Quale bancarotta? Questioni di dolo…

Il reato di bancarotta fraudolenta previsto dall’art. 216, comma 1, n. 2 l. fall., e il reato di bancarotta semplice disciplinato dall’art. 217, comma 2, l. fall., si differenziano non tanto sotto il profilo dell’elemento oggettivo, quanto invece per la diversa gradazione dell’elemento psicologico soltanto la prima delle due fattispecie è contraddistinta dalla consapevolezza e dalla volontà, in capo al creditore, che l’irregolare ed illecita tenuta dei documenti contabili arrechi un danno ai suoi creditori.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 45186, depositata l’11 novembre. Il caso. La Corte di Cassazione è stata adita dal legale dell’imprenditore S.S. con ricorso avverso la sentenza pronunciata dalla Corte d’appello, nella quale i giudici avevano deciso la condanna dell’imputato, attribuendogli la commissione non del reato di bancarotta semplice, ma della più grave bancarotta fraudolenta. Il ricorrente lamentava vizio di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, ravvisato nell’assente dimostrazione dell’esistenza del dolo, postulata invero dalla fattispecie stessa del reato imputato al condannato. La decisione della Corte di Cassazione. Gli Ermellini hanno accolto il ricorso, argomentando la loro decisione sulla fondamentale rilevanza che assume l’elemento psicologico del reato nella distinzione fra le fattispecie di bancarotta fraudolenta ex art. 216, comma 1, n. 2 l. fall. e di bancarotta semplice ex art. 217, comma 2, l. fall Solo per la prima è imprescindibile il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di tenere irregolarmente i documenti contabili proprio al fine di arrecare danno all’interesse dei creditori ad una ricomposizione completa ed esaustiva delle scritture sociali attinenti a tutte le iniziative economiche della società . Questa consapevolezza non è affatto contemplata nella fattispecie della bancarotta semplice, la quale prevede indifferentemente il dolo o la colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, rispettivamente, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture . Pertanto, non è lecito considerare equivalenti il dolo caratterizzato dalla volontà di rendere impossibile, per i creditori, la ricostruzione patrimoniale e il dolo consistente semplicemente nella volontà di non tenere libri e scritture contabili. Dovendo il giudice considerare sempre questa imperativa distinzione, la Corte di Cassazione ha ribadito, con la sentenza in esame, la prassi giurisprudenziale consolidata, affermando che non è assolutamente possibile inferire l’esistenza del dolo di cui all’art. 216 semplicemente dalla sussistenza del fatto materiale . Qualche riflessione. Se, sotto il profilo oggettivo la bancarotta fraudolenta ex art. 216, comma 1, n. 2 e la bancarotta semplice ex art. 217, comma 2 potrebbero ben ammettere una sostanziale sovrapposizione della concreta, materiale condotta dell’agente, allora il rischio di confusione nella configurazione dei due reati può diventare realistico. Il legislatore ha, infatti, voluto individuare la diversa gravità delle fattispecie nella più sottile distinzione che attiene all’elemento psicologico, più complesso da valutare e provare. Tuttavia, tale complessità non può legittimare il giudice dall’omettere il compito di applicare le norme così come sono state concepite dal legislatore, il quale ha differenziato non poche ipotesi di reato prima fra tutte quella dell’omicidio sulla sola base dell’elemento psicologico che ha spinto l’agente alla sua perpetuazione. Allora, l’autorità giudicante, al fine di comprendere al di là di ogni ragionevole dubbio quale fattispecie di reato sia stata concretamente posta in essere dall’agente, deve valutare e accertare il movente stesso della tenuta irregolare dei libri e delle scritture contabili. Viene da sé che ragionare per presunzioni dedotte dalla sola condotta materiale - seppure sia una tentazione umanamente giustificabile - costituisce operazione ermeneutica illecita. L’accertamento dell’elemento oggettivo è differente dall’accertamento di quello soggettivo e, dal fatto dell’irregolare tenuta delle scritture contabili può ben essere dedotta sia la mera volontà di non tenerle regolarmente, sia la volontà che questa condotta costituisca il presupposto per confondere o rendere impossibile ai creditori la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell’imprenditore. E’ doveroso, pertanto, chiarire e provare la ragione sottesa alla coscienza e alla volontà di conseguire l’impossibilità della ricomposizione patrimoniale, diversa dalla volontà di meramente trascurare la lecita tenuta delle scritture, senza però por mente alle conseguenze della condotta. Sarebbe ellittica e apodittica l’asserzione secondo cui la carenza o l’assenza di documentazione contabile dimostri incontrovertibilmente la puntuale intenzione dell’imprenditore-debitore di più o meno ostacolare la ricostruzione dei movimenti e dell’effettiva consistenza del suo patrimonio societario. L’accertata sussistenza del fatto materiale della scorretta e illecita tenuta dei documenti contabili, seppur sia sintomo, non è l’inconfutabile presupposto da cui si possa automaticamente inferire il dolo di arrecare danno ai creditori.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 luglio – 11 novembre 2015, n. 45186 Presidente Vessichelli – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con sentenza pronunciata il 31.1.2014 la corte di appello di Milano confermava la sentenza con cui il tribunale di Milano, in data 18.11.2010, aveva condannato S.S. alle pene ritenute di giustizia in ordine ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e di bancarotta fraudolenta documentale, compiutamente descritti nei numeri 1 e 2 dell'imputazione, commessi in concorso con S.G. , nei confronti del quale si è proceduto separatamente, e con B.F. , successivamente deceduto, nella qualità sia lo S.S. , che lo S.G. , di liquidatori della SGS s.r.l. in fallimento . 2. Avverso tale sentenza, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione S.S. , per mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Manuel Sarno, del Foro di Milano, lamentando vizio di motivazione, sotto il profilo della mancanza e della manifesta illogicità, per non avere la corte territoriale fornito adeguata risposta in ordine ai rilievi difensivi volti a far valere la diversa qualificazione giuridica delle condotte addebitate allo S. in termini di bancarotta semplice, trattandosi di condotte ascrivibili a mera colpa la corte territoriale, evidenzia il ricorrente, non ha dimostrato l'esistenza del dolo ed, inoltre, ha omesso di considerare che per i medesimi fatti il coimputato S.G. , giudicato in abbreviato, è stato ritenuto colpevole del diverso reato di bancarotta semplice, con sentenza passata in giudicato, in cui, a differenza di quanto affermato dalla corte territoriale, in maniera, peraltro, ipotetica, si evidenzia l'assoluta coincidenza di posizioni tra i due imputati deduce, altresì, il ricorrente difetto di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, mancando ogni richiamo ai parametri di cui all'art. 133, c.p., ed al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche attenuanti, che la corte nega facendo riferimento alla mancata compensazione del pregiudizio arrecato ai creditori, con motivazione attinente, in realtà, al diverso tema della diminuente ex art. 62, n. 6, c.p In data 18.6.2015 il difensore del ricorrente depositava copia della sentenza con cui la corte di appello di Milano, in data 10.5.2013, aveva riqualificato i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e di bancarotta fraudolenta documentale per i quali lo S.G. era stato condannato in primo grado, in bancarotta semplice, ai sensi dell'art. 217, co. 1, n. 1, e co. 2, l.fall 3. Il ricorso è fondato e va accolto, dovendosi condividere le doglianze del ricorrente in ordine alla inadeguatezza della motivazione della sentenza impugnata sotto il profilo dell'elemento soggettivo del reato. Come è noto, infatti, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione a configurare l'elemento soggettivo del reato è sufficiente il dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa, con la consapevolezza che tale destinazione determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni della classe creditoria, non essendo invece richiesta la specifica conoscenza dello stato di dissesto della società cfr. Cass., sez. V, 24/03/2010, n. 16579 Cass., sez. V, 23/04/2013, n. 28514 Cass., sez. V, 14.12.2012, n. 3229, rv. 253932 Cass., sez. V, 13.2.2014, n. 21846, rv. 260407 . Se ciò è vero, è, tuttavia, altrettanto vero che, al fine di distinguere il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione dalle ipotesi di bancarotta semplice di cui all'art. 217, co. 1, n. 1 e n. 2 , l. fall., realizzate attraverso spese eccessive ovvero attraverso operazioni economiche di pura sorte o manifestamente imprudenti da parte dell'imprenditore fallito, assume un rilievo decisivo proprio il diverso atteggiarsi dell'elemento psicologico del reato. Quest'ultimo nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione non può prescindere, come si è detto, dalla consapevolezza che la diversa destinazione data al patrimonio sociale si traduce in un danno per il ceto creditorio, mentre tale consapevolezza è del tutto estranea alle fattispecie di bancarotta semplice innanzi indicate, punibili a titolo di colpa, quella di cui all'art. 217, co. 1, n. 2 , l. fall. cfr. Cass., sez. V, 16.7.1981, n. 10523 Cass., sez. V, 20.3.2003, n. 24231 ovvero, indifferentemente, a titolo di dolo dal quale è esclusa la consapevolezza, da parte del soggetto attivo, del pregiudizio che la propria condotta arreca alla posizione dei creditori o di colpa. Ne consegue, come affermato in un condivisibile arresto del Supremo Collegio, che il giudice può ritenere integrata l'ipotesi di bancarotta semplice, qualora non sia raggiunta la prova del dolo tipico della dissipazione, anche nel caso di atti di gestione del tutto estranei alle esigenze di conduzione dell'impresa cfr. Cass., sez. V, 23/10/2002, n. 38835, rv. 225398 . Allo stesso modo va ribadito il principio da tempo affermato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui le ipotesi di reato previste dagli articoli 216 e 217 della legge fallimentare, con riferimento alla tenuta delle scritture contabili, si differenziano per la diversa gradazione dell'elemento soggettivo, ragion per cui non è assolutamente possibile inferire l'esistenza del dolo di cui all'art. 216 semplicemente dalla sussistenza del fatto materiale cfr., ex plurimis , Cass., sez. V, 03/05/2012, n. 25093 . Ed invero la differenza tra la bancarotta fraudolenta documentale prevista dall'art. 216, co. 1, n. 2 , l. fall., e quella semplice prevista dall'art. 217, co. 2, stessa legge, consiste nell'elemento psicologico che, nel primo caso, viene individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell'imprenditore e, nel secondo caso, dal dolo o indifferentemente dalla colpa, che sono ravvisabili quando l'agente ometta, rispettivamente, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture ne consegue che il dolo generico che caratterizza il reato fraudolento, dovendo consistere nella consapevolezza e volontà che la irregolare tenuta delle scritture renda impossibile la ricostruzione del patrimonio, non può corrispondere e non può essere ritenuta sovrapponibile alla pure semplice volontà di non tenere quelle stesse scritture. La differenza tra i due elementi psicologici richiamati sta nel fatto che soltanto il primo di essi, e cioè quello che caratterizza la bancarotta fraudolenta, deve risultare arricchito di componenti soggettive che afferiscano esplicitamente al tema della messa in pericolo dell'interesse dei creditori ad una ricomposizione completa ed esaustiva delle scritture sociali attinenti a tutte le iniziative economiche della società un interesse che, a sua volta, viene generalmente desunto da indicatori precisi quali la consistenza del materiale documentale tenuto in violazione di legge oppure la correlazione di tale condotta con attività distrattiva che il disordine contabile appaia destinata, per l'appunto, a celare cfr, ex plurimis, Cass., sez. V, 11/06/2014, n. 40015 . Orbene a fronte di uno specifico motivo di appello sul punto, la corte territoriale, con riferimento al profilo psicologico del reato, ha fornito una risposta del tutto carente, che non tiene conto dei principi di diritto sinteticamente riassunti nelle pagine precedenti, come si evince in maniera evidente anche dalla incertezza motivazionale con cui la stessa corte territoriale, nel replicare alla doglianza difensiva incentrata sull'avvenuta riqualificazione dei reati addebitati al coimputato S.G. da altra sezione della corte di appello di Milano in termini di bancarotta semplice, si esprime in termini assolutamente vaghi, affermando l'irrilevanza di tale decisione principalmente in ragione del diverso ruolo che secondo quella motivazione i fratelli sembrerebbero avere svolto nell'ambito della gestione della società fallita. In conclusione, potendo, le condotte materiali contestate allo S. consistenti nell'avere effettuato pagamenti di somme di denaro in favore di se stesso, del fratello Giancarlo e di B.F. e nell'avere omesso la consegna del libro giornale di contabilità al curatore, rendendo impossibile la ricostruzione del movimento degli affari della società fallita relativamente al periodo dal primo aprile al 31 dicembre del 2002 , essere astrattamente riconducibili ad entrambe le previsioni normative degli artt. 216 e 217, l. fall., diventa essenziale risolvere la questione del concreto atteggiarsi dell'elemento psicologico dell'imputato, disattesa dalla corte territoriale, proprio perché su tale elemento si fonda la distinzione tra le due fattispecie di reato. La fondatezza dei motivi ricorso sul punto assorbe in sé ogni ulteriore doglianza in tema di trattamento sanzionatorio. 6. Sulla base delle svolte considerazioni, dunque, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di appello di Milano, che provvederà a colmare le evidenziate lacune motivazionali. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di appello di Milano.