Pedina ossessivamente la figlia, mamma condannata per stalking

La donna ha completamente ignorato il divieto impostole dal Tribunale. Così ha seguito la minore, provando ad avvicinarla nei luoghi da lei frequentati di solito, come, ad esempio, la scuola. Ripercussioni serie per la ragazza, vittima di uno stato d’ansia tale da spingerla a stravolgere le proprie abitudini di vita.

Donna condannata per stalking. Fatale il pressing messo in atto per riuscire ad avere contatti con la figlia minore, nonostante il divieto imposto dal Tribunale. Inequivocabili i comportamenti della madre, evidenti gli effetti negativi sulla ragazzina. Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 42566/15 depositata oggi Pedinamento. Ricostruita nei dettagli la vicenda. La donna ha pedinato la figlia, raggiungendola nei luoghi da lei frequentati scuola, casa, luoghi di svago , seguendola nei suoi spostamenti , e cercando ogni volta di avvicinarla e di prendere contatti con lei . Tutto ciò ignorando completamente il divieto a lei imposto dal Tribunale. Allo stesso tempo, ella ha anche tempestato di telefonate l’ abitazione della ragazza. Decisiva, però, è la constatazione delle ripercussioni sulla minore, così preoccupata per la propria incolumità da modificare le proprie abitudini di vita . Ciò consente ai giudici di merito di ritenere la donna colpevole di stalking. Consequenziale la condanna a diciotto mesi di reclusione. Ripercussioni. Per il legale della madre, però, non vi è mai stata alcuna volontà di creare turbamento nella minore né di costringerla a modificare le proprie abitudini di vita . Manca, quindi, secondo l’ottica difensiva, l’ elemento psicologico per considerare la donna davvero responsabile di stalking. Tale obiezione, però, viene ritenuta non legittima dai Giudici della Cassazione, i quali ritengono evidente il dolo generico attribuibile alla donna. Quest’ultima era pienamente cosciente della idoneità delle condotte ossessive poste in essere alla produzione di effetti negativi sulla figlia, effetti destabilizzanti sul piano della serenità, dell’equilibrio psichico e delle ordinarie abitudini di vita . Non discutibile, quindi, la consapevolezza della donna. Altrettanto chiari i disagi vissuti dalla ragazza, testimoniati da uno stato di ansia e di apprensione che l’ha spinta a un cambiamento delle sue abitudini di vita . Tutto ciò comporta la conferma della condanna e della pena, fissata, come detto, in diciotto mesi di reclusione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 10 aprile – 22 ottobre 2015, n. 42566 Presidente Nappi – Relatore Bruno Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d'appello di Bologna confermava la sentenza dei 14 dicembre 2012, con la quale il Tribunale di Ravenna aveva dichiarato E.M.S. colpevole dei reato di cui all'art. 612 bis cod. pen. perché, con condotte reiterate, molestava la figlia minore T.G. con condotte reiterate, ingenerando in lei un fondato timore per l'incolumità propria e, comunque, costringendola ad alterare le proprie abitudini di vita condotte consistite, in particolare, nel contravvenire pressoché quotidianamente al divieto di prendere contatti con la figlia minore T.G., imposto dal Tribunale per i minorenni di Bologna con decreto in data 11.16.2005, telefonandole continuamente presso l'abitazione o comunque alle utenze del padre e dei nonni per parlarle, raggiungendola reiteratamente presso i luoghi dalla medesima frequentati istituti scolastici, luoghi di svago, abitazione, eccetera ed appostandosi nelle immediate vicinanze degli stessi ovvero entrandovi all'interno o comunque suonando ripetutamente il campanello per cercare di entrare , pedinandola nei suoi spostamenti e, poi, cercando ogni volt di avvicinarla e e di prendere contatti con lei e, per l'effetto, l'aveva condannata, esclusa la recidiva, alla pena dì anni uno e mesi sei di reclusione, oltre consequenziali statuizioni. Avverso la anzidetta pronuncia l'imputata, personalmente, ha proposto ricorso per cassazione lamentando, con unico motivo, erronea applicazione violazione di legge in relazione agli artt. 43 e 612 bis cod. pen. ai sensi dell'art. 606 lett. b e in mancanza, contraddittorietà ed illogicità di motivazione ai sensi dell'art. 606 lett. e . In particolare, si deduce mancanza di motivazione in ordine all'elemento psicologico, non potendo ritenersi che la volontà della madre fosse realmente diretta a creare turbamento nella minore ovvero costringerla a modificare le sue quotidiane abitudini di vita. Contesta, altresì, la possibilità di configurare l'elemento soggettivo in chiave di dolo eventuale, quale accettazione preventiva del rischio di creare turbamento nella minore o costrizione ad abbandonare le ordinarie occupazioni. Considerato in diritto 1. Le distinte censure che sostanziano l'unico motivo di ricorso sono tutte palesemente infondate. In una valutazione d'assieme, esse si risolvono, in sostanza, nella mera riproposizione di rilievi critici che, per vero, avevano già trovato compiuta e pertinente risposta nelle due sentenze di merito. Sarà, allora, sufficiente considerare che dal compendio argomentativo delle anzidette sentenze, che - in quanto convergenti in punto di penale responsabilità - forma una sola entità giuridica, integrandosi vicendevolmente, risultano perfezionati entrambi gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 612 bis. Sul piano della dimensione oggettiva è stata accertata un'ossessiva condotta dell'odierna ricorrente, caratterizzata da reiterate, pervicaci, intromissioni e turbamenti nel vissuto esistenziale della minore, in spregio peraltro dei divieti e delle prescrizioni del Tribunale per i minorenni. Parimenti accertato è il nesso causale tra tale ostinata condotta e l'evento, consistente, nel caso di specie, nello stato di ansia ed apprensione arrecato alla minore e nel cambiamento delle sue abitudini di vita. I due eventi tipici, dei tre previsti dalla norma sostanziale, sono stati, correttamente, desunti da pertinenti ed obiettivi dati sintomatici tratti dalle risultanze di causa Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, Rv. 261535 Sez. 6, n. 20038 del 19/03/2014, Rv. 259458 . Ineccepibile, poi, è l'individuazione del profilo soggettivo, che si pone in sintonia con indiscusso insegnamento di questa Corte di legittimità, secondo cui nel delitto di atti persecutori, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, che consiste nella volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, e che, avendo ad oggetto un reato abituale di evento, deve essere unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, anche se può realizzarsi in modo graduale, non essendo necessario che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, Rv. 260411 Sez. 5, n. 20993 del 27/11/2012, dep. 2013, Rv. 255436 secondo cui il delitto di atti persecutori è reato abituale di evento, per la cui sussistenza, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, è sufficiente il dolo generico, il quale è integrato dalla volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice . Dunque, è sufficiente la mera consapevolezza dell'idoneità delle condotte ossessive alla produzione di uno degli eventi tipici previsti dalla norma. La necessità, poi, che detta valutazione debba essere compiuta non solo in astratto, ma anche in rapporto all'oggettiva constatazione del riflessi consequenziali della condotta illecita, destabilizzanti sul piano della serenità ed equilibrio psichico della persona offesa e delle sue ordinarie abitudini di vita, vale a fugare le perplessità difensive in ordine alla possibilità di configurare l'elemento soggettivo in chiave di dolo eventuale, a parte l'irrilevanza dei rilievo posto che la componente soggettiva, nel caso di specie, non risulta affatto configurata nei termini anzidetti, ma correttamente posta in termini di dolo generico. 3. Per quanto precede, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con le consequenziali statuizioni dettate in dispositivo. Ricorrono le condizioni di legge per disporre che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano oscurati i dati sensibili. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Dispone che, in caso di diffusione dei presente provvedimento, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, come imposto dalla legge, ai sensi dell'art. 52 d.lgs. 1957/2003.