Locatario di un immobile ne garantisce l’uso esclusivo ad altri: entra senza permesso e commette reato

La mera titolarità di contratto di locazione su un immobile non ne determina la natura di abitazione, ove ci sia stato tra il locatario ed altro soggetto un accordo che garantisca al secondo l’uso esclusivo dell’immobile, non potendo vantare, il locatario formale, l’attualità dell’uso domestico.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44399, depositata il 3 novembre. Il caso. La Corte d’Appello di Bari riconosceva un imputato responsabile per il reato di violazione di domicilio di cui all’art. 614, comma 3, c.p. . Il condannato proponeva ricorso per cassazione, lamentando violazione di legge dal momento che la Corte territoriale aveva ritenuto sussistente l’illecito di cui sopra, nonostante il ricorrente fosse titolare di contratto di locazione riferito all’immobile. Il giudice di merito aveva ritenuto integrata la fattispecie di violazione di domicilio, in quanto il ricorrente si era precedentemente accordato con la ex convivente, garantendole l’utilizzo esclusivo dell’immobile. Il diritto della persona offesa di escludere dall’immobile il locatario formale. La Suprema Corte ha precisato come la titolarità in capo al ricorrente del contratto di locazione dell’immobile non faccia venir meno il diritto della persona offesa, qualora quest’ultima vi risieda in via esclusiva con il consenso del locatario, ad escludere quest’ultimo e chiunque altro dall’appartamento. Gli Ermellini hanno respinto la tesi per cui la mera titolarità del suddetto contratto in capo al ricorrente determini l’identificazione dell’immobile come abitazione dello stesso, essendo necessaria a tal fine l’attualità dell’uso domestico . La Corte di legittimità ha, inoltre, ribadito il proprio orientamento costante, secondo cui deve ritenersi integrata l’aggravante della violenza sulle cose, nei casi di violazione di domicilio, qualora l’azione sia esercitata direttamente sul bene e ne abbia cagionato il danneggiamento o alterato l’aspetto. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 giugno – 3 novembre 2015, n. 44399 Presidente Vessichelli – Relatore De Marzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 24/03/2014 la Corte d'appello di Bari ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato alla pena di giustizia R.P., avendolo ritenuto responsabile limitatamente al reato di cui all'art. 614, comma terzo, cod. pen . 2. L'imputato ha personalmente proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi. 2.1 Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, rilevando che la ritenuta sussistenza della violazione di domicilio, nonostante che l'imputato fosse il titolare del contratto di locazione, era stata argomentata dalla Corte territoriale, in ragione dell'accordo concluso con la sua ex convivente, che garantiva a quest'ultima l'utilizzo esclusivo dell'immobile. Tale accordo, secondo la sentenza impugnata, era comprovato dal fatto che il medesimo imputato non aveva le chiavi dell'appartamento. Il ricorrente rileva a che i giudici di merito non avevano specificato se l'indisponibilità delle chiavi fosse assoluta o limitata alla sera in cui si sarebbe verificata la violazione di domicilio b che la sentenza impugnata aveva erroneamente valorizzato circostanze di fatto, quali il mancato possesso delle chiavi, finendo in tal modo per rendere irrilevante la posizione giuridica della quale egli era titolare c che, in definitiva, è erroneo affermare che il domicilio penalmente tutelato si identifica nel luogo in cui, di fatto, il privato svolga la propria vita, a prescindere da un titolo giuridico che autorizzi l'esclusione di terzi. 2.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per avere la Corte territoriale omesso di illustrare il nesso funzionale tra il danneggiamento della porta fermo restando che, comunque, difettava la dimostrazione della capacità dell'imputato di sfondare la porta e la violazione di domicilio, in realtà insussistente, come comprovato dal fatto che l'originaria impostazione accusatoria era articolata attorno alla contestazione degli art. 614, comma terzo laddove l'impiego di violenza sulle cose è contemplata dal successivo quarto comma , e 635 cod. pen Tale considerazione conduce il ricorrente anche a denunciare la violazione della correlazione tra imputazione e sentenza, valorizzando il pregiudizio difensivo sofferto per l'imprevedibilità della riqualificazione del fatto. 2.3. Con il terzo motivo, si lamentano vizi motivazionali in ordine al riconoscimento della recidiva reiterata. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Come chiarito in punto di fatto dalla sentenza di primo grado, non oggetto al riguardo di alcuna contestazione nell'atto di appello, l'abitazione nella quale il R. ebbe ad irrompere in data 11/04/2006, intorno alla mezzanotte, era occupata dalla sola persona offesa e dalla figlia nata dalla relazione con l'imputato. Quest'ultimo, infatti, vivendo altrove, era esclusivamente il titolare formale del contratto di locazione, il cui canone era versato direttamente dalla persona offesa. Siffatto accordo tra il R. e la donna è dimostrato, secondo il ragionevole apprezzamento dei giudici di merito, anche dalla circostanza che il secondo non disponeva della chiavi di accesso all'appartamento. Tale profilo fattuale è inammissibilmente messo in discussione dal ricorrente per l'assorbente ragione che, nell'atto di appello, esso non era contestato. Nel gravame, infatti, si introduceva il distinto ed irrilevante tema dell'assenza di impedimenti nel diritto del padre di vedere la figlia, diritto che, all'evidenza, non legittima l'ingresso indiscriminato nell'abitazione nella quale viva la prole. In presenza dell'indicato accordo, la mera titolarità del rapporto di locazione in capo all'imputato non incide sul diritto della persona offesa, che, con il consenso del primo e, nel caso di specie, parrebbe - ma il profilo non assume decisiva rilevanza - anche del proprietario, visto che il canone era versato direttamente in favore di quest'ultimo , occupi in via esclusiva l'appartamento, di escludere dai luoghi nei quali si svolge la sua vita privata i terzi e lo stesso formale locatario dell'immobile. Invero, la titolarità del contratto di locazione certamente assume rilievo, quanto alla spettanza dei diritti e delle obbligazioni che ne scaturiscono, nei confronti del locatore, ma non vale ad identificare necessariamente nel bene locato l'abitazione del locatario, che, al contrario, presuppone l'attualità dell'uso domestico. E non v'è dubbio che il titolo negoziale che giustificava la esclusiva permanenza della donna nell'abitazione la legittimava ad escludere la sua controparte diretta dall'accesso nell'immobile. 2. Il secondo motivo di ricorso è, nel suo complesso, infondato. Per quanto concerne il profilo fattuale che investe la capacità dell'imputato di sfondare la porta, se ne rileva l'inammissibilità, trattandosi di questione non solo estranea ai motivi di appello, ma addirittura contrastante con le considerazioni svolte nel gravame e, in particolare, con la puntualizzazione secondo cui il R. ha effettuato l'accesso forzato all'interno dell'abitazione, in preda ad un impeto d'ira [ .] senza che questo fosse preordinato alla commissione di alcuna violenza sulle persone . Ciò posto, va ribadito, in termini assorbenti, che la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza integra una nullità a regime intermedio che, in quanto verificatasi in primo grado, può essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo. Ne consegue che detta violazione non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità Sez. 6, n. 31436 del 12/07/2012, Di Stefano, Rv. 253217 . In realtà, già la decisione di primo grado, a parte l'erroneo riferimento all'art. 614, terzo comma e che si tratti di errore materiale è confermato dalla circostanza che, immediatamente dopo la menzione dell'articolo e del comma, l'estensore osserva che il reato è procedibile d'ufficio , aveva ritenuto sussistente la circostanza aggravante di cui al quarto comma dello stesso art. 614, peraltro fondata sulla contestazione in fatto contenuta nel capo di imputazione che espressamente menziona lo sfondamento della porta come modalità attuativa della violazione di domicilio . Rispetto a tale conclusione - della quale l'atto di appello si mostra espressamente consapevole - sono state svolte dinanzi alla Corte territoriale delle difese, articolate attorno alla sussistenza del nesso funzionale tra la violenza e l'ingresso nel domicilio della persona offesa. In definitiva e per pura completezza, va quindi osservato che in ogni caso non si è realizzata alcuna violazione del diritto di difesa, giacché a l'esito definitorio appariva come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, e, in ogni caso b l'imputato ed il suo difensore hanno avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine alla questione si vedano i principi affermati con riguardo alla diversa qualificazione giuridica del fatto da Sez. 5, n. 48677 del 06/06/2014, Napolitano, Rv. 261356 . Quanto, infine, al nesso di strumentante richiesto dalla ritenuta circostanza aggravante, si rileva che la critica è infondata, giacché, secondo quanto puntualmente rilevato dalla Corte territoriale, la violenza è stata esercitata proprio al fine di sfondare la porta di ingresso e dunque di realizzare l'accesso nell'altrui abitazione. Tale soluzione è coerente con l'orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di violazione di domicilio, perché possa ritenersi sussistente l'aggravante della violenza sulle cose, che comporta la procedibilità di ufficio, occorre non solo che l'azione sia esercitata direttamente sulla res, ma anche che essa abbia determinato la forzatura, la rottura, il danneggiamento della stessa o ne abbia comunque alterato l'aspetto e/o la funzione Sez. 2, n. 32277 del 27/05/2010, D'Alfonso, Rv. 248179, con riferimento ad un caso nel quale era stata ritenuta sussistente l'aggravante nel fatto di un agente che aveva forzato, con un calcio, la porta di ingresso di un appartamento, nel quale si era poi introdotto per compiere una rapina . 3. Il terzo motivo è inammissibile per novità della questione, non sollevata nell'atto di appello, che anzi, invocava un favorevole giudizio di comparazione della ritenuta recidiva, senza contestare la sussistenza dei presupposti per la sua applicabilità. 4, Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.