Il mero rilascio della valutazione paesaggistica in sanatoria non estingue automaticamente il reato contestato

Il giudice deve sempre accertare la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti la sanatoria.

Procedimento di valutazione di compatibilità paesaggistica. Con la sentenza n. 45149 depositata il giorno 11 novembre 2015, la Terza Sezione Penale interviene in materia di beni culturali ribadendo il principio di diritto in base al quale il mero rilascio della valutazione paesaggistica all’esito del procedimento di valutazione di compatibilità paesaggistica non determina automaticamente la non punibilità in ordine al reato contestato, dovendo essere sempre accertata dal giudice la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti la sanatoria. Nel caso di specie la Corte di Appello territoriale aveva confermato la decisione del Tribunale che aveva affermato la responsabilità penale dei due ricorrenti per i reati di cui agli artt. 110 c.p., 169, comma 1, lett. a , e 181 del Codice dei beni culturali e del paesaggio per avere, il primo, in qualità di direttore dei lavori, ed il secondo quale esecutore dei medesimi, effettuato interventi in difformità dalla prescritta autorizzazione su un bene culturale costituito dall’area circostante un Nuraghe”, soggetta anche a vincolo paesaggistico, consistiti nello spietramento all’interno dell’area e nelle fasce adiacenti, con rimozione di alcuni massi appartenenti, in origine, all’insediamento nuragico - romano, nel dicioccamento e nella estirpazione di essenze arbustive, nella potatura e spollonatura nonché nel ripristino dei muri a secco eseguito mediante demolizione e ricostruzione di grossi massi prelevati dal suolo. In sede di ricorso i due imputati denunciano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall’art. 181, comma 1- ter , d.lgs. n. 42/2004, risultando invece una espressa valutazione di compatibilità paesaggistica degli interventi in una determinazione dirigenziale, emessa ai sensi dell’art. 167 del Codice dei beni culturali. Procedimento sanzionatorio e accertamento di compatibilità paesaggistica. In realtà, secondo gli Ermellini, la Corte territoriale ha nella fattispecie escluso che la determinazione dirigenziale rilasciata dall’Assessorato regionale consista in un accertamento di compatibilità paesaggistica, riguardando la sola estinzione del procedimento sanzionatorio di cui all’art. 167, d.lgs. n. 42/2004. A tale proposito, i giudici di Piazza Cavour, ricordano che la legge n. 308/2004, apportando delle consistenti modifiche all’impianto originario della norma contenuta nell’art. 181 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ha tra l’altro previsto la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità paesaggistica di alcuni interventi definibili come minori, all’esito della quale, pur mantenendo ferma l’applicazione delle misure amministrative pecuniarie previste dall’art. 167, non si applicano le sanzioni penali stabilite dal reato contravvenzionale contemplato dal primo comma dell’articolo 181. Gli interventi suscettibili di sanatoria – proseguono i giudici del Palazzaccio – riguardano i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi oppure aumento di quelli legittimamente realizzati l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica e lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria. Questo complesso di interventi assumono la qualifica di minori”, in quanto risultano caratterizzati da un impatto sensibilmente più modesto sull’assetto del territorio vincolato rispetto agli altri considerati nella stessa disposizione di legge. Valutazione in fatto. La procedura – di cui si è fatto cenno poco sopra nella illustrazione del principio di diritto – per il conseguimento della valutazione postuma di compatibilità paesaggistica trova la propria regolamentazione nell’art. 181, comma 1- quater , d.lgs. n. 42/2004, il quale dispone che il proprietario, il possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi in questione deve presentare apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo, la quale si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di 180 giorni, previo parere vincolante della soprintendenza, da rendersi entro il termine perentorio di 90 giorni. La verifica effettuata nella fattispecie concreta dai giudici di merito, come si è visto, si è svolta sulla base dell’eventuale sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti la sanatoria. Trattandosi di valutazione in fatto, sulla base della documentazione nella disponibilità del giudice di merito, non risulta possa essere messa in discussione in sede di legittimità. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna al pagamento delle spese del procedimento.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 ottobre – 11 novembre 2015, n. 45149 Presidente Fiale – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Cagliari, con sentenza del 2/3/2015 ha confermato la decisione con la quale, in data 23/7/2014, il Tribunale di Oristano aveva affermato la responsabilità penale di P.P. e di PI.Ma. per i reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 169, comma 1 lett. a e 181 d.lgs. 42/2004, per avere, il primo quale direttore dei lavori, ed il secondo quale esecutore dei medesimi, effettuato interventi in difformità dalla prescritta autorizzazione su un bene culturale costituito dall'area archeologica circostante il OMISSIS , soggetta anche a vincolo paesaggistico, consistiti nello spietramento all'interno dell'area e nelle fasce adiacenti, con rimozione di alcuni massi appartenenti, in origine, all'insediamento nuragico-romano, nel dicioccamento e nella estirpazione di essenze arbustive, nella potatura e spollonatura, nonché nel ripristino di muri a secco eseguito mediante demolizione e ricostruzione di grossi massi prelevati dal suolo Ghilarza lavori in corso nel mese di novembre 2009 . Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite il loro difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'articolo 173 disp. att. cod. proc. pen 2. Con un primo motivo di ricorso deducono la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto sottoposta a vincolo archeologico l'area prospiciente il nuraghe, distante alcune decine di metri dall'immobile, anche sulla base di una non corretta lettura di una sentenza del Consiglio di Stato, mentre la stessa non sarebbe gravata neppure da vincolo di tutela indiretta. Aggiungono che la lettura delle disposizioni applicate offerta dalla Corte territoriale non consentirebbe di delimitare con certezza l'ambito di efficacia del vincolo. 3. Con un secondo motivo di ricorso denunciano la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall'articolo 181, comma 1-ter d.lgs. 42/2004, risultando, invece, una espressa valutazione di compatibilità paesaggistica degli interventi nella determinazione dirigenziale n. 2373 del 26/10/2010, emessa ai sensi dell'articolo 167 d.lgs. 42/2004. Insistono, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. Occorre osservare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che, per quanto è dato rilevare dal ricorso e dalla sentenza impugnata, unici atti ai quali questa Corte ha accesso, il nuraghe nei pressi del quale sono stati eseguiti gli interventi in contestazione rientra tra i beni culturali di cui all'articolo 10, comma 1 d.lgs. 42/2004, il quale individua, tra detti beni culturali, le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. Tali beni sono sottoposti alle disposizioni del d.lgs. 42/2004 fino a quando non sia stata effettuata la verifica dell'interesse culturale di cui all'articolo 12, garantendone così la tutela. L'esito positivo della verifica equivale alla dichiarazione di interesse culturale del bene. L'articolo 169 del d.lgs. 42/2004 considera quattro diverse condotte costituenti reato e già previste dall'articolo 59 della legge 1089/39 e poi dall'articolo 118 del d.lgs.490/99. Quella contemplata dal comma 1, lett. a , contestata agli odierni ricorrenti, prende in considerazione la condotta di chiunque, senza autorizzazione demolisca, rimuova, modifichi, restauri ovvero, senza approvazione, esegua opere di qualunque genere sui beni culturali indicati nell'articolo 10. 2. I destinatari del precetto vanno quindi individuati non solo nei soggetti proprietari del bene vincolato o negli altri soggetti ad essi equiparabili, ma anche in coloro che, con la propria condotta, anche in concorso con altri, possono materialmente incidere sulla cosa protetta o comunque trasgredire le prescrizioni indicate. Il reato, considerata la sua natura, è stato collocato tra i reati formali di pericolo presunto e si perfeziona con la sola realizzazione degli interventi non autorizzati, indipendentemente dal pregiudizio arrecato al bene tutelato e dal conseguimento della prescritta autorizzazione in un momento successivo all'esecuzione delle opere, sempre che sussista un minimo di idoneità offensiva della condotta tale da incidere sul bene tutelato, nel senso della diminuzione del godimento estetico complessivo. 3. La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di precisare, sotto la vigenza della legge 1089V39, che sono oggetto di tutela non solo gli immobili considerati nella loro struttura edilizia, ma anche le cose che, costituendone pertinenza, contribuiscono a salvaguardare l'interesse storico ed artistico del bene Sez. 3, n. 6295 del 10/4/1997, Franceschetti, Rv. 208692 Sez. 2, n. 7622 del 27/02/1986 - dep. 25/07/1986, Sirmoni, Rv. 173415 Sez. 3, n. 11927 del 29/10/1985, Pisano, Rv. 171323 . Tali principi, ad avviso del Collegio, paiono senz'altro condivisibili, atteso che consentono un'adeguata protezione dell'immobile di interesse culturale considerato nel suo complesso, sebbene debba tenersi conto della possibilità di imposizione dei vincoli di tutela indiretta di cui all'articolo 45 del D.Lv. 42/2004 già previsti dall'articolo 21 legge 1089/39 . 4. L'articolo 45, comma 1 d.lgs. 42/2004 stabilisce, come è noto, che il competente Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. Si fa in tal caso riferimento ad una ipotesi di tutela indiretta”, in quanto il provvedimento di prescrizione incide su beni diversi da quelli tutelati, ma con specifiche finalità di conservazione di questi ultimi, con particolare riferimento alla cornice ambientale”, in modo tale da evitare ogni alterazione dell'insieme delle caratteristiche fisiche e culturali che caratterizzano lo spazio circostante al monumento. 5. Quanto sopra scongiura il rischio, paventato dai ricorrenti, di una incerta estensione dell'ambito di operatività dell'articolo 169 d.lgs. 42/2004, poiché è evidente che il riferimento alle pertinenze implica necessariamente un collegamento oggettivo e funzionale al bene vincolato, come peraltro è dimostrato dal contenuto delle richiamate decisioni, le quali riguardano le parti mobili di una stube”, la sostituzione di sporti in ferro con altri di alluminio anodizzato e la realizzazione abusiva di opere su cantoria in legno sovrapposta alla struttura edilizia. 6. Tenuto conto di quanto appena osservato, occorre considerare la fattispecie in esame. Come si è detto, secondo la prospettazione dei ricorrenti, ricavabile dai motivi di ricorso, il vincolo culturale opererebbe esclusivamente con riferimento al nuraghe isolatamente considerato, mancando ogni verifica preventiva dell'interesse culturale dell'area, che pag. 3 del ricorso viene descritta come area di sedime distante diverse decine di metri dal limite del fortilizio ”. Di diverso avviso sono, invece, i giudici del gravame, i quali intendono estesa la tutela anche a quest'area. Si legge nella sentenza impugnata pag. 9 che i limiti dell'area di interesse archeologico erano stati preventivamente individuati dalla sovrintendenza con rilevamento mediante GPS e riportati sulle carte di progetto che tale area consiste in quella circostante al nuraghe, caratterizzata anche dalla presenza di pietre rappresentati i resti di una possibile muraglia perimetrale” del nuraghe e che, vicino e sotto alcune pietre, erano stati rinvenuti frammenti di ceramica risalenti all'epoca in cui sul sito era stato edificato un insediamento romano alto medievale. La Corte territoriale, inoltre, ricorda che l'articolo 49 del piano paesaggistico regionale prescrive anche, per i beni archeologici, una fascia di rispetto di almeno cento metri dai margini. 7. Le considerazioni svolte dai giudici dell'appello non sembrano dunque sconfinare in una arbitraria estensione dell'ambito di efficacia del vincolo, risultando, piuttosto, il risultato di un accertamento in fatto che pone in evidenza come l'area interessata dall'intervento costituisca con il nuraghe un unico complesso. Le conclusioni in fatto cui perviene la Corte territoriale sono sorrette da motivazione priva di cedimenti logici o manifeste contraddizioni e, in quanto tali, non censurabili in questa sede ed il complessivo ed univoco percorso giustificativo seguito non verrebbe comunque intaccato dal fatto, diffusamente segnalato dai ricorrenti, che la citazione di un brano della motivazione della sentenza del giudice amministrativo Cons. Stato Sez. 6 n. 457 del 2/2/2015 non sarebbe pertinente. Il motivo di ricorso è dunque infondato. 8. Ad identiche conclusioni deve pervenirsi per ciò che concerne il secondo motivo di ricorso. Va ricordato, a tale proposito, che la Legge 308/04 c.d. Legge - delega ambientale , apportando consistenti modifiche all'articolo 181 d.lgs. 42/04 ha, tra l'altro, previsto la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità paesaggistica di alcuni interventi definibili come minori ”, all'esito della quale, pur mantenendo ferma l'applicazione delle misure amministrative pecuniarie previste dall'articolo 167, non si applicano le sanzioni penali stabilite per il reato contravvenzionale contemplato dal primo comma dell'articolo 181. Gli interventi suscettibili di sanatoria” riguardano, come stabilito dal comma I-ter, i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi, ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica e lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Tali interventi possono, come si è detto, essere definiti minori , in quanto caratterizzati da un impatto sensibilmente più modesto sull'assetto del territorio vincolato rispetto agli altri considerati nella medesima disposizione di legge. La procedura per il conseguimento della vantazione postuma di compatibilità paesaggistica è disciplinata dal comma 1-quater del menzionato articolo 181, il quale dispone che il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi in questione deve presentare apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo, la quale si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza, da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. 9. La Corte territoriale ha, nella fattispecie, escluso che la determinazione dirigenziale 2373/2010 emessa dal Servizio Tutela paesaggistica dell'Assessorato regionale Enti Locali consista in un accertamento di compatibilità paesaggistica, riguardando la sola estinzione del procedimento sanzionatorio di cui all'articolo 167 d.lgs. 42/2004. L'assunto viene però contestato dai ricorrenti, i quali, riproducendo testualmente parte del menzionato provvedimento, ritengono che lo stesso abbia effettivamente comportato una efficace e valida valutazione di compatibilità paesaggistica, idonea, pertanto, a produrre gli effetti estintivi invocati. Va tuttavia rilevato che secondo la giurisprudenza di questa Corte Sez. 3, n. 889 del 29/11/2011 dep.2012 , Falconi e altri, Rv. 251640 Sez. 3, n. 27750 del 27/5/2008, Sarro e altro, Rv. 240822 , il mero rilascio della valutazione paesaggistica all'esito della menzionata procedura non determina automaticamente la non punibilità in ordine al reato contestato, dovendo essere sempre accertata dal giudice la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti la sanatoria”. Tale verifica è stata evidentemente effettuata dai giudici del merito mediante valutazione in fatto, sulla base della documentazione nella loro disponibilità e non accessibile a questa Corte, che non può essere messa in discussione in questa sede, sostanzialmente sollecitando un analogo giudizio da parte del giudice di legittimità, peraltro sulla base della parziale trascrizione del contenuto di un unico atto amministrativo. 10. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.