Rissa fra minorenni e ci scappa il morto. La Cassazione stringe la cinghia sul riconoscimento dell’aggravante dei futili motivi

Non è futile motivo” quanto collocato fra gli antecedenti fattuali” dell’azione criminosa, quali scaramucce o pregressi rancori giovanili.

Così la Cassazione, Prima sez. Penale, n. 40678/2015, depositata il 9 ottobre. Il fatto. Catania violenta. Nel corso di una rissa, innescata per futili motivi per pregressi rancori, perde la vita un giovanissimo ragazzo diciannovenne. Uno degli imputati minorenni, fra i quattro partecipanti alla colluttazione, sferrò il coltello ed uccise la vittima, trafitta al polmone ed al ventricolo. Dell’altro imputato fu dedotta la partecipazione dolosa al più grave delitto dai contenuti delle intercettazioni telefoniche con l’assalitore. I giudici di primo grado condannano per omicidio volontario ex art. 575 c.p. con dolo eventuale , negano la sospensione del processo con messa in prova degli imputati, allora minorenni, per la relazione negativa dei servizi sociali, riconoscono l’aggravante dei futili motivi ex art. 61 c.p., negano la prevalenza dell’attenuante della minore età sull’aggravante nonché il riconoscimento delle attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., in ragione dell’immaturità mostrata dai carnefici per la condotta post factum ed il comportamento processuale tenuto. La corte d’appello conferma la condanna. Entrambi gli imputati ricorrono in Cassazione il colpo sferrato fu accidentale e protratto a fini difensivi, sarebbe mancato il dolo. Uno degli imputati contesta il riconoscimento dell’aggravante dei futili motivi. Si tratta, quest’ultimo, del solo motivo accolto dalla Cassazione, per le ragioni di cui d’appresso. L’aggravante dei futili motivi” sta addosso al fatto” e non nella causa prima”, anche lontana nel tempo, della condotta delittuosa. Come noto, l’aggravante dei futili motivi sussiste quando la determinazione criminosa sia stata innescata da uno stimolo esterno così banale, lieve e sproporzionato , in relazione alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa, tanto da regredire anziché a causa determinante l’evento, ad un mero pretesto per il compimento dell’azione delittuosa. Si staglia sulla concreta dinamica del fatto , sullo sviluppo dell’azione delittuosa e non va verificata fra gli antecedenti fattuali, anche lontani nel tempo, che seppur frivoli e banali, accedono alla sfera rappresentativa dell’azione criminale. Si è trattato di un punto decisivo, la Cassazione ha inteso sconfessare il conforme disposto dei giudici di primo e di secondo grado che avevano riconosciuto l’aggravante, annullando sul punto la sentenza impugnata. Per i giudici la concitata azione rissosa, spasmodica e protratta nel tempo fino alla morte di uno dei partecipi, avrebbe escluso il riconoscimento dei futili motivi, collocati temporalmente e logicamente in un contesto antecedente al consumarsi del fatto. L’aggravante sta nell’impeto delittuoso. Ne segue che il riconoscimento dell’aggravante si trova nello stesso luogo d’analisi del dolo d’impeto , caratterizzante la trasgressiva risposta immediata o quasi immediata ad uno stimolo esterno. Il futile motivo si costituisce nell’ impulso a delinquere – e non nelle relativamente remote cause prime” dell’azione delittuosa, nel caso nelle ragioni per cui s’è innescata la rissa -, ubicandosi nella sfera volitiva dell’azione criminale. Le ragioni della Cassazione, seppur contestabili – perché escluderebbe il riconoscimento dell’aggravante dei futili motivi in ogni caso, ad esempio, di reati culturalmente motivati - sono presto intuibili e sono anche d’ordine sistematico. La compatibilità dell’ aggravante con il dolo d’impeto , ormai riconosciuta, ne esclude la compatibilità con l’attenuante della provocazione . Le scaramucce che innescarono la rissa, altrimenti, sarebbero state pericolosamente qualificabili nell’uno e nell’altro caso. Quanto aggraverebbe il reato sarebbe per paradosso anche motivo attenuante la gravità dell’azione delittuosa.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 21 maggio – 9 ottobre 2015, n. 40678 Presidente Cortese – Relatore Sandrini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza pronunciata il 28.05.2014 la Corte d'appello di Catania, sezione penale minori, in parziale riforma della sentenza in data 12.07.2013 del Tribunale per i minorenni di Catania, in funzione di GUP, appellata dagli imputati, ha riconosciuto a Q.F. la prevalenza dell'attenuante della minore età sull'aggravante dei futili motivi contestata in relazione al delitto di cui all'art. 575 cod. pen., rideterminando la pena nei suoi confronti nella misura di anni 12 mesi 4 di reclusione ha confermato nel resto la sentenza di primo grado, rigettando l'appello di B.G. avverso la condanna alla pena sospesa di anni 1 mesi 4 di reclusione per il reato di rissa aggravata. I reati per i quali è stata pronunciata la condanna degli imputati sono quelli di aver partecipato a una rissa coinvolgente altri soggetti, anche maggiorenni, nel corso della quale era rimasto ucciso il minore R.R. ed era rimasto ferito S.A. , nonché - per il solo Q. - anche quelli, unificati in continuazione, di omicidio del R. , aggravato dai futili motivi, di lesioni personali del S. e di porto ingiustificato di coltello ex art. 4 legge n. 110 del 1975, reati commessi tutti in Adrano nella notte tra il 3 e il 4 agosto 2012. Ranno Rosario era stato accoltellato alla regione toracica e S.A. era stato ferito alla schiena con un coltello nel corso della rissa scoppiata all'interno della villa comunale di dove il R. era intento a passeggiare insieme alla fidanzata M.G. , alla sorella L. e al S. , fidanzato di quest'ultima le vittime si erano scontrate con un gruppetto di giovani di cui facevano parte, oltre al Q. e al B. , C.A. , Sc.Al. e Sp.Gi. . La Corte territoriale riteneva corretto il provvedimento con cui il giudice di primo grado aveva rigettato la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova formulata dagli imputati Q. e B. , in quanto dalle relazioni dei servizi sociali emergeva che il percorso di rivisitazione critica dei fatti commessi era stato appena avviato dai prevenuti e mancavano le condizioni per elaborare un progetto al riguardo riteneva altresì corretta la qualificazione giuridica del fatto ascritto al Q. come omicidio volontario, in relazione alle concrete modalità della condotta dell'imputato, significative della sussistenza di un dolo eventuale sotto il profilo dell'accettazione dell'evento mortale, con riguardo alla regione vitale del corpo della vittima attinta dalla coltellata, alla direzione del colpo inferto dal basso verso l'alto, al tipo di arma utilizzata non rinvenuta ma avente dimensioni tali da raggiungere, attingendoli, il polmone e il ventricolo destro della vittima , alla distanza ravvicinata da cui era stata vibrata la coltellata, alla violenza del colpo inferto, escludendo che elementi contrari potessero trarsi dall'unicità del colpo e dall'assenza di un movente apparente riteneva compatibile il successivo accoltellamento con finalità solo lesive, e non letifere, del S. col momento di smarrimento dell'imputato di fronte al copioso sanguinamento del R. , che l'aveva indotto a cercare di divincolarsi dal S. colpendolo col coltello in parti non vitali escludeva che l'uso del coltello potesse essere giustificato da esigenze difensive, in quanto gli altri partecipi alla rissa non erano armati e il gruppo al quale apparteneva il Q. era numericamente superiore agli avversari, mentre la mera volontà di intimorire l'avversario, allegata dall'imputato, appariva incompatibile proprio con l'unicità del colpo e con la violenza con cui era stato inferto da distanza ravvicinata, così da consentire una puntuale rappresentazione delle sue conseguenze mortali. La sentenza d'appello confermava la sussistenza dell'aggravante dei motivi futili, sulla scorta della sproporzione assoluta ravvisabile tra l'impulso che aveva spinto il Q. a estrarre il coltello e colpire la vittima, da un lato, e la gravità dell'azione e degli esiti che ne erano derivati, dall'altro rilevava, sul punto, l'inconferenza della circostanza che la discussione poi degenerata nella rissa e nell'omicidio fosse iniziata per impulso del R. , posto che il movente, futile, dell'omicidio, doveva essere tenuto distinto dai motivi che avevano determinato la rissa, inserendosi come un elemento anomalo e del tutto sproporzionato in un contesto in cui nessuno degli altri contendenti era armato. La Corte di merito confermava infine il diniego delle attenuanti generiche, delle quali non ricorrevano i presupposti anche alla luce della condotta processuale non positiva del Q. valorizzava invece l'immaturità dell'imputato al fine di riformulare il giudizio di comparazione ex art. 69 cod. pen. in termini di prevalenza dell'attenuante della minore età sull'aggravante dei motivi futili. Con riguardo all'appello del B. , la Corte territoriale riteneva provata la partecipazione dell'imputato alla rissa nel cui contesto era stato commesso l'omicidio, valorizzando il contenuto delle conversazioni intercettate tra il B. e il Q. da cui emergeva il coinvolgimento del primo nell'accerchiamento del R. , nonché le dichiarazioni rese dal C. e dallo stesso B. ammissive del contatto fisico col S. e della partecipazione alla rissa anche la M. e R.L. , pur non attribuendo al B. specifici atti di violenza, ne avevano confermato la presenza nel gruppo antagonista. La sentenza d'appello riteneva inconferente l'assenza di tracce ematiche nei prelievi eseguiti dalle unghie del B. , non avendo questi impugnato armi ma soltanto usato le mani nel confronto fisico con gli avversari confermava anche per il B. il diniego delle attenuanti generiche. 2. Ricorrono per cassazione entrambi gli imputati, Q.F. e B.G. , a mezzo dei rispettivi difensori. 2.1. Il ricorso proposto nell'interesse di Q.F. deduce tre motivi di censura. Col primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 575 cod. pen., dolendosi della violazione, da parte del giudice d'appello, dell'onere di confutare le allegazioni difensive sull'incongruenza della ricostruzione accusatoria validata in sentenza, a fronte della maggiore conciliabilità della ricostruzione prospettata dalla difesa con le risultanze istruttorie in particolare, il ricorrente censura la minimizzazione delle incongruenze rilevabili nelle dichiarazioni della teste M. e la natura ipotetica della ricostruzione dell'episodio in termini di omicidio volontario, anziché preterintenzionale, effettuata sulla base di un metodo induttivo privo di riscontro negli atti processuali e contraddetto dalla condotta dell'imputato immediatamente successiva al colpo mortale rileva il contrasto motivazionale esistente tra la ragione giustificativa della riconosciuta prevalenza dell'attenuante della minore età, individuata dal giudice d'appello nell'immaturità che aveva animato l'azione omicida del Q. , e la ritenuta sussistenza dell'accettazione del rischio dell'evento morte da parte dell'imputato sub specie di dolo eventuale. Col secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 61 n. 1 cod. pen., rilevando che la stessa sentenza impugnata aveva collocato l'insorgenza dello stimolo all'azione omicida in un momento successivo al confronto iniziale tra i due gruppi antagonisti, nel contesto della rissa già scoppiata, di cui non era nota l'evoluzione e in relazione alla quale non era possibile formulare alcun giudizio proporzionale tra il movente e l'azione delittuosa. Col terzo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 62 bis cod. pen. e 125 cod.proc.pen., lamentando l'omessa indicazione delle ragioni del diniego delle attenuanti generiche, basato su considerazioni generiche che non avevano tenuto conto della condotta confessoria dell'imputato. 2.2. Il ricorso proposto nell'interesse di B.G. deduce tre motivi di doglianza, coi quali lamenta - violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 28 DPR n. 448 del 1988, sotto il profilo dell'assenza di una reale e argomentata esposizione delle ragioni per le quali era stata respinta l'istanza di sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato, nonostante il parere positivo espresso dagli operatori del servizio sociale sulla praticabilità di un percorso socio-riabilitativo - violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 588 cod. pen., con riguardo alla ritenuta partecipazione dell'imputato alla rissa, in assenza di indicazione del ruolo del B. nel reato e nonostante il mancato riscontro sulla sua persona di esiti lesivi o tracce di materiali biologici riferibili alla vittima o agli altri soggetti coinvolti, senza tenere conto delle dichiarazioni scagionanti rilasciate da S.A. , amico della vittima - vizio di motivazione in relazione all'art. 62 bis cod. pen., con riguardo al diniego ingiustificato delle attenuanti generiche nonostante la corretta condotta processuale, la collaborazione prestata agli inquirenti, il dolore manifestato per l'accaduto ricavabile dal contenuto delle intercettazioni, l'assenza di precedenti e la personalità matura e consapevole tratteggiata nelle relazioni sociali. Considerato in diritto 1. Il primo motivo del ricorso di Q.F. è infondato fino a rasentare l'inammissibilità. Le argomentazioni sviluppate dal ricorrente nel motivo di gravame si collocano ai limiti dell'inammissibilità laddove si risolvono in una contestazione in punto di fatto della ricostruzione della dinamica dell'omicidio del R. operata dalla sentenza impugnata, prospettando una lettura alternativa delle risultanze istruttorie sul punto, mentre si rivelano infondate laddove sollecitano una diversa qualificazione giuridica del fatto in termini di omicidio preterintenzionale ex art. 584 cod. pen., anziché di omicidio volontario così come contestato nel capo B della rubrica e ritenuto dai giudici di merito. Dal testo della sentenza impugnata risulta che la ricostruzione del fatto in termini di omicidio doloso è supportata da una motivazione adeguata, frutto di una disamina complessivamente coerente delle emergenze probatorie disponibili, scevra da illogicità o incongruenze evidenti, avendo la Corte territoriale fatto corretta applicazione al caso di specie di criteri di valutazione che sono conformi ai principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di prova dell'elemento psicologico del reato di cui all'art. 575 cod. pen. e dei relativi elementi distintivi dalla fattispecie di cui all'art. 584 cod. pen La sentenza d'appello ha valorizzato, sul punto, una pluralità di elementi ricavati dalle concrete modalità di estrinsecazione della condotta lesiva posta in essere dall'imputato, ritenuti nel loro complesso significativi dell'avvenuta rappresentazione ed accettazione da parte del Q. dell'evento mortale, sub specie di dolo eventuale, costituiti dalla direzione e dalla violenza della coltellata inferta al R. dal basso verso l'alto, dalla distanza estremamente ravvicinata da cui era stato vibrato il colpo, dall'idoneità letifera certamente posseduta dall'arma utilizzata, avente dimensioni tali da penetrare in profondità nel corpo della vittima fino a raggiungere e ledere il polmone e il ventricolo, dalla direzione del colpo di coltello a una regione corporea interessata da organi vitali come quella emitoracica e ha così fatto coerente applicazione del principio per cui la prova dell' animus necandi è legittimamente ricavabile attraverso un procedimento logico d'induzione da altri fatti certi Sez. 1 n. 30466 del 7/07/2011, Rv. 251014 Sez. 1 n. 28175 dell'8/06/2007, Rv. 237177 Sez. 1 n. 15023 del 14/02/2006, Rv. 234129 , quali il mezzo usato, la direzione e l'intensità dei colpi o anche dell'unico colpo, non essendo necessaria la reiterazione dell'azione lesiva Sez. 1 n. 51056 del 27.11.2013, Rv. 257882 , la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo dell'azione cruenta, la cui univoca convergenza è stata ritenuta incompatibile con la natura preterintenzionale del reato, che postula l'esclusione assoluta da parte dell'agente di ogni previsione dell'evento morte come conseguenza della propria condotta Sez. 1 n. 35369 del 4/07/2007, Rv. 237685 . L'apprezzamento del fatto quale risultante dalle emergenze processuali, così operato dalla Corte territoriale, rientra nella competenza esclusiva del giudice di merito e, in quanto sorretto da una motivazione logica e conforme a corretti criteri giuridici di valutazione, risulta incensurabile in sede di legittimità. Deve, invero, ribadirsi l'orientamento consolidato secondo cui, in presenza di una lettura delle risultanze istruttorie immune da vizi logico-giuridici, è normativamente precluso alla Corte di cassazione di procedere a una rinnovata valutazione dei dati probatori che il giudice di merito ha posto a fondamento della decisione, o all'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e lettura dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice d'appello perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, che trasformerebbe la Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto ex multis, Sez. 2 n. 22362 del 19/04/2013, imputato Di Domenica Sez. 6 n. 5907 del 29/11/2011, imputato Borella Sez. 5 n. 17905 del 23/03/2006, Rv. 234109 Sez. Un. n. 47289 del 24/09/2003, Rv. 226074, Petrella la funzione dell'indagine di legittimità sulla motivazione della sentenza non è quella di sindacare l'intrinseca attendibilità dei risultati dell'interpretazione delle prove e di attingere il merito dell'analisi ricostruttiva dei fatti, ma soltanto quella di verificare che - come avvenuto nel caso di specie - gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica giuridica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate in termini di consequenzialità le conclusioni tratte. In tale prospettiva, il dovere di motivare la decisione deve ritenersi adempiuto, da parte del giudice di merito, attraverso una valutazione globale delle risultanze processuali e delle deduzioni delle parti, essendo sufficiente che siano spiegate le ragioni che hanno determinato il convincimento del giudice, dimostrando di aver tenuto presenti i fatti decisivi e confutato gli argomenti che costituiscono l'ossatura della tesi difensiva dell'imputato intesa a prospettare, nel caso in esame, l'assenza di animus necandi nella condotta del Q. , così che devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata Sez. 6 n. 20092 del 4/05/2011, Rv. 250105 Sez. 4 n. 26660 del 13/05/2011, Rv. 250900 Sez. 1 n. 27825 del 22/05/2013, Rv. 256340 . Proprio la riconduzione dell'azione omicida dell'imputato, da parte della sentenza impugnata, all'elemento psicologico del dolo eventuale - e non già del dolo diretto o di natura intenzionale - frutto di un impeto momentaneo insorto nel corso della rissa ed esauritosi alla vista del sangue della vittima, legato alla condizione di immaturità tipica della minore età del Q. , esclude l'incoerenza argomentativa prospettata dal ricorrente con riguardo alla coesistenza di tale atteggiamento soggettivo con l’ animus ledendi invece ritenuto dalla Corte territoriale in relazione al ferimento del S. , nonché alla conseguente valorizzazione di tale immaturità nel giudizio di prevalenza dell'attenuante della minore età sull'aggravante dei futili motivi la tesi del ricorrente, nelle sue implicazioni consequenziali, condurrebbe all'inaccettabile e controproducente conclusione, essa sì illogica, per cui la prova dell' animus necandi postulerebbe la riqualificazione in termini di tentato omicidio del fatto in danno del S. e osterebbe alla formulazione del giudizio di bilanciamento di cui all'art. 69 cod. pen. nei termini favorevoli all'imputato seguiti dalla sentenza d'appello. Il motivo di ricorso deve pertanto essere rigettato. 2. Anche il terzo motivo di doglianza del Q. , diretto a censurare il diniego delle attenuanti generiche e che conviene subito esaminare, è infondato. La lettura coordinata delle motivazioni sul punto della sentenza di primo grado che ha dedicato all'argomento un apposito paragrafo e di quella d'appello, che si integrano e completano a vicenda concorrendo a formare un unico e coerente corpo argomentativo Sez. 3 n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595 , da conto in modo adeguato delle ragioni che hanno condotto entrambi i giudici di merito a negare al Q. il beneficio di cui all'art. 62 bis cod. pen., valorizzando l'assenza di linearità della condotta dell'imputato successiva al fatto, volta a confondere il quadro probatorio e ritenuta carente di segnali di resipiscenza e di reale consapevolezza del grave disvalore del reato commesso. L'apprezzamento così operato si risolve in un tipico giudizio di fatto, che si sottrae al sindacato di legittimità in quanto congruamente motivato mediante il richiamo di quello o quelli degli elementi previsti dall'art. 133 cod. pen. che il giudice di merito ha ritenuto determinanti e prevalenti al fine di negare il beneficio Sez. 2 n. 3609 del 18/01/2011, Rv. 249163 Sez. 6 n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419 , senza necessità di confrontarsi con tutti i parametri di valutazione indicati dall'art. 133 il motivo di ricorso va dunque rigettato. 3. È invece fondato, per le ragioni che seguono, il secondo motivo di doglianza del Q. . I giudici di merito hanno ritenuto sussistente l'aggravante dei motivi futili, contestata all'imputato con riguardo al solo reato di omicidio, sulla scorta di una valutazione giuridica erronea e contraddittoria, esplicitata tanto dalla sentenza di primo grado pagine 34 e 35 quanto dalla sentenza d'appello pagine 22 e 23 , che riferisce gli elementi che sostanziano l'aggravante - e che richiedono, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, che la determinazione criminosa trovi causa in uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato, da apparire assolutamente insufficiente a provocare il delitto, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale Sez. 1 n. 59 dell'1/10/2013, Rv. 258598 Sez. 1 n. 39261 del 13/10/2010, Rv. 248832 Sez. 1 n. 29377 dell'8/05/2009, Rv. 244645 - a un momento antecedente l'omicidio, omettendo di contestualizzare la condotta del Q. e i suoi motivi ispiratori nella concreta dinamica del reato di cui all'art. 575 cod. pen. a cui accede la circostanza aggravante, quale prospettata dalle stesse sentenze di merito. La valutazione sulla sussistenza dei presupposti del motivo futile doveva essere rapportata al contesto diretto dell'azione omicida e dell'elemento psicologico che l'ha contraddistinta, e non già ai suoi antecedenti fattuali e in particolare alla rissa tra i due gruppi contrapposti di giovani, che poteva anche essere stata innescata da ragioni banali in rapporto al dolo d'impeto, privo di connotazioni intenzionali, che la sentenza impugnata ha ritenuto caratterizzare la condotta omicidiaria, inseritasi nell'iter ingravescente di una rissa nel corso della quale secondo le parole testuali della sentenza d'appello, pagina 23 erano volati sberle, spintoni e pugni reciproci, deve logicamente escludersi - alla stessa stregua della ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito - quella macroscopica e assoluta sproporzione, necessaria a integrare gli estremi dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 1 cod. pen., che deve connotare la determinazione delittuosa in modo tale da costituire univoco indice di un più spiccato istinto criminale e di un elevato grado di pericolosita dell'agente Sez. 1 n. 18779 del 27/03/2013, Rv. 256015 . Poiché l'esclusione dell'aggravante discende dall'obiettiva insussistenza dei suoi presupposti in diritto, che emerge in modo diretto - al di là dell'erroneità e della illogicità della motivazione con cui è stata invece ritenuta - dalla ricostruzione fattuale contenuta nelle sentenze di merito, la decisione impugnata deve essere annullata, sul punto, senza rinvio gli atti relativi alla posizione del Q. devono comunque essere rimessi alla sezione minorenni della Corte d'appello di Catania, fermo il giudicato formatosi sulla responsabilità dell'imputato per il delitto di cui all'art. 575 cod. pen., per le determinazioni, riservate al giudice di merito, sull'incidenza dell'esclusione dell'aggravante sulla dosimetria della pena, posto che la sua riconosciuta subvalenza rispetto all'attenuante della minore età, nell'ambito del giudizio di bilanciamento formulato dalla Corte d'appello, si è tradotta in una riduzione non piena della pena base, diminuita in misura inferiore al terzo da anni 21 ad anni 18 di reclusione, suscettibile di possibile rivalutazione in melius per effetto del venir meno di uno degli elementi della comparazione. 4. Il ricorso di B.G. è inammissibile in ogni sua deduzione. Dal raffronto tra il contenuto del ricorso e quello delle doglianze dedotte come motivi di appello avverso la decisione di primo grado, riportate nel testo della sentenza impugnata, emerge in modo immediato che i motivi del ricorso per cassazione del B. si limitano a riprodurre le stesse censure, argomentate in termini di puro fatto, già articolate - sui medesimi punti riguardanti il rigetto della richiesta di sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato, l'insussistenza di elementi di prova della partecipazione del ricorrente alla rissa, il diniego delle attenuanti generiche - nei motivi d'appello, strutturati su argomentazioni che, piuttosto che criticare la congruità e la tenuta logica della motivazione della sentenza impugnata, si risolvono nel sollecitare a questa Corte un'inammissibile, ennesima, rivalutazione dei medesimi elementi e circostanze di fatto, secondo lo schema tipico di un gravame di merito che esula completamente dalle funzioni dello scrutinio di legittimità. I motivi di ricorso, pertanto, oltre a incorrere in una prima ragione di inammissibilità discendente dalla sostanziale natura di lagnanze di merito - e non già di vizi di legittimità - dei relativi contenuti, si rivelano altresì carenti del requisito della specificità, nella misura in cui non si confrontano criticamente con la motivazione della sentenza impugnata ma si esauriscono in una pedissequa riproposizione di argomentazioni che sono già state esaminate e confutate, in modo adeguato, dalla Corte territoriale vedi Sez. 2, n. 36406 del 27/06/2012, Rv. 253893, secondo cui la genericità del gravame che discende dall'assenza di correlazione tra le ragioni argomentative della sentenza impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione integra una causa tipica di inammissibilità del ricorso per cassazione . Va dunque rilevata l'insindacabilità in questa sede, per le ragioni appena esposte, delle motivazioni in forza delle quali la Corte d'appello ha, da un lato, ritenuto insussistenti i presupposti della sospensione del processo con messa alla prova del B. , valorizzando il contenuto delle relazioni dei servizi sociali sull'assenza di un congruo percorso di rivisitazione critica del fatto da parte dell'imputato, e ha, dall'altro, giudicato puntualmente provata la partecipazione del B. alla rissa nella quale il R. era rimasto ucciso, sulla scorta delle risultanze delle conversazioni intercettate col coimputato Q. , delle dichiarazioni rese da altri soggetti coinvolti o presenti al fatto oltre che dallo stesso B. , nonché della ritenuta inconferenza dell'assenza di tracce ematiche della vittima nei campioni di tessuto prelevati dalle unghie del ricorrente condannato per il solo concorso nel reato di cui all'art. 588 cod. pen. per quanto riguarda l'incensurabilità del diniego delle attenuanti generiche vanno, infine, richiamate le considerazioni già svolte con riferimento al ricorso del Q. . Poiché il B. era minorenne all'epoca del reato, alla declaratoria di inammissibilità del ricorso non conseguono statuizioni di condanna alle spese e al pagamento della sanzione pecuniaria. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Q.F. limitatamente all'aggravante dei futili motivi per il delitto di omicidio, aggravante che esclude, e dispone rimettersi gli atti alla Corte d'appello, sezione minorenni, di Catania per la rideterminazione della pena rigetta nel resto il ricorso di Q Dichiara inammissibile il ricorso di B. .