Lui guarda mentre lei minaccia: è concorso?

La responsabilità di chi coopera ad un fatto criminoso non presuppone la convergenza psicologica sull’evento finale perseguito da altro dei concorrenti, essendo sufficiente che il suo apporto sia stato prestato con consapevole volontà di contribuire, anche solo agevolandola, alla verificazione del fatto criminoso.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 44402, depositata il 3 novembre. I contorni dell’istituto. In materia di concorso di persone nel reato previsto dall’art. 110 c.p., la giurisprudenza si è, nel tempo, spesa e impegnata per chiarire, precisare e perimetrare quel generico e vasto concetto di contributo e cooperazione che la norma esprime, per la verità, in maniera piuttosto implicita e vaga. Ed infatti, posto che il contributo può essere materiale e/o morale, in questa sede, la Corte ha affrontato la problematica della posizione del concorrente morale, la sua atipicità, e le differenze con la connivenza non punibile. Obbligo di motivazione sull’esistenza del concorso. Sebbene, invero, il contributo psicologico possa manifestarsi in vari modi e sotto varie forme, stante l’atipicità della condotta di concorso, il giudice non è mai esonerato dall’obbligo di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata . Ciò significa che non si può esimere dal verificare un effettivo rapporto di causalità efficiente dell’attività del partecipe con quella degli altri concorrenti. Il concorso morale. Con specifico riguardo alle forme di concorso morale, la Corte riafferma, anche in questa sede, che il contributo morale è rilevante non solo quando abbia efficacia causale, ma anche se consta di un contributo agevolatore, ossia, quando senza quella specifica condotta, il reato sarebbe comunque stato commesso ma con minori capacità di riuscita o con maggiore difficoltà. Quindi, in sostanza, la condotta deve consistere in un apporto tale da facilitare la commissione del reato, attraverso il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che, il partecipe, attraverso il suo comportamento, abbia aumentato le possibilità di commissione del reato. E’ così che diviene responsabile anche delle azioni altrui. La connivenza non punibile. Ma quando, invece, la giurisprudenza ritiene che l’opera prestata non sia causalmente efficiente? Nelle ipotesi di c.d. connivenza non punibile. Si tratta cioè di quei casi in cui l’agente mantiene un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare un reale contributo alla realizzazione del fatto reato, a differenza del concorso, in cui si richiede, invece, una concreta partecipazione positiva che, se anche passivamente manifestata, assicurando uno stimolo o comunque un maggior senso di sicurezza per l’agente, è prestata da un soggetto che non può che essere oggettivamente e soggettivamente inserito nel rapporto concorsuale. Accordo si o accordo no. Sotto altro profilo, poi, il concorso di persone non richiede necessariamente un previo accordo tra i concorrenti o una loro reciproca consapevolezza del concorso altrui, dato che, come giustamente e correttamente spiegato dalla giurisprudenza del Supremo Collegio, risulta sufficiente che il singolo concorrente sia consapevole di avere fornito un contributo ad altri contributo che, peraltro, può consistere anche in un’intesa istantanea o come semplice adesione all’azione di qualcuno che, però, ne resta ignaro. Identica finalità dell’azione. Quindi, in definitiva, ciò che conta, ai fini della manifestazione del reato in concorso di persone, è che vi sia una unitarietà del fatto collettivo , che si realizza quando le condotte dei concorrenti risultino, secondo un giudizio prognostico postumo, integrate in un unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicché è sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 giugno – 3 novembre 2015, n. 44402 Presidente Vessichelli – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con sentenza emessa il 30.4.2014 la corte di appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Lecce, sezione distaccata di Campi Salentina, in data 8.11.2012, aveva condannato Z.M. alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da reato in relazione al delitti di cui agli artt. 110, 81, 610, c.p., commesso in danno di Z.C., rideterminava in senso più favorevole al reo il trattamento sanzionatorio, confermando nel resto la sentenza impugnata. 2. Avverso la decisione della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, lamentando la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, con conseguente violazione dell'art. 530, c.p.p., in quanto la corte territoriale ha affermato la responsabilità dello Z. solo in base alla circostanza che lo stesso era presente in alcune occasioni in cui la sua convivente D.S. aveva rivolto minacce alla persona offesa, circostanza di per sé insufficiente per potere affermare un concorso consapevole e causalmente rilevante del suddetto Z. alla condotta illecita della D.S., difettando, pertanto, la suddetta motivazione del necessario accertamento sulla sussistenza del nesso causale e dell'elemento psicologico del reato. 3. Il ricorso non può essere accolto per l'infondatezza dei motivi che lo sostengono. 4. Non sembra superfluo, al riguardo, operare una breve ricostruzione dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di concorso di persone nel reato, a partire dal fondamentale arresto in cui la Corte di Cassazione, nella sua espressione più autorevole, ha affermato che in tema di concorso di persone nel reato il contributo causale del concorrente morale può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso , precisando, al tempo stesso, che tale pluralità di modi in cui può concretamente atteggiarsi il contributo morale alla materiale consumazione del reato non esime il giudice di merito dall'obbligo di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l'atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall'art. 110, c.p., con l'indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà cfr. Cass., sez. U. 30.10.2003, n. 45276, rv. 226101 , principio ribadito in seguito da altre condivisibili decisioni dei giudici di legittimità cfr., ex plurimis , da ultima, Cass., sez. I, 28.11.2014, n. 7643, rv. 262310 . Approfondendo lo sguardo sulle forme di concorso morale rappresentate dall'agevolazione alla preparazione o alla consumazione del delitto ovvero dal rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, può, dunque, dirsi che il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti cfr. Cass., sez. V, 13.4.2004, n. 21082, rv. 229200 Cass., sez. VI, 22.5.2012, n. 36818, rv. 253347 . Sempre all'interno dello sforzo interpretativo volto a delineare con la maggiore chiarezza possibile gli ambiti del concorso morale di persone nel reato, in modo da ricondurre ad una tipizzazione soddisfacente in termini di certezza normativa l'evidente atipicità della condotta criminosa concorsuale, va ribadita la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto, individuata nel fatto che la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un contributo partecipativo positivo - morale o materiale - all'altrui condotta criminosa, che si realizza anche solo assicurando all'altro concorrente lo stimolo all'azione criminosa o un maggiore senso di sicurezza, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla condotta delittuosa cfr. Cass., sez. V, 22.3.2013, n. 2805, rv. 258953 Cass., sez. V, 12.1.2012, n. 14991, rv. 252322 . In questa prospettiva si è come, nel caso in cui il concorso venga prospettato soltanto sotto la forma del rafforzamento dell'altrui proposito criminoso, non possa pretendersi la prova positiva, obiettivamente impossibile, che senza di esso quel proposito non sarebbe stato attuato, dovendosi invece considerare sufficiente la prova della obiettiva idoneità, in base alle regole della comune esperienza, della condotta consapevolmente posta in essere dal concorrente a produrre, sia pure in misura modesta, il suddetto rafforzamento cfr. Cass., sez. I, 17.2.1999, n. 8763, rv. 214114 . Né va taciuto, che, come sottolineato dal Supremo Collegio nella sua espressione più autorevole, in tema di concorso di persone nel reato, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all'altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all'opera di un altro che rimane ignaro, cfr. Cass., sez. U., 22.11.2000, n. 31, rv. 218525 , per cui è del tutto legittimo il concorso morale nell'altrui condotta, che si manifesti in itinere, senza la necessità di un preventivo accordo, vale a dire nel corso della fase esecutiva, mediante una condotta adesiva, che rafforzi o agevoli la realizzazione dell'altrui proposito criminoso. La volontà di concorrere, invero, non presuppone necessariamente un previo accordo, in quanto l'attività costitutiva del concorso può essere rappresentata da qualsiasi comportamento esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o alcune fasi di ideazione, organizzazione od esecuzione, alla realizzazione dell'altrui proposito criminoso, talché assume carattere decisivo l'unitarietà del fatto collettivo realizzato che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, alla fine, con giudizio di prognosi postumo, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicché è sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui cfr. Cass., sez. II, 15.1.2013, n. 18745, rv. 255260 . La responsabilità di chi coopera ad un fatto criminoso, in ultima analisi, non presuppone la convergenza psicologica sull'evento finale perseguito da altro dei concorrenti, essendo sufficiente che il suo apporto sia stato prestato con consapevole volontà di contribuire, anche solo agevolandola, alla verificazione del fatto criminoso cfr. Cass., sez. I, 9.12.2014, n. 15860, rv. 263089 . 4.1. Orbene, alla luce dei principi sinteticamente esposti nelle pagine che precedono, deve ritenersi dimostrato, ogni oltre ragionevole dubbio, il concorso morale dello Z. nel reato continuato di cui all'art. 610, c.p., commesso dalla compagna D.S.M. , il cui proposito criminoso il ricorrente ha rafforzato, quanto meno nella fase esecutiva del suddetto delitto, in quanto la sua presenza accanto alla compagna nelle occasioni in cui quest'ultima rivolgeva alla persona offesa le frasi minatorie specificamente indicate nel capo d'imputazione circostanza non contestata dal ricorrente , non assume i caratteri di un comportamento meramente passivo, bensì quello di un consapevole e volontario contributo partecipativo positivo, di tipo morale, all'altrui condotta criminosa. Con la sua presenza, infatti, l'imputato ha assicurato un maggiore senso di sicurezza alla sua compagna e ne ha agevolato la realizzazione del proposito criminoso, rendendo particolarmente concrete, nella percezione della persona offesa, le minacce, esplicite e larvate, a quest'ultima rivolte dalla D.S. farai una brutta fine, vedi di ritirare le denunce devi stare attento, nella vita le disgrazie girano non appena ti vede M. ti tira due schiaffoni . Ciò si evince con assoluta chiarezza ove si tenga presente, come evidenziato correttamente dalla corte territoriale, che la D.S., nel profferire le sue minacce all'indirizzo della persona offesa, faceva espresso riferimento allo Z.M. , indicandolo come colui che le avrebbe poste in essere se lo Z.C. non avesse provveduto a rimettere la querela da cui erano nati due procedimento penali a carico della stessa D.S. e dello Z.M La circostanza, dunque, che l'imputato non abbia pronunciato le suddette espressioni risulta del tutto irrilevante ai fini della sua responsabilità a titolo di concorso morale nella condotta della D.S., che i giudici di merito hanno affermato conformandosi ai richiamati principi di diritto. 5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento nonché alla rifusione, in favore della parte civile costituita, Z.C., delle spese del presente giudizio di legittimità, che, ai sensi del decreto del Ministro della Giustizia 20 luglio 2012 n. 140, Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, si fissano in complessivi Euro 1500,00, oltre accessori come per legge, di cui si dispone il pagamento in favore dell'erario, giusto il disposto dell'art. 110, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Z.C., che liquida in Euro 1.500,00, oltre accessori come per legge, somma di cui dispone il pagamento in favore dell'erario.