La colpa grave dell’interessato impedisce il sorgere del diritto all’indennizzo per ingiusta detenzione

In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, nei reati contestati in concorso, la condotta di chi, pur consapevole dell’attività criminale altrui, abbia tenuto comportamenti idonei ad essere percepiti come indicativi di una sua contiguità ad essa, integra gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 44828, depositata il 9 novembre 2015. Il fatto. La Corte d’appello di Messina con ordinanza rigettava la domanda di riparazione per ingiusta detenzione carceraria avanzata dall’odierno ricorrente in Cassazione, il quale veniva assolto con sentenza per non aver commesso il fatto dalle imputazione a lui ascritte. I giudici di legittimità ritenendo i motivi posti a sostegno del ricorso infondati, ricordano in primo luogo un principio ormai consolidato in giurisprudenza, in base al quale nei procedimenti per riparazione per ingiusta detenzione la cognizione del giudice di legittimità deve intendersi limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato e non può investire il merito . I presupposti del diritto alla riparazione per la custodia cautelare subita. Nel caso di specie, ritengono i giudici, che la Corte territoriale abbia correttamente motivato le ragioni del rigetto della richiesta di riparazione. Nell’affermare ciò, la S.C. ricorda come l’art. 314, comma 1, c.p. prevede che chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto ad un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave . La condotta dolosa In tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, le Sezioni Unite hanno precisato che, deve intendersi dolosa non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta di pericolo . o colposa. Deve, inoltre, ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, la condotta che ponga in essere per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi in un provvedimento restrittivo della libertà personale . L’errore non scusabile. Nel provvedimento impugnato i giudici hanno correttamente ritenuto la condotta del ricorrente gravemente negligente, sostenendo che il suo errore non era scusabile, tenuto conto della presenza di elementi indicatori che avrebbero dovuto indurlo ad una maggiore attenzione. Infatti, il comportamento tenuto dal ricorrente è stato ritenuto dalla Corte d’appello idoneo a ingenerare la ragionevole rappresentazione del coinvolgimento del soggetto nell’affare illecito e la successiva assoluzione non risulterebbe sufficiente ad escludere la colposa partecipazione all’attività delittuosa. L’ingiusta detenzione nei reati contestati in concorso. Consolidato in giurisprudenza il principio in base al quale in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, nei reati contestati in concorso, la condotta di chi, pur consapevole dell’attività criminale altrui, abbia tenuto comportamenti idonei ad essere percepiti come indicativi di una sua contiguità ad essa, integra gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo. Da ciò, la S.C. ha concluso affermando come nel caso in oggetto la Corte d’appello abbia adeguatamente argomentato la totale inesistenza delle condizioni per concedere al ricorrente l’indennizzo richiesto, dato che sono emerse sufficienti ragioni per affermare che con la sua condotta gravemente colposa egli offrì un contributo casuale significativo nel creare l’erronea rappresentazione del suo coinvolgimento nei reati per i quali subì la custodia cautelare. Per tali motivi il ricorso è stato rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese giudiziali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 22 ottobre – 9 novembre 2015, n. 44828 Presidente Romis – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Messina, con ordinanza del 18.6.2015 rigettava la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata il 15.7.2014 dall'odierno ricorrente I.F. in relazione alla detenzione carceraria patita, dal 5.10.2005 al 8.10.2005, ed in regime di arresti domiciliari sino al 17.10.2005, allorquando cessava in forza dell'ordinanza con la quale il Tribunale del Riesame sostituiva detta misura con quella dell'obbligo di dimora nel omissis , per i reati di cui agli artt. 110, 640 cod. pen. e 110, 81 e 485 cod. pen. dai quali veniva assolto dal Tribunale di Messina con sentenza emessa in data 29.6.2011 irrevocabile il 29.9.2012 , per non aver commesso il fatto. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, I.F. , deducendo, i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. a. Violazione dell'art. 314, co. 1, cod. proc. pen. in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b cod. proc. pen Il ricorrente deduce che la corte di appello avrebbe erroneamente identificato il concetto di grave negligenza con quello di colpa grave, richiesto dall'art. 314 cod. proc. pen., per integrarsi la causa ostativa alla concessione dell'indennizzo. Il provvedimento impugnato ritiene che l'imputato, alla luce della sua qualifica professionale, non avrebbe potuto non rendersi conto che la proposta di collaborazione dei coimputati presentasse gravi anomalie, tanto è vero che il Tribunale per il Riesame di Messina riteneva la malafede del ricorrente e la consapevolezza di compiere una truffa. Ritiene il ricorrente, invece, che dal materiale probatorio, tra cui le dichiarazioni rese in dibattimento dall'agente di P.G., emergerebbe l'assoluta imprevedibilità del provvedimento cautelare nei suoi confronti, tanto da essere colto in flagranza mentre consegnava una polizza fideiussoria, poi risultata falsa, ma ritenuta, dallo stesso I. , veritiera. Pertanto l'applicazione della causa ostativa prevista dall'art. 314 co. 1 cod. proc. pen., sarebbe stata erronea. b. Violazione dell'art. 314, co. 1, cod. proc. pen., in relazione all'art. 606, co. 1, lett. e cod. proc. pen La motivazione dell'ordinanza impugnata sarebbe illogica, in quanto la Corte distrettuale avrebbe fondato il proprio convincimento esclusivamente su un materiale probatoria parziale, facendo riferimento all'ordinanza del Tribunale del Riesame di Messina, con la quale veniva sostituita la misura degli arresti domiciliari con l'obbligo di dimora. L'ordinanza impugnata si limiterebbe a motivare per relationem , con formule di stile, omettendo di valutare l'esame reso dal maggiore T. , sul quale si sarebbe fondato il giudizio assolutorio del Tribunale. Non verrebbero sufficientemente specificati, nell'ordinanza, gli elementi sulla cui base, il ricorrente potesse prospettarsi l'intervento dell'autorità giudiziaria per la sua negligente condotta, tenuto conto che se l'indagato fosse stato consapevole della falsità delle polizze avrebbe concorso nel rato, dal quale invece è stato assolto. Dalla testimonianze, sopra richiamata, sarebbe emerso, invece, conformemente a quanto dichiarato in sede di interrogatorio di garanzia, che l'I. collaborava con un agente assicurativo, coimputato per concorso nel reato e che non è stato destinatario di alcuna misura cautelare. La sentenza di assoluzione avrebbe escluso l'elemento psicologico di coscienza e volontà, pertanto deve escludersi l'individuazione di elementi a sostegno della sussistenza di colpa grave. Inoltre trattandosi di un'ipotesi di reato di truffa, l'eventuale coscienza della falsità della polizza a fronte dell'incasso del relativo premio, sarebbe stata sorretta dalla volontà fraudolenta di percepire ingiusto profitto. I tal senso non sarebbe apprezzabile la distinzione tra la colpa grave ritenuta dalla corte di appello e il dolo escluso dalla sentenza di assoluzione. Chiede, pertanto, l'annullamento della ordinanza impugnata. 3. Il P.G. presso questa Corte Suprema ha rassegnato ex art. 611 cod. proc. pen. le proprie conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso con i provvedimenti di cui all'art. 616 cod. proc. pen Il P.G. evidenzia che la valutazione del giudice della riparazione si svolge su tutti gli elementi probatori disponibili per valutare se chi ha patito l'ingiusta detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave. In particolare deve valutare la sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo una motivazione che se adeguata e congrua è incensurabile in sede di legittimità. Il giudizio del giudice - ricorda ancora il PG - deve fondarsi su fatti concreti e precisi, relativi alla condotta del richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale per stabilire se determinante condotte possano costituire fattore ingenerante la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione come rapporto di causa effetto cfr. SSUU 26.2.2002 Di Benedictis . Tali condotte possono essere anche di carattere extraprocessuale. Nel caso di specie ad avviso del PG l'ordinanza impugnata ha posto l'accento sulla grave negligenza che ha caratterizzato la condotta dell'istante arrestato mentre cedeva una polizza falsa e perciò il ricorso va rigettato. 4. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato presentava tempestiva memoria rilevando che il ricorrente confonderebbe il piano dell'accertamento della responsabilità penale, richiedente il dolo con quello dei presupposti per il diritto all'indennizzo da ingiusta detenzione per il quale basta la colpa. Considerato in diritto 1. I motivi sopra illustrati appaiono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato. 2. Va premesso che è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Suprema che nei procedimenti per riparazione per ingiusta detenzione la cognizione del giudice di legittimità deve intendersi limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato, anche sotto l'aspetto della congruità e logicità della motivazione, e non può investire naturalmente il merito. Ciò ai sensi del combinato disposto di cui all'articolo 646 secondo capoverso cod. proc. pen., da ritenersi applicabile per il richiamo contenuto nel terzo comma dell'articolo 315 cod. proc. pen Dalla circostanza che nella procedura per il riconoscimento di equo indennizzo per ingiusta detenzione il giudizio si svolga in un unico grado di merito in sede di corte di appello non può trarsi la convinzione che la Corte di Cassazione giudichi anche nel merito, poiché una siffatta estensione di giudizio, pur talvolta prevista dalla legge, non risulta da alcuna disposizione che, per la sua eccezionalità, non potrebbe che essere esplicita. Al contrario l'art. 646, comma terzo cod. proc. pen. al quale rinvia l'art. 315 ultimo comma cod. proc. pen. stabilisce semplicemente che avverso il provvedimento della Corte di Appello, gli interessati possono ricorrere per Cassazione conseguentemente tale rimedio rimane contenuto nel perimetro deducibile dai motivi di ricorso enunciati dall'art. 606 cod. proc. pen., con tutte le limitazioni in essi previste cfr. ex multis, sez. 4, n. 542 del 21.4.1994, Bollato, rv. 198097, che, affermando tale principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso ordinanza del giudice di merito in materia, col quale non si deduceva violazione di legge, ma semplicemente ingiustizia della decisione con istanza di diretta attribuzione di equa somma da parte della Corte . 3. La Corte d'Appello di Messina motiva in maniera ampia e circostanziata sui motivi del rigetto. L'art. 314 cod. pen., com'è noto, prevede al primo comma che chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un'equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave . In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce causa impeditiva all'affermazione del diritto alla riparazione l'avere l'interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all'instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen. l'assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all'equa riparazione, deve essere accertata d'ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte cfr. sul punto questa sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002, Guadagno, rv. 226004 . In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell'ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa - e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all'indennizzo, ai sensi dell'art. 314, primo comma, cod. proc. pen. - non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso configgente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell' id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo Sez. Unite n. 43 del 13.12.1995 dep. il 9.2.1996, Sarnataro ed altri, rv. 203637 . Poiché inoltre, la nozione di colpa è data dall'art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto primo comma dell'art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell'autorità giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso. In altra successiva condivisibile pronuncia è stato affermato che il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione non spetta se l'interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell'autorità giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell'autorità giudiziaria che si sostanzi nell'adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso sez. 4, n. 43302 del 23.10.2008, Maisano, rv. 242034 . Ancora le Sezioni Unite, hanno affermato che il giudice, nell'accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell'incidenza causale del dolo o della colpa grave dell'interessato rispetto all'applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico Sez. Unite, n. 32383 del 27.5.2010, D'Ambrosio, rv. 247664 . E, ancora, più recentemente, il Supremo Collegio ha ritenuto di dover precisare ulteriormente che in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell'indennizzo può anche prescindersi dalla sussistenza di un errore giudiziario , venendo in considerazione soltanto l'antinomia strutturale tra custodia e assoluzione, o quella funzionale tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi ingiusta , in quanto l'incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l'indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell'istituto, così Sez. Unite, n. 51779 del 28.11.2013, Nicosia, rv. 257606, fattispecie in cui è stata ritenuta colpevole la condotta di un soggetto che aveva reso dichiarazioni ambigue in sede di interrogatorio di garanzia, omettendo di fornire spiegazioni sul contenuto delle conversazioni telefoniche intrattenute con persone coinvolte in un traffico di sostanze stupefacenti, alle quali, con espressioni travisanti , aveva sollecitato in orario notturno la urgente consegna di beni . 4. Nel provvedimento impugnato è stato congruamente e logicamente posto in evidenza come il quadro istruttorio, se idoneo ad escludere per mancanza di dolo la rilevanza penale della condotta posta in essere dall'I. - esonerando lo stesso da responsabilità per le false polizze fidejussorie fatte firmare all'imprenditore C.N. , che per esse ha sostenuto un esborso di denaro, del quale lo stesso I. ha beneficiato nei limiti delle sue provvigioni -tuttavia nell'ambito dello specifico procedimento che ci occupa assume altra e diversa valenza. Secondo la coerente e logica motivazione del provvedimento impugnato non può, infatti, tacersi come la condotta dell'I. sia stata gravemente negligente, non avendo lo stesso colposamente colto, pur nella sua qualificata posizione professionale, le gravi anomalie del rapporto professionale instaurato con il sedicente rappresentante della Diana, anomalie che bene sono state evidenziate dal Tribunale del Riesame. Il possesso di una polizza fideiussoria falsa, scambiata dietro dazione di danaro al di fuori di un ufficio con un cliente, è stato condivisibilmente ritenuto comportamento idoneo a ingenerare la ragionevole rappresentazione del coinvolgimento del soggetto nell'affare illecito e la successiva assoluzione non risulterebbe affatto sufficiente ad escludere la colposa partecipazione all'attività delittuosa. L'errore dell'I. non era scusabile, tenuto conto della presenza di elementi indicatori che avrebbero dovuto indurlo ad una maggiore attenzione e ad avvedersi dell'anomalia dell'attività richiestagli. Questa Corte ha avuto modo di precisare - e va qui ribadito - che in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, nei reati contestati in concorso, la condotta di chi, pur consapevole dell'attività criminale altrui, abbia nondimeno tenuto comportamenti idonei ad essere percepiti come indicativi di una sua contiguità ad essa, integra gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all'indennizzo sez. 4, n. 37528 del 24.6.2008, Grigoli, rv. 241218 . E, ancora, si è condivisibilmente affermato in tali casi vada apprezzata la condotta che si sia sostanziata nella consapevolezza dell'attività criminale altrui e, nondimeno, nel porre in essere una attività che si presti sul piano logico ad essere percepita come contigua a quella criminale così questa sez. 4 sent. n. 4159/2009 e n. 45418/2010 . 5. Nel caso di specie l'ordinanza impugnata ha posto l'accento sulla grave negligenza che ha caratterizzato la condotta dell'istante - arrestato in flagranza, va ribadito mentre consegnava a terzi, in un bar del centro di Messina, una polizza assicurativa falsa dietro denaro - e come la successiva assoluzione, motivata sulla base dell'accertata assenza di dolo riguardo ai reati di falso e truffa, non consente di ritenere esclusa la colposa partecipazione dell'istante all'attività illecita. Ed infatti, come rilevano i giudici della riparazione, l'errore dall'I. commesso non appare scusabile, tenendo conto di una serie di elementi indicatori che avrebbero dovuto sollecitarlo ad una attenzione maggiore, e dunque indurlo ad avvedersi dell'anomalia della attività a lui richiesta. Viene ricordato anche come le dichiarazioni rese dall'I. in sede di interrogatorio, apparse a tutti i giudici della cautela poco credibili e comunque non in grado di escludere la sua partecipazione dolosa ai fatti, sono risultate alla Corte territoriale inidonee ad escludere la colpa grave, laddove l'odierno ricorrente ha mostrato di non essersi mai posto il problema del perché non aveva mai rapporti diretti con la società Diana Finanziaria, con cui non aveva mai cercato di conoscere i rappresentanti e ha mostrato di non essersi mai accertato se effettivamente la quota parte del denaro pagato dai clienti pervenisse alla citata società né del perché, anche ammesso che tra sé e la società Diana Finanziaria vi fosse la mediazione della Association Ali People , il denaro dovesse essere rimesso al Ca. , e non alla predetta associazione. Nel provvedimento impugnato viene logicamente ritenuto che l'I. abbia mostrato di avere accettato, con singolare leggerezza, le evidenti opacità con cui sistematicamente svolgeva la propria attività di procacciatore d'affari propostagli da Ca.Do. , e ciò senza neppure considerare il coinvolgimento del medesimo Ca. in vicende delittuose dello stesso genere come testimoniato dal luogotenente T. , la cui deposizione risulta richiamata nell'ordinanza impugnata . 6. Tanto premesso, va osservato, conclusivamente, come nel caso in esame la Corte d'Appello abbia adeguatamente argomentato la totale inesistenza delle condizioni per riconoscere all'istante l'indennizzo richiesto, emergendo a contrario ragioni più che sufficienti per affermare che con la sua condotta gravemente colposa offrì un contributo causale significativo nel creare l'erronea rappresentazione del suo coinvolgimento nei reati per i quali ebbe a patire la custodia cautelare. Il giudice della riparazione ha richiamato in maniera pertinente precedenti giurisprudenziali intervenuti in relazione ad analoghi comportamenti ambigui. Tenuto conto che, per valutare se il ricorrente abbia dato causa, con dolo o colpa grave, alla ingiusta detenzione subita, vanno apprezzati tutti gli elementi probatori disponibili, tenendo conto dei comportamenti che denotino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di norme e regolamenti, con valutazioni incensurabili in Cassazione se rette da motivazione congrua ed adeguata e che la Corte di appello ha adeguatamente evidenziato la colpa grave dell'odierno ricorrente posta in stretto rapporto di causalità alla restrizione della libertà personale sofferta e ha argomentato in termini congrui il giudizio in ordine al contributo offerto dall'attuale istante, con il suo comportamento precedente all'arresto, alla formazione de, quadro indiziario a sostegno de, provvedimento restavo, quale presupposto della falsa apparenza dell'illecito penale, i, proposto ricorso va dunque rigettato. 7. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Ritiene il Collegio che giusti motivi, tenuto conto della genericità delle argomentazioni svolte nella depositata memoria, inducano a compensare le spese di giudizio nei confronti del Ministero dell'Economia e delle Finanze. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali spese compensate tra le parti.