penale al solo fine di instaurare un processo che dovrà necessariamente concludersi con la decisione che l’imputato non avrebbe dovuto essere sottoposto a nuovo procedimento penale.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 ottobre – 19 novembre 2015, n. 45909 Presidente Squassoni – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 30/4-5/5/2015, il Tribunale del riesame di Modena rigettava il ricorso proposto da A.C. e, per l'effetto, confermava il decreto emesso il 5/3/2015 dal Giudice per le indagini preliminari in sede, con il quale era stato disposto il sequestro preventivo della somma di 23.000,27 euro, presente su conti correnti, ed il sequestro preventivo - finalizzato alla confisca per equivalente - di immobili di proprietà del C. allo stesso, nella qualità di legale rappresentante della Ducale società cooperativa, era contestato il delitto di cui all'art. 10-ter, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, per non aver versato l'i.v.a. per l'anno di imposta 2011, per l'ammontare di 690.482 euro. 2. Propone diffuso ricorso per cassazione il C., a mezzo del proprio difensore, deducendo sei motivi - violazione degli art. 321, 322 cod. proc. pen. Il pubblico ministero, dopo aver disposto sequestro preventivo d'urgenza sui conti correnti intestati alla società ed al ricorrente, avrebbe indebitamente esteso la misura anche agli immobili nella disponibilità di questo, formulando apposita istanza al G.i.p. tale mutamento dell'originario sequestro sarebbe inammissibile o quantomeno invalido, dal momento che in tal modo l'originaria domanda sarebbe stata modificata in corso di procedura. Il provvedimento di estensione del vincolo inoltre, non sarebbe stato mai notificato all'interessato, né si conoscerebbe la data della relativa istanza del pubblico ministero - violazione di plurime norme del codice di rito. La procedura illegittima di cui al precedente punto avrebbe comportato, inoltre, la palese violazione degli artt. 356 cod. proc. pen., 114 disp. att. cod. proc. pen. con riguardo al sequestro degli immobili, infatti, nessuno avrebbe avvisato l'indagato né il già nominato difensore di fiducia, con l'effetto paradossale che gli stessi avrebbero avuto conoscenza solo dalla stampa dell'avvenuta estensione del vincolo - violazione di legge per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Il Tribunale dei riesame non avrebbe provveduto a decidere in ordine alla proposta - avanzata dal C. in sede di udienza - di prestazione di cauzione ai sensi dell'art. 85 disp. att. cod. proc. pen., rinviando genericamente al prosieguo dei procedimento e ad una successiva istanza che i ricorrente dovrebbe presentare, non è dato sapere a quale autorità tale mancata pronuncia costituirebbe violazione di legge - violazione del divieto di bis in idem. Il ricorrente sarebbe indagato, in ordine alle medesime condotte, anche in altro procedimento n. 6566/2013 , per il quale sarebbe stata già fissata la prima udienza dibattimentale al riguardo - oltre a segnalare l'anomalia per cui il pubblico ministero di questo diverso procedimento non avrebbe mai richiesto misure cautelare di sorta - si invoca l'art. 649 cod. proc. pen., in forza del quale il secondo procedimento n. 6567/2014 , che ha generato i vincoli reali, non avrebbe mai potuto esser iniziato - violazione degli artt. 321 e 322 cod. proc. pen. per difetto del requisito dell'urgenza. Alla luce di quanto appena riportato, e considerato che sarebbero trascorsi oltre sei mesi dall'acquisizione della notizia di reato prima che il pubblico ministero intraprendesse l'iniziativa in oggetto, mancherebbe il necessario periculum. II ricorrente, a conoscenza sin dal 2013 dell'altro ma identico procedimento, peraltro, non avrebbe mai posto in essere manovre distrattive del patrimonio, ma anzi avrebbe anche accettato la donazione di un immobile di provenienza genitoriale poi oggetto dei sequestro qui impugnato - violazione di legge per intangibilità del bene sottoposto a vincolo. Il Tribunale avrebbe confermato la misura pur a fronte di ipotesi di reato relative ad una cooperativa con prevalente funzione sociale, soggetto strutturalmente e finanziariamente diverso da una società di capitali l'automatica estensione del vincolo anche al C. sarebbe irrazionale specie in ordine a beni pervenuti a lui in linea ereditaria , così come la possibilità stessa di imporre la misura per equivalente quanto ai reati di cui al d. Igs. n. 74 del 2000. La misura, inoltre, non avrebbe indagato in ordine al tempo dei commesso reato, al fine di individuare un ipotetico intento dissipatorio in capo al C Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato al riguardo, il quarto motivo deve essere accolto, con effetto assorbente rispetto agli altri. La documentazione allegata al gravame evidenzia che la condotta per la quale è stato disposto il vincolo - violazione dell'art. 10-ter, d. Igs. n. 74 del 2000, per aver, nella qualità di legale rappresentante della Ducale società cooperativa, omesso di versare entro il termine di legge 27/12/2012 l'i.v.a. relativa all'anno di imposta 2011, per l'importo di 690.482 euro - è contestata al C. non solo nel presente procedimento R.g. 6567/2014 , ma anche in altro R.g. 6566/2013 , istruito dalla medesima Procura della Repubblica presso il Tribunale di Modena e giunto ormai alla fase dibattimentale ed invero, agli atti vi è il decreto di citazione a giudizio a data 29/3/2014, con prima udienza fissata per il 29/9/2015. Vi è stata, pertanto, una duplicazione di procedimenti per il medesimo fatto, a distanza di circa un anno l'uno dall'altro duplicazione non consentita, poiché in contrasto con il principio del divieto di bis in idem, come interpretato dal Supremo Consesso di questa Corte con la nota sentenza n. 34655 del 28/6/2005. Nell'occasione, infatti, è stato affermato il principio di diritto per cui non può essere nuovamente promossa l'azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente anche se in fase o grado diversi nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa dei medesimo ufficio del pubblico ministero, di talché nel procedimento eventualmente duplicato dev'essere disposta l'archiviazione oppure, se l'azione sia stata esercitata, dev'essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità. La non procedibilità consegue alla preclusione determinata dalla consumazione dei potere già esercitato dal pubblico ministero, e riguarda solo le situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente competenti. Esattamente come nel caso di specie. In particolare, le Sezioni unite hanno affermato che la figura della preclusione-consumazione offre la chiave per risolvere la questione relativa all'applicabilità della regola del ne bis in idem alle situazioni di litispendenza, in fasi o in gradi diversi, di procedimenti dinanzi ad uffici della stessa sede giudiziaria. Insuperabili esigenze di ordine logico e sistematico impongono di ritenere che lo stesso ufficio del pubblico ministero che ha esercitato razione penale in relazione ad una determinata imputazione non possa successivamente promuovere un nuovo processo contro la stessa persona per il medesimo fatto, per la semplice ragione che, restando immutati i termini oggettivi e soggettivi della regiudicanda, è definitivamente consunto il potere di azione di cui quell'ufficio è titolare. Di talché, sussistendo tali condizioni, il vincolo di legalità insito nel carattere di obbligatorietà ex art. 112 della Costituzione rende razione penale non solo irretrattabile, ma anche non reiterabile, se non nei casi previsti dalla legge, ad opera del medesimo ufficio della pubblica accusa. Il principio, espresso dal tradizionale brocardo bis de eadem re ne sit actio , rappresenta il corollario dei connotati di razionalità e di ordine del processo alla cui tutela è preordinata l'indicata preclusione-consumazione, chiaro essendo che un sistema processuale che lasciasse alla discrezionalità dello stesso organo della pubblica accusa la possibilità di reiterare l'esercizio dell'azione penale contro la stessa persona per il medesimo fatto si muoverebbe lungo linee assolutamente contraddittorie e dissonanti, asimmetriche rispetto al principio di legalità e non compatibili con i caratteri salienti del giusto processo prefigurato dall'art. 111 della Costituzione. Questo difatti, nella sua impronta tipicamente accusatoria, richiede non solo la rispondenza alle regole della ragionevole durata del processo e della parità delle parti, ma sottende altresì, in armonia con le principali fonti normative internazionali sopra richiamate, il diritto dell'imputato a non essere perseguito più di una volta per l'identico fatto. È evidente, inoltre, che un sistema che non riconoscesse al divieto del bis in idem il carattere di principio generale dell'ordinamento potrebbe dischiudere la via a prassi anomale ed a condotte qualificabili come vero e proprio abuso del processo perché idonee a vulnerare la regola dell'immediatezza e della concentrazione della formazione della prova in contraddittorio, rendendo possibile un uso strumentale del potere di azione per finalità inconciliabili con la legalità e l'ordine processuali. La preclusione conseguente alla consumazione del potere di azione non può non determinare la dichiarazione di impromovibilità dell'azione penale, quale epilogo necessitato del secondo processo, restando, così, confermata l'enunciazione del principio per cui le condizioni di procedibilità non si esauriscono in quelle espressamente enumerate nel titolo 3^ del libro 5^ del codice di procedura penale Corte cost, n. 318 del 2001, cit. . Di talché al secondo giudice non resta che pronunciare sentenza di non doversi procedere a norma dell'art. 529 o di non luogo a procedere ex art 425, ovvero, qualora l'azione penale non sia stata ancora esercitata, decreto di archiviazione per impromovibilità detrazione stessa, dovendo sottolinearsi, a quest'ultimo riguardo, che risulterebbe certamente irrazionale imporre al pubblico ministero l'esercizio del potere di azione al solo fine di instaurare un processo che dovrà necessariamente concludersi con la decisione che l'imputato non avrebbe dovuto essere sottoposto a nuovo procedimento penale . Una misura - quella di cui al presente ricorso - disposta quindi in un procedimento la cui azione penale non potrà mai essere promossa. Ne consegue che deve essere annullata senza rinvio l'ordinanza impugnata, nonché - a monte - il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. di Modena il 4-5/3/2015, con restituzione di quanto sottoposto a vincolo all'avente diritto P.Q.M. Annulla senza rinvio l'impugnata ordinanza nonché il decreto di sequestro preventivo in data 4 marzo 2015 del G.i.p. del Tribunale di Modena ed ordina la restituzione di quanto in sequestro all'avente diritto. Visto l'art. 626 cod. proc. pen., manda alla Cancelleria per i provvedimenti di sua competenza.