Discriminazione razziale e uso di armi: la Cassazione fa il punto sulle circostanze del reato

La pronuncia in commento ha costituito per il Supremo Collegio l’occasione di fornire alcune importanti precisazioni in relazione alle aggravanti di discriminazione razziale e dell’uso di armi.

Della questione si è occupata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43488/15, depositata il 28 ottobre. Il caso. Il Tribunale, previa esclusione delle aggravanti di discriminazione razziale e dell’uso di armi, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati per difetto di querela da parte delle persone offese per i reati di ingiuria, minaccia e lesioni. Avverso tale sentenza, ricorre per cassazione il Procuratore delle Repubblica presso il medesimo Tribunale, contestando la ritenuta insussistenza delle due aggravanti. Discriminazione raziale basta che le modalità di condotta denotino disprezzo razziale o etnico. Innanzitutto, gli Ermellini si sono soffermati ad analizzare l’aggravante della discriminazione razziale, precisando che essa si configura quando la condotta dell’agente, secondo l’accezione corrente, si rapporti ad un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, etnia o nazione , cioè quando l’azione costituisca una consapevole esteriorizzazione - immediatamente percepibile nel contesto in cui è maturata -, di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato sulla razza, l’origine etnica o nazionale - sentimento chiaramente percepibile come fondato sull’esclusione di condizioni di parità. Secondo i Giudici di Piazza Cavour, pertanto, qualora l’agente, nel commettere il reato scelga consapevolmente modalità che denotano disprezzo razziale, devono ritenersi perseguite le finalità che caratterizzano l’aggravante in parola, indipendentemente dal movente che ha innescato la condotta, che può essere anche di natura completamente differente. Per la sussistenza dell’aggravante, dunque, secondo il Supremo Collegio è sufficiente che il reato risulti oggettivamente strumentalizzato all’odio o alla discriminazione razziale, etnica o nazionale. Nel caso di specie, secondo il Palazzaccio, le espressioni usate dall’imputata denotano un’inequivoca volontà di discriminare la vittima del reato in ragione della sua appartenenza etnica o nazionale. Il bastone può essere considerato arma impropria. Parimenti erronea, secondo il Supremo Collegio, è l’esclusione dell’aggravante dell’uso di armi, dal momento che il pezzo di legno brandito dall’imputato è stato utilizzato come oggetto contundente, di talché ne è dimostrata l’idoneità offensiva e, per l’effetto, la possibilità di classificarla come arma impropria secondo quanto disposto dall’art. 585 c.p Ricorrendo le aggravanti contestate, dunque, secondo i Giudici di legittimità è irrilevante la mancata presentazione della querela da parte delle persone offese, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 luglio – 28 ottobre 2015, n. 43488 Presidente Bruno – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata il Tribunale di Orvieto ha dichiarato non doversi procedere per difetto di querela nei confronti di M.M.G., imputata per i reati di minaccia, ingiuria e percosse, nonché di Rotondi Iuri, imputato per quello di lesioni personali, previa esclusione delle aggravanti di discriminazione razziale e dell'uso di armi, rispettivamente contestate in riferimento ai primi due reati addebitabili alla M.e a quello attribuito al Rotondi. 2. Avverso la sentenza ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Orvieto deducendo errata applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta insussistenza delle due aggravanti. Quanto a quella dell'odio razziale il ricorrente evidenzia come la stessa riguardi anche l'ipotesi della discriminazione etnica e sussista a prescindere dalle finalità perseguite dall'agente. Con riguardo all'aggravante di cui all'art. 585 c.p. il ricorrente obietta come la stessa non dipenda dalla natura dell'oggetto utilizzato per offendere, bensì dalla sua destinazione funzionale, dovendosi dunque l'aggravante in questione ritenersi integrata anche attraverso l'utilizzo di un pezzo di legno da ardere come nel cado di specie. Considerato in diritto 1.11 ricorso è fondato. 2. Quanto all'aggravante di cui all'art. 3 I. n. 122/1993 va ricordato che essa è configurabile quando la condotta dell'agente si rapporti, nell'accezione corrente, ad un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, etnia o nazione Sez. 5, n. 49694 del 29 ottobre 2009, B. e altri, Rv. 245828 , quando cioè l'azione si manifesti come consapevole esteriorizzazione, immediatamente percepibile, nel contesto in cui è maturata, avuto anche riguardo al comune sentire, di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato sulla razza, l'origine etnica o nazionale e cioè di un sentimento immediatamente percepibile come connaturato alla esclusione di condizioni di parità Sez. 5, n. 11590 del 28 gennaio 2010, P.G. in proc. Singh, Rv. 246892 . 2.1 In tale prospettiva è vero, come sostenuto dal ricorrente, che non assume rilievo la mozione soggettiva dell'agente, ma nel senso che una volta oggettivatasi la finalità in un consapevole comportamento esteriore non è necessaria alcuna indagine su quest'ultima. In altri termini, qualora l'agente nel commettere il reato scelga consapevolmente modalità fondate sul disprezzo razziale deve ritenersi che lo stesso persegua la finalità che caratterizza l'aggravante in questione a prescindere dal movente che ha innescato la condotta e che può essere anche di tutt'altra natura. In definitiva l'aggravante sussiste allorquando risulti che il reato sia stato oggettivamente strumentalizzato all'odio o alla discriminazione razziale, etnica o nazionale Sez. 5, n. 30525 del 4 febbraio 2013, Del Dotto, Rv. 255558 . 2.2 Sul punto il Tribunale ha altresì errato nel circoscrivere la portata del dettato normativo alla discriminazione razziale, quando l'art. 3 del d.l. n. 122/1993 chiaramente configura l'aggravante di cui si tratta anche in riferimento ai fatti espressivi di odio e di discriminazione etnica, nazionale o religiosa. 2.3 Nel caso di specie, dunque, il ricorso ad espressioni come marocchino di merda o immigrati di merda con cui l'imputata avrebbe accompagnata le condotte addebitategli, al di là del loro intrinseco carattere ingiurioso, denota l'orientamento dei fatti, rivelando l'inequivoca volontà di discriminare la vittima dei reato in ragione della sua appartenenza etnica o nazionale. 3. Quanto al reato di lesioni parimenti erronea è l'esclusione dell'aggravante di cui all'art. 585 c.p., atteso che il pezzo di legno brandito dall'imputato è stato utilizzato come oggetto contundente rimanendone dimostrata la sua idoneità offensiva e dunque la sua doverosa classificazione come arma impropria nel senso accolto dalla disposizione citata Sez. 5, n. 4405/09 del 5 dicembre 2008, P.G. in proc. Ramaj, Rv. 242617 . 4. Ricorrendo le aggravanti contestate era dunque irrilevante, ai sensi dell'art. 6 d.l. n. 122/1993, la mancata presentazione della querela da parte delle persone offese per i reati di ingiuria, minaccia e lesioni, con la conseguenza che illegittimamente il Tribunale ha prosciolto gli imputati per difetto di una condizione di procedibilità. La sentenza deve dunque essere annullata limitatamente ai reati sunnominati con rinvio al Tribunale di Terni per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di terni per nuovo esame.