In caso di sequestro preventivo non sempre prevale l’interesse pubblico a discapito dei terzi privati

Compete al giudice che sequestra o, in caso di ricorso, al giudice del riesame, valutare se sia il caso di limitare il vincolo per scindere la posizione del creditore rispetto a quella dell’indagato ai fini dell’efficacia della cautela, mentre non è sempre necessario dare prevalenza all’interesse pubblico anche se il terzo ne patisce conseguenze pregiudizievoli.

Così precisando, la Terza Sezione penale di Cassazione, con sentenza n. 44010, depositata il 2 novembre 2015, ha annullato con rinvio l’ordinanza con cui veniva rigettata dal GIP l’istanza di riesame da parte di una banca, nei cui confronti era stato disposto il sequestro preventivo ex art. 10- ter , d.lgs. n. 74/2000. Gli ermellini, nell’accogliere il ricorso, hanno annullato l’ordinanza impugnata e rinviato al Tribunale territoriale competente in diversa composizione. Il ricorrente lamentava che nell’istanza di riesame era stata chiesta in tesi la revoca o l’annullamento o la dichiarazione di inefficacia del sequestro nei propri confronti e, in subordine, la limitazione dell’efficacia del provvedimento alle sole facoltà inerenti la posizione dell’indagato rilevava, però, che su quest’ultima richiesta il Tribunale aveva omesso di motivare e pronunciarsi, così violando gli articoli 321, 322 c.p.p., 240 c.p. e 2786 ss c.c L’accoglimento del ricorso. I Giudici di Piazza Cavour ritengono il ricorso fondato, ricordando, all’uopo, l’insegnamento delle Sezioni Unite del 18 maggio 1994, n. 9, che, in un caso simile a quello in esame id est , sequestro di titoli dall’indagato costituiti in pegno e dati a favore di un istituto di credito , riconoscono che il sequestro preventivo può avere ad oggetto anche beni che siano stati costituiti dall’indagato in pegno regolare, e ciò in quanto la disponibilità di questi da parte del creditore, pur penetrante, non può essere considerata assoluta né esaustiva di tutte le facoltà spettanti al debitore garante il quale, oltre all’eventuale recupero dell’eccedenza del pegno, può sempre alienare il bene o attivarsi per l’estinzione dell’obbligazione ed ottenere la restituzione dell’ eadem res fornita in garanzia , ma precisa che, in questo caso, comunque il giudice di merito che dispone la misura può limitare l’estensione del vincolo alle facoltà spettanti al debitore indagato o imputato, lasciando impregiudicate le facoltà di esclusiva pertinenza al creditore pignoratizio estraneo all’illecito penale ed anzi tale scissione delle rispettive sfere di disponibilità, ai fini di una diversa diversificazione dell’ambito di efficacia del vincolo, è da considerarsi doverosa quando le esigenze cautelari che fondano la misura consistono nel pericolo di commissione di nuovi reati, o di aggravamento di quelli già commessi, derivante soltanto dal comportamento del debitore indagato . Aggiunge, poi, la Terza sezione Penale, meglio chiarendo l’orientamento granitico in materia ancorché disatteso dal giudice adito nella vicenda de qua , che compete al giudice che sequestra o, in caso di ricorso, al giudice del riesame, valutare se sia il caso di limitare il vincolo per scindere la posizione del creditore rispetto a quella dell’indagato ai fini dell’efficacia della cautela, mentre non è sempre necessario dare prevalenza all’interesse pubblico anche se il terzo ne patisce conseguenze pregiudizievoli. Infatti, la valutazione del giudice non deve essere affatto automatica, ma bisogna, in ogni caso, operare un bilanciamento tra gli interessi coinvolti, in quanto l’interesse pubblico non può essere inteso come un rischio di natura inevitabile” o incontenibile” rispetto agli interessi privati, occorrendo sempre una valutazione degli interessi concreti specie – aggiungono i giudici de quibus – in ipotesi di terzi di buona fede soggetti, cioè, del tutto estranei – come in questo caso – alla condotta criminosa, pena la configurazione di una sorta di responsabilità oggettiva, del tutto estranea ai fondamentali principi giuridici, sia comunitari che interni.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 settembre – 2 novembre 2015, numero 44010 Presidente Mannino – Relatore Graziosi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 23 dicembre 2014 il Tribunale di Trieste ha rigettato l'istanza di riesame presentata, quale terza interessata, da Veneto Banca s.c.p.a. avverso sequestro preventivo disposto dal gip dello stesso Tribunale il 29 ottobre 2014 in relazione a indagini nei confronti di F.I. per il reato di cui all'articolo 10 ter d.lgs. 74/2000 e avente ad oggetto, tra l'altro, quote del Fondo Rilke per un valore di Euro 2.527.921,11, anteriormente costituite in pegno a favore della banca suddetta, presso la quale quindi il sequestro veniva eseguito. 2. Ha presentato ricorso il difensore, sulla base di un unico motivo. Lamenta il ricorrente che nell'istanza di riesame era stata chiesta in tesi la revoca o l'annullamento o la dichiarazione di inefficacia del sequestro nei propri confronti, e, in subordine, la limitazione dell'efficacia del provvedimento alle sole facoltà inerenti la posizione dell'indagato ma su quest'ultima richiesta il Tribunale ha omesso di motivare e di pronunciarsi, così violando gli articoli 321, 322 c.p.p., 240 c.p. e 2786 ss. c.c Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato. Con una motivazione quanto mai scarna, il Tribunale esamina esclusivamente la richiesta di annullamento del decreto .con conseguente ordine di dissequestro o di restituzione dei beni all'avente diritto . E tale richiesta respinge, affermando che l'orientamento giurisprudenziale consolidato ritiene che anche le cose eventualmente costituite in pegno possano formare oggetto di provvedimento di sequestro da parte del Giudice penale, essendo infatti necessario dare prevalenza alle esigenze di tutela della collettività, esigenze di tutela che devono essere soddisfatte anche ove potenzialmente pregiudizievoli nei confronti del terzo che ne dovesse essere gravato . Da un lato, quindi, il Tribunale si riferisce solo a un'istanza di dissequestro e di conseguente restituzione dei beni, ignorando l'istanza proposta in subordine dall'altro, per di più, inserisce una lettura della giurisprudenza nomofilattica che non corrisponde al suo reale contenuto. Invero, fondamentale, come ricorda il ricorrente, è al riguardo l'insegnamento di S.U. 18 maggio 1994 numero 9, che - proprio in un caso di sequestro di titoli dall'indagato costituiti in pegno a favore di un istituto di credito - riconosce sì che il sequestro preventivo in quel caso si trattava della fattispecie di cui all'articolo 321, primo comma, c.p.p. può avere ad oggetto anche beni che siano stati costituiti dall'indagato in pegno regolare, e ciò in quanto la disponibilità di questi da parte del creditore, pur penetrante, non può essere considerata assoluta né esaustiva di tutte le facoltà spettanti al debitore garante il quale, oltre all'eventuale recupero dell'eccedenza del pegno, può sempre alienare il bene o attivarsi per l'estinzione dell'obbligazione ed ottenere la restituzione dell'eadem res fornita in garanzia , ma precisa che in questo caso comunque il giudice di merito che dispone la misura può limitare l'estensione del vincolo alle facoltà spettanti al debitore indagato o imputato, lasciando impregiudicate le facoltà di esclusiva pertinenza del creditore pignoratizio estraneo all'illecito penale ed anzi tale scissione delle rispettive sfere di disponibilità, ai fini di una diversa diversificazione dell'ambito di efficacia del vincolo, è da considerarsi doverosa quando le esigenze cautelari che fondano la misura consistono nel pericolo di commissione di nuovi reati, o di aggravamento di quelli già commessi, derivante soltanto dal comportamento del debitore indagato ”. Tale lettura, pur ormai risalente, viene tuttora seguita dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte conformi Cass. sez. II, 21 ottobre 2003 numero 47400 e Cass. sez. II, 7 novembre 2008 numero 45400 e cfr. pure Cass. sez. III, 27 gennaio 1998 numero 379, nonché, sostanzialmente sulla stessa linea a proposito dei limiti di incidenza della successiva confisca sui beni oggetto di pegno, S.U. 28 aprile 1999 numero 9, alla quale parimenti ha aderito la giurisprudenza successiva . Compete, pertanto, al giudice che sequestra, o, in caso di ricorso, al giudice del riesame, valutare se sia il caso di limitare il vincolo per scindere la posizione del creditore rispetto a quella dell'indagato ai fini dell'efficacia della cautela non corrisponde, infatti, all'insegnamento nomofilattico l'asserto del Tribunale di Trieste per cui comunque è sempre necessario dare prevalenza all'interesse pubblico anche se il terzo ne patisce conseguenze pregiudizievoli. Quello che il giudice deve operare, invero, non è un automatico e totale assoggettamento del terzo all'interesse pubblico, bensì un bilanciamento, per quanto possibile ovvero nella misura ottimale, tra quest'ultimo e l'interesse privato, come recentemente sottolineato per un caso affine da un arresto di questa stessa Sezione Cass. sez. III, 18 maggio 2011 numero 36293, per cui, premesso che pure il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può investire anche il diritto di proprietà di titoli già pignorati in favore di terzi, puntualizza che spetta al giudice di merito valutare il necessario bilanciamento fra l'interesse pubblico alla non dispersione definitiva dei beni nella disponibilità dell'indagato e la tutela delle ragioni del terzo creditore estraneo al reato . L'interesse pubblico presidiato dal diritto penale e nelle cautele procedurali preventivamente concretizzato e presidiato, in effetti, non può essere inteso come una sorta di inevitabile e incontenibile rischio rispetto agli interessi privati, nel senso che la sussistenza dell'interesse pubblico estingua senza alcuna valutazione del caso concreto l'interesse privato in modo totale anche qualora titolare dell'interesse sia un soggetto in buona fede, cioè del tutto estraneo alla condotta criminosa, pena la configurazione – ictu oculi non corrispondente ai fondamentali principi giuridici, sia comunitari sia interni – di una sorta di responsabilità oggettiva cui viene correlato un trattamento parimenti oggettivamente sanzionatorio. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento dell’ordinanza impugnata e rinvio al Tribunale di Trieste in diversa composizione. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Trieste.