Confisca per equivalente e reati tributari

Ai fini della confisca per equivalente del profitto del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, l’oggetto del reato non è il credito vantato dal fisco, bensì la garanzia rappresentata dai beni dell’obbligato.

Il caso. La pronuncia in argomento Cass., sent. n. 40534/2015, depositata il 9 ottobre riguarda la problematica relativa all’individuazione del profitto nei reati tributari ai fini della confisca per equivalente disciplinata dall’art. 322 ter c.p., secondo quanto novellato dall'art. 1, comma 75, L. n. 190/2012. In particolare, la norma dispone che è sempre ordinata la confisca dei beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente al profitto . Nel caso di specie, il Tribunale di Roma confermava il decreto di sequestro preventivo di alcuni beni mobili ed immobili, fatti confluire dall’indagato in un trust fiduciario da lui stesso costituito, ritenendo sussistente il fumus del reato di cui all’art. 11, d.lgs. n. 74/2000, nonostante nell’atto di costituzione si dava atto dell’esistenza di un debito verso l’erario e la possibilità per questo di esperire un’azione revocatoria. La norma. L’art. 11 del D. Lgs. 74/2000 dispone, invero, la punizione di chiunque al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi compie altri atti fraudolenti sui propri o su alcuni beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva . Azione revocatoria e trust. La Corte ha affermato che ai fini dell’esclusione del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, a nulla valga qualsivoglia indicazione, nell’atto di costituzione del trust, di un debito verso l’erario recuperabile dallo stesso attraverso un’azione civile, stante che, proprio la necessità di dovere esperire un’azione giudiziaria, anziché potersi soddisfare direttamente sui beni del contribuente, rappresenta un chiaro aggravamento della sua posizione debitoria. Quantificazione dell’ammontare del sequestro. Con riguardo all’individuazione del profitto del reato, confiscabile per equivalente, la Corte ha accolto il ricorso di parte e, richiamando la propria giurisprudenza, ha affermato che il profitto, con riguardo al reato di cui all’art. 11, d.lgs. n. 74/2000, va individuato non nell’ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, ma nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi . Peraltro, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolente al pagamento delle imposte è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato, e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni, dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario. Sulla base, pertanto di quanto affermato, è evidente come il profitto del reato di cui all’art. 11, non coincide necessariamente con l’intero ammontare del debito, sebbene tale coincidenza, di fatto, possa verificarsi.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 maggio – 9 ottobre 2015, n. 40534 Presidente Teresi – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza del 9 dicembre 2014, il Tribunale di Roma, in sede di riesame, ha annullato il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevalente emesso dal Gip dello stesso Tribunale l'8 ottobre 2014, limitatamente alla somma di Euro 17.373.586,38, quale valore complessivo dei beni restituiti al curatore del fallimento Dierreci Costruzioni s.r.l., confermando nel resto il provvedimento impugnato. Quest'ultimo aveva per oggetto, in via principale i beni mobili e immobili nella disponibilità di T.J. , Joguvi Holding s.r.l., Joguvi Immobiliare s.r.l. e, in via subordinata, i beni e il denaro nella disponibilità di L.S.G. fino alla concorrenza del debito tributario accumulato pari a Euro 103.573.555,70, in relazione alla sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, attraverso la commissione di atti fraudolenti da parte dello stesso L.S. , finalizzati alla distrazione di beni immobili e di partecipazioni societarie, secondo quanto analiticamente descritto nel capo di imputazione provvisoria. Il Gip e il Tribunale hanno considerato rilevanti, ai fini del fumus commissi delicti , gli elementi desumibili dalle informative della Guardia di Finanza del 17 giugno 2013, del 10 dicembre 2013, del 17 luglio 2014. 2. - Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il T.J. , in persona del trustee, premettendo che la Guardia di Finanza aveva evidenziato che L.S. era stato dante causa in una donazione di fabbricato per un valore dichiarato di Euro 783.303,00 a favore dello stesso T.J. , nella persona del trustee F.A. , e che, in data 23 giugno 2010 era stata costituita la Joguvi Holding s.r.l. con amministratore unico L.S. e socio unico F. , nella sua qualità di trustee del T.J. società che, subito dopo la costituzione, aveva acquisito le quote di una serie di ulteriori società. 2.1. - Con un unico, articolato, motivo di doglianza, si deduce la carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dei presupposti del sequestro, sul rilievo che il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte è integrato dall'uso di mezzi fraudolenti per occultare i propri o altrui beni al fine di sottrarsi al pagamento del debito tributario, delle sanzioni e relativi interessi, e non può essere, invece, integrato da un qualunque atto dispositivo compiuto dal proprietario sul suo patrimonio. Secondo la ricostruzione difensiva, dalla lettura dell'ordinanza impugnata non si evincerebbe l'atto fraudolento posto in essere né il conseguente pericolo per la garanzia patrimoniale. Non si sarebbe spiegato, in altri termini, per quale ragione l'intestazione del patrimonio al trust sarebbe simulata allo scopo di costituire uno schermo giuridico per rendere più difficilmente aggredibile il patrimonio dell'indagato. La difesa afferma che erano state, in particolare, evidenziate due circostanze poi non prese in considerazione dal Tribunale. La prima era costituita dal fatto che nell'atto costitutivo del T. si era indicata l'esistenza della pretesa tributaria dell'erario, pur con la precisazione che la stessa si riteneva infondata. Tale clausola avrebbe - secondo la difesa - una finalità di protezione delle ragioni creditorie dell'erario, il quale avrebbe potuto in ogni tempo intraprendere l'azione revocatoria ai sensi dell'art. 2901 codice civile, che, com'è noto, consente al creditore di domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni qualora il terzo sia consapevole del pregiudizio. Né la necessità di esperire l'azione revocatoria costituirebbe di per sé un ostacolo all'attività di riscossione. La seconda circostanza trascurato dal Tribunale sarebbe rappresentata dalla genesi e dalla finalità della costituzione del T.J. . Si trattava - secondo la ricostruzione difensiva - dell'ultimo passaggio della vicenda successiva al divorzio di L.S. dalla moglie, avvenuto nel 2006, ovvero in epoca antecedente di due anni alla data di insorgenza del debito tributario per evitare il pagamento del quale il T. sarebbe stato costituito, secondo l'ipotesi accusatoria. La ex moglie dell'indagato ottenne che quest'ultimo le intestasse fiduciariamente, a garanzia delle sue obbligazioni nei confronti dei figli, le quote rappresentative del capitale sociale di una serie di società proprietarie di diversi immobili tale scrittura sarebbe stata sottoscritta in data molto anteriore all'insorgere del contenzioso fra il fisco e l'odierno indagato, essendo stata formata in data 16 ottobre 2007, a fronte della notifica dei primi accertamenti tributari il 18 dicembre 2008. Nell'ambito di un successivo contenzioso, definito transattivamente fra gli ex coniugi, si era stabilita la cessione delle quote societarie alla Joguvi Holding s.r.l., appositamente costituita a tale scopo dal T.J. , con manleva di L.S. per l'eventuale obbligazione tributaria dell'ex moglie in relazione al possesso delle quote societarie trasferite. Secondo la difesa, tali quote erano già fin dal 2007 vincolate alla garanzia degli interessi dei figli minori e il passaggio al T. era stato costruito come lo strumento tecnico per la realizzazione del medesimo intento che in precedenza si era attuato mediante l'intestazione fiduciaria alla ex moglie. 2.2. - La difesa del T. ha presentato memoria con motivi aggiunti, nella quale si rileva che la Commissione tributaria regionale di Roma ha emesso sentenze che annullano integralmente gli atti di accertamento citati nel decreto di sequestro emesso nei confronti dell'indagato. Come conseguenza dell'annullamento, il 29 gennaio 2015 l'Agenzia delle entrate ha effettuato lo sgravio integrale delle somme precedentemente iscritte a ruolo e, di conseguenza, Equitalia ha proceduto all'annullamento di ogni pretesa creditoria, come risulta dalla certificazione da essa rilasciata il 13 marzo 2015. La difesa lamenta che nel provvedimento impugnato si sostiene l'irrilevanza della modifica sostanziale della pretesa tributaria sulla configurabilità del reato. La considerazione del Tribunale parte dal presupposto che il reato di cui all'art. 11 del d.lgs. n. 74 2000 sarebbe reato di pericolo, e non tiene conto del fatto che, qualora il debito verso il fisco sia stato annullato, l'annullamento fa venire meno il presupposto del sequestro. E del resto le sentenze tributarie di annullamento degli avvisi di accertamento devono essere considerate esecutive, senza che tale esecutività possa essere sospesa ex art. 373 cod. proc. civ. in caso di impugnazione in cassazione. 3. - L'ordinanza è stata impugnata, tramite i difensori, anche da L.S. . 3.1. - Con un primo motivo di doglianza, si deduce la violazione degli artt. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000 e 322 ter cod. pen., in relazione all'individuazione del profitto del reato confiscabile anche per equivalente. Non si sarebbe considerato, in particolare che l'oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte non è il credito del fisco ma la garanzia rappresentata dai beni dell'obbligato, mentre nell'ordinanza impugnata si individua come profitto del reato proprio il debito erariale, per la somma di Euro 103.573.555,70. 3.2. - In secondo luogo, si prospetta la violazione dell'art. 322 ter cod. pen., perché si sarebbe potuto procedere al sequestro prodromico alla confisca per equivalente solo nel caso del mancato rinvenimento del profitto del reato confiscabile in via diretta. 3.3. - Con un terzo motivo di doglianza, si deduce la carenza di motivazione in ordine all'eccepita inidoneità della condotta contestata ad eludere la procedura di riscossione coattiva. In particolare, il valore indicato nel conferimento dei beni nel T. di Euro 783.303,00 sarebbe quello effettivo alla data di creazione del T. il valore ritenuto congruo dal pubblico ministero, di Euro 966.484,29 sarebbe invece semplice conseguenza della successiva rivalutazione delle tabelle catastali ex lege. E non si sarebbe considerato che i rapporti di fiducia e d'amicizia dell'indagato con il Trustee non sono indice di fraudolenza del T. , perché costituiscono la normalità in tale fattispecie negoziale. 3.4. - Con motivi aggiunti, la difesa di L.S. svolge rilievi analoghi a quelli svolti dalla difesa del T. e sopra riportati sub 2.2. Considerato in diritto 4. - I ricorsi sono parzialmente fondati. 4.1. - I motivi sub 2.1. e 3.3. - che possono essere trattati congiuntamente, perché attengono alla motivazione del provvedimento impugnato circa la natura fraudolenta del T.J. creato dall'indagato - sono infondati. I ricorrenti forniscono una ricostruzione della vicenda della costituzione del T. e del conferimento allo stesso dei beni dell'indagato del tutto parziale e, comunque meramente alternativa rispetto a quella contenuta nel provvedimento impugnato. Quest'ultima - non sindacabile in questa sede sotto il profilo nella contraddittorietà e manifesta illogicità, ma solo sotto quello della carenza, visto i limiti di cui all'art. 325, comma 1, cod. proc. pen. - risulta, in ogni caso, pienamente sufficiente e logicamente coerente, perché evidenzia che a con l'istituzione del T. e la nomina a trustee di un soggetto vicinissimo all'indagato, quest'ultimo conserva la sostanziale disponibilità dei beni, solo apparentemente segregati dal suo patrimonio b lo scopo dichiarato della creazione del T. , quello di garantire l'adempimento degli obblighi di mantenimento nei confronti dei figli all'esito del procedimento di divorzio dell'indagato, risulta, allo stato degli atti, poco verosimile, anche perché il trustee è il legale dello stesso indagato, che ne ha da sempre curato la posizione proprio nei confronti della ex moglie ed è dunque un soggetto inidoneo a curare gli interessi di quest'ultima al rispetto da parte dell'ex marito dell'obbligo di mantenimento dei figli c l'art. 4 dell'atto istitutivo del T. prevede la riserva per L.S. di nominare uno o più guardiani , soggetti che fanno le veci del disponente rispetto all'esercizio dei poteri del trustee poteri che trovano ulteriori incisive limitazioni in altre clausole. E non ostano a tali conclusioni le considerazioni difensive circa l'indicazione, nell'atto di costituzione del T. , dell'esistenza del debito verso l'erario e circa l'esperibilità dell'azione revocatoria. E anzi, proprio la necessità per l'erario di esperire tale azione anziché semplicemente soddisfarsi sui beni del contribuente rappresenta un chiaro aggravamento della sua posizione creditoria. Né meritano di essere condivise le considerazioni difensive circa il momento dell'insorgenza del debito tributario, perché - contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa che richiama i soli atti di accertamento - lo stesso è relativo anche ad anni di imposta, quali il 2003 e il 2004, ampiamente precedenti sia al divorzio dell'indagato dalla moglie sia alle vicende relative all'intestazione fiduciaria a quest'ultima di beni e alla successiva creazione del T. . 4.2. - Inammissibile è il rilievo - proposto con il motivo di ricorso sub 3.2. - secondo cui il Tribunale non si è pronunciato sul punto se il sequestro sia stato disposto senza preventivamente accertare l'impossibilità di procedere in via diretta sui beni costituenti il profitto del reato. Il ricorrente non specifica, infatti, se tale doglianza fosse stata prospettata con i motivi di riesame né se fosse stata dedotta all'udienza in camera di consiglio di fronte al Tribunale con la conseguenza che questa Corte non è messa in grado di valutare se lo stesso Tribunale abbia effettivamente omesso di motivare su una questione posta alla sua attenzione. Dall'esame del provvedimento impugnati risulta, anzi, che detta questione non era stata proposta in quella sede. Né a tali conclusioni potrebbe obiettarsi che la richiesta di riesame ha effetto interamente devolutivo e, dunque, investe il Tribunale di ogni aspetto relativo al titolo cautelare. L'effetto devolutivo del riesame deve, infatti, essere inteso nel senso che il Tribunale è tenuto, indipendentemente dalla prospettazione del ricorrente, a valutare esclusivamente la sussistenza dei presupposti della misura cautelare, sotto il profilo del fumus commissi delicti e, nel caso del sequestro preventivo, del periculum in mora o della confiscabilità dei beni sequestrati non essendo tenuto, invece, a procedere all'analisi di aspetti ulteriori, quale quello relativo alla sequestrabilità dei beni, qualora non espressamente dedotti per un caso analogo, sez. 3, 8 gennaio 2014, n. 15416 . 4.3. - Quanto alle sentenze della Commissione tributaria regionale che annullano gli accertamenti dei debiti tributari rispetto ai quali è contestata la fattispecie di cui all'art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000 - richiamate dai ricorrenti con i motivi sub 2.2. e 3.4. - deve rilevarsi che le stesse, pur essendo provvisoriamente esecutive, non fanno venire meno in via definitiva la pretesa tributaria, essendo soggette ad impugnazione con ricorso per cassazione. Né emerge dalla documentazione prodotta che l'Agenzia delle entrate o Equitalia abbiano dichiarato in via definitiva l'insussistenza del debito, perché le stesse si sono limitate a prendere atto delle richiamate sentenze, che impediscono, ma solo allo stato attuale, la riscossione. 4.4. - Fondato è, invece, il motivo di doglianza sub 3.1., formulato dalla difesa di L.S. relativamente alla quantificazione dell'ammontare del sequestro, che pur non trovando un analogo nel ricorso proposto nell'interesse del T. , giova evidentemente anche alla posizione di quest'ultimo. Deve essere qui richiamato il principio, enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte sez. 3, 16 maggio 2012, n. 25677 , secondo cui, con riguardo al reato di cui all'art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, il profitto va individuato non nell'ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, ma nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione all'erario viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, attesa la struttura di pericolo della fattispecie, attraverso l'atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti posti in essere. Né si pone in contrasto con tale assunto la sentenza Cass. pen. sez. un., 31 gennaio 2013, n. 18374, richiamata dal Tribunale, nella quale si afferma che, in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all'art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell'accertamento del debito tributario. In tale pronuncia non si afferma, infatti, che il profitto del reato di cui al richiamato art. 11 necessariamente coincida con l'intero ammontare del debito tributario, ma solo che una tale coincidenza può in alcuni casi verificarsi. Il Tribunale non ha fatto corretta applicazione del principio sopra ricordato, perché ha identificato il profitto confiscabile con il complessivo ammontare del debito tributario, di Euro 103.573.555,70, e non ha, di conseguenza, fornito alcuna motivazione circa l'ammontare, nel caso di specie, della riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio del debitore su cui il fisco ha il diritto di soddisfarsi. 5. - Ne consegue che l'ordinanza impugnata deve essere annullata, limitatamente alla quantificazione dell'ammontare del sequestro, con rinvio al Tribunale di Roma, che procederà a nuovo giudizio sul punto, tenendo conto del principio di diritto di cui sopra. I ricorsi devono essere, nel resto, rigettati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata, limitatamente alla quantificazione dell'ammontare del sequestro, con rinvio al Tribunale di Roma. Rigetta nel resto i ricorsi.