Niente reato se non c’è fine di lucro

Per la configurazione dell’ipotesi di illecito di cui all’art. 718 c.p. esercizio di giochi d’azzardo è necessario provare che il gioco è realizzato a fini di lucro, non potendosi desumere tale scopo dal fatto che l’apparecchio automatico proponga un gioco vietato.

Così la Cassazione, sezione III Penale, n. 40512/2015, depositata il 9 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello di Caltanissetta pronunciava sentenza di condanna ai sensi degli artt. 110, 718 e 719 c.c. esercizio di giochi d’azzardo in concorso , nei confronti del titolare di un pubblico esercizio e del titolare della sua ditta fornitrice. Nello specifico, il Collegio giudicante rimproverava ai due imputati di aver modificato la scheda di funzionamento degli apparecchi siti nel pubblico esercizio, sostituendo ai giochi per cui erano predisposti degli altri giochi d’azzardo. I condannati ricorrevano per cassazione, lamentando l’illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza del fine di lucro. Gli impugnanti, infatti, precisavano come la somma rinvenuta negli apparecchi predisposti al gioco non fosse il premio per le eventuali vincite, bensì il prezzo delle singole partite. Il fine di lucro deve essere oggetto di rigoroso accertamento. La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso. Gli Ermellini hanno ribadito un orientamento costante della giurisprudenza secondo cui, ai fini della configurazione dell’illecito di cui all’art. 718 c.p., è necessaria la prova che ci sia stato effettivamente il gioco e che l’apparecchio automatico sia potenzialmente utilizzabile a fini di lucro. Secondo la Cassazione, il fine di lucro sussiste ove il giocatore possa conseguire vantaggi economicamente rilevanti esso dunque deve essere parametrato in relazione al giocatore e non al gestore dell’esercizio ove siano situati gli apparecchi automatici. Peraltro, gli Ermellini hanno evidenziato come non si possa ritenere sussistente il fine di lucro soltanto perché l’apparecchio automatico riproduce un gioco vietato, dovendosi desumere tale fine da svariati elementi indiziari, quali l’entità della posta, la durata delle partite e la tipologia dei premi conseguibili. Per quanto sopra esposto, la Suprema Corte ha rinvenuto un vizio di motivazione nella pronuncia della Corte d’Appello, la quale ha esclusivamente operato un richiamo al rinvenimento, nelle gettoniere, di una somma di denaro piuttosto modica e compatibile, in assenza di diversi riscontri, con il ricavato delle giocate degli utenti. La Cassazione ha chiarito come non siano stati approfonditi elementi quali la durata delle partite o la tipologia dei premi erogabili e come la manomissione della scheda degli apparecchi, posta in essere dai ricorrenti, integri il reato di frode informatica, non contestato nel caso di specie. La Suprema Corte ha quindi annullato con rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 settembre – 9 ottobre 2015, n. 40512 Presidente Fiale – Relatore Orilia Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 27.5.2014 la Corte d'Appello di Caltanissetta ha confermato la colpevolezza di S.G. e B.G. in ordine al reato di cui agli artt. 110, 718, 719 cp per avere in concorso tra loro, rispettivamente, quale titolare del Cafè Italia in Piazza XXX e titolare della ditta fornitrice, tenuto un gioco di azzardo mediante l'installazione di tre videogiochi denominati Odds, Magic Door e Happy Gather . Con l'aggravante del fatto commesso in pubblico esercizio. Secondo la Corte di merito i tre apparecchi rinvenuti funzionanti nel locale, anziché visualizzare i giochi per i quali erano stati predisposti, visualizzavano giochi che simulavano quelli tipici del videopoker e delle slot machine. Ha considerato il rinvenimento all'interno delle gettoniere, di complessivi €. 232,50 ed ha pertanto ritenuto gli apparecchi idonei all'esercizio del gioco d'azzardo in ragione della modifica subita dalla scheda di funzionamento che li ha abilitati al'esercizio di un gioco diverso, quello delle slot machine e del poker. In ordine al trattamento sanzionatorio, ha convertito in ammenda la pena dell'arresto che il primo giudice aveva fissato in sei mesi , determinandola in €. 45.000,00 per ciascuno degli imputati, pervenendo così tenuto conto dell'ammenda di €. 412,00 pure comminata a ciascuno dal primo giudice alla complessiva somma di €. 45.412,00 di ammenda, per ciascuno degli imputati. 2 II difensore ricorre per cassazione deducendo tre motivi. 2.1. Con un primo motivo denunzia la manifesta illogicità della motivazione sulla sussistenza del fine di lucro, ritenendo insufficiente il mero rinvenimento di una modesta somma dì danaro all'interno degli apparecchi, perché tale somma riguarderebbe il prezzo della singola partita e non il premio delle eventuali vincite. Secondo il ricorrente, i militari operanti non avevano verificato se la macchina erogasse effettivamente vincite in danaro. L'errore dei giudici sta dunque nell'aver confuso tra prezzo del gioco e premio. 2.2 Col secondo motivo si denunzia la violazione degli artt. 132 e 133 cp nonché il vizio di motivazione. Si sostiene che la Corte d'Appello, per effetto della conversione, ha applicato una pena eccessiva €. 45.142,00 , limitandosi a richiamare unicamente l'art. 133 cp, senza alcun riferimento alla inoffensività della condotta e alla personalità degli imputati. Ci si duole altresì della omessa concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante. 2.3 Col terzo ed ultimo motivo si denunzia infine la violazione dell'art. 175 cp rimproverandosi alla Corte d'Appello di non essersi pronunciata sulla richiesta del beneficio formulata con l'atto di appello. Considerato in diritto II primo motivo di ricorso è fondato. La contravvenzione di cui all'art. 718 cp punisce chi, in luogo pubblico o aperto al pubblico o in circoli privati di qualunque specie, tiene un gioco di azzardo o lo agevola. L'art. 719 prevede a sua volta una serie di aggravanti tra cui per quanto interessa quella della commissione del in un pubblico esercizio n. 2 La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che la fattispecie di cui all'art. 718 c.p., è integrata dalla effettiva tenuta di un gioco d'azzardo e che ai fini dell'accertamento del reato, pertanto, non è sufficiente la prova dell'esistenza di mezzi atti ad esercitare il gioco d'azzardo, ma occorre anche la prova, eventualmente desunta da elementi indiziari, che vi sia stato il gioco. Occorre inoltre la prova, allorché si tratti di apparecchi automatici da gioco di natura aleatoria, dell'effettivo utilizzo dell'apparecchio per fini di lucro, non essendo sufficiente l'accertamento della potenziale utilizzabilità dello stesso per l'esercizio del gioco d'azzardo cfr. Sez. 3, Sentenza n. 21639 del 06/05/2010 Ud. dep. 08/06/2010 Rv. 247643 . E' stato altresì affermato che il fine di lucro richiesto in materia di gioco d'azzardo ricorre ogni qual volta il giocatore partecipi al gioco per conseguire vantaggi economicamente rilevanti, e va identificato in relazione al giocatore e non all'organizzatore o gestore dei gioco, il quale ricava ordinariamente un utile dall'organizzazione o gestione professionale del gioco, sia esso o meno d'azzardo cfr. Sez. 3, Sentenza n. 42374 del 18/10/2007 ud. dep. 16/11/2007 Rv. 238104 . Il fine di lucro non può essere ritenuto esistente solo perché l'apparecchio automatico riproduca un gioco vietato, ma deve essere valutato considerando anche l'entità della posta, la durata delle partite, la possibile ripetizione di queste ed il tipo di premi erogabili, in denaro o in natura. sez. 3^, 19.2.2008 n. 9988, Balducci ed altri, RV 239073 sez. 3^, 23.11.2006 n. 41621 . Nel caso che ci occupa, la Corte d'Appello sul fine di lucro non ha affatto motivato, non essendo sufficiente il mero richiamo al rinvenimento nelle tre gettoniere della somma di €. 232,50 che in mancanza di precisazioni sul contenuto di ciascuna gettoniera dovrebbe essere pari a circa 77,00 €. per ogni apparecchio, importo senz'altro compatibile con il semplice ricavato complessivo delle varie giocate e non già con una posta dei gioco da distribuire in caso di vincite. Ancora, la Corte d'Appello nulla ha accertato in ordine alla durata delle partite, alla possibile ripetizione di queste ed al tipo di premi erogabili, in denaro o in natura. La modifica della scheda di funzionamento e la conseguente abilitazione degli apparecchi ad un gioco diverso slot machine e videopoker accertata dalla Corte d'Appello integra il reato di frode informatica v. cass. 27135/2010 che, però, nel caso di specie non risulta contestato e pertanto l'argomentazione non è sufficiente al fine di dimostrare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui si discute. Né possono trarsi elementi sul fine di lucro dalla sentenza di primo grado, che, invece,ji è soffermata, sull'alea dei giuoco, ma non su tale specifico elemento. Si rende pertanto necessario un nuovo accertamento sul fine di lucro che tenga conto dei principi esposti, restando così logicamente assorbito l'esame del secondo e terzo motivo relativi al trattamento sanzionatorio. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Caltanissetta.