La confisca per equivalente di quote sociali e reati tributari

In caso di reati tributari, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può essere disposto non soltanto con riguardo al prezzo, ma anche con riguardo al profitto del reato. Il presupposto e la stessa ragion d’essere del sequestro per valore funzionale alla confisca per equivalente risiedono nel fatto che quel profitto non sia rinvenuto e tale circostanza autorizza lo spostamento della misura cautelare dal bene costituente prezzo o profitto del reato ad altro di valore equivalente, ricadente sempre nella disponibilità dell’indagato, senza che occorra la prova di alcun nesso di pertinenzialità fra detto bene e l’ipotesi di reato.

Questo il principio di diritto affermato dalla pronuncia n. 40125/15, depositata il 6 ottobre, della Terza Sezione Penale. Sequestro per equivalente e reati tributari. Come noto, l’ambito di applicazione della confisca per equivalente, che inizialmente era prevista solo per alcuni reati del codice penale, è stato esteso anche ai reati tributari dall’art. 1, comma 143, legge n. 244/2007 c.d. Legge Finanziaria” 2008 , secondo il quale nei casi di cui agli artt. 2 Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti , 3 Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici , 4 Dichiarazione infedele , 5 Omessa dichiarazione , 8 Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti , 10- bis Omesso versamento di ritenute certificate , 10- ter Omesso versamento di Iva , 10quater Indebita compensazione e 11, d.lgs. n. 74/2000 Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte , si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all'art. 322- ter c.p. . La ratio di tale estensione è stata, evidentemente, quella di consentire l’applicazione di questa misura ablativa patrimoniale anche per i reati tributari, caratterizzati dal conseguimento di un profitto o vantaggio economico realizzato, il più delle volte, non con un accrescimento del patrimonio, ma attraverso un risparmio” di spesa in grado di diminuire o pregiudicare il flusso delle entrate tributarie. Di fronte all'impossibilità ontologica di aggredire l'oggetto principale del reato il risparmio di spesa , la confisca per equivalente intende privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall'attività criminosa, colpendo non il prezzo o il profitto, ma un valore equivalente nella sua disponibilità, con uno strumento, che, dunque, assume i tratti distintivi di una vera e propria sanzione. Il profitto nei reati tributari. Il profitto del reato, di regola, si individua nel vantaggio economico che il reo ricava in via immediata e diretta dal reato. Tuttavia, nella grandissima parte dei reati tributari, per converso, il profitto si identifica con l’ammontare delle ritenute o dell’imposta sottratta al fisco, che, in effetti, costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita, anche se consistente in un risparmio di spesa. Non può certo revocarsi in dubbio, infatti, che l'ammontare della imposta evasa costituisce un vantaggio patrimoniale per il colpevole, direttamente derivante dalla condotta criminosa e, come tale, certamente riconducibile alla nozione di profitto del reato”. Nei reati tributari il profitto, dunque, quale risparmio del contribuente, non può che essere calcolato con riferimento alla totalità del credito vantato dall'erario comprensivo degli interessi e delle sanzioni nei confronti del reo in conseguenza delle condotte delittuose serbate. Dall’inadeguatezza delle forme tradizionali di confisca alla confisca per equivalente. Le ipotesi di confisca obbligatoria e facoltativa tradizionalmente previste nel codice penale presuppongono l’accertamento di un necessario rapporto di pertinenzialità tra prodotto, profitto, prezzo e reato. Come evidente, dette misure avevano trovato un ridotto margine di applicazione in relazione ai reati tributari, specialmente nelle ipotesi in cui i vantaggi illeciti sono costituiti da un risparmio di spesa, per il mancato versamento di imposte, o da un arricchimento derivante da indebiti rimborsi. Infatti, in detti casi, difficilmente si poteva individuare, nelle risorse e nei beni già presenti nel patrimonio del colpevole prima della commissione del reato, il profitto di provenienza da reato” costituito dal risparmio di imposta, pur se derivante dal reato medesimo. Nei casi in cui non sia possibile agire direttamente sui beni costituenti il profitto o il prezzo del reato a causa del loro mancato reperimento è, quindi, consentito, attraverso il trasferimento del vincolo dall’oggetto diretto ad uno di valore equivalente, di apprendere utilità patrimoniali di valore corrispondente di cui il reo abbia la disponibilità. Questa la peculiarità del sequestro per equivalente. Il nesso di pertinenzialità tra delitto commesso e beni oggetto del sequestro finalizzato alla confisca, che deve ordinariamente sussistere nel sequestro preventivo finalizzato alle forme tradizionali di confisca, non è invece richiesto per il sequestro finalizzato alla confisca dell'equivalente. Ciò ha reso lo strumento della confisca per equivalente particolarmente idoneo alla repressione dei reati tributari caratterizzati da un risparmio di imposta e dalla conseguente difficoltà di rinvenire in tali ipotesi il profitto del reato nel patrimonio del reo unico aggredibile con le forme tradizionali di confisca . La vicenda in esame. Nel caso al vaglio della Suprema Corte, alla base della pronuncia in commento, un imprenditore, indagato per un significativo omesso versamento di IVA regolarmente dichiarata art. 10 ter d.lgs. n. 74/2000 della società di cui era legale rappresentante, si vede sequestrati per equivalente il saldo attivo del proprio conto corrente bancario e quote della stessa società di cui era socio oltre che legale rappresentante nonché di altre società dal medesimo detenute. Avverso il provvedimento del Tribunale del Riesame, che aveva confermato il sequestro disposto dal GIP, propone ricorso per cassazione la difesa dell’indagato, evidenziando come, non essendo stato materialmente rinvenuto nelle casse della società l’utile del reato, non era consentito il sequestro per equivalente in danno della persona giuridica, tale dovendosi intendere il sequestro delle quote sociali della stessa società, non essendovi alcuna prova del reinvestimento del risparmio di imposta nel versamento delle suddette quote sociali. La soluzione dettata dagli Ermellini. Invero, il motivo di ricorso per Cassazione viene agevolmente risolto dalla Suprema Corte, ripercorrendo gli ormai consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza proprio in tema di confisca per equivalente in caso di reati fiscali. Pacifico, infatti, che nei delitti tributari di omesso versamento il profitto del reato si identifichi nel risparmio di imposta e che, in conseguenza, è difficilmente rinvenibile nella sfera giuridico patrimoniale di cui dispone la società che ha omesso il versamento. Tale circostanza tuttavia, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, non solo non è di ostacolo, ma costituisce proprio la condizione che consente l’applicazione del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, che presuppone, infatti, il mancato reperimento del profitto in capo alla società, che altrimenti sarebbe stato oggetto di sequestro finalizzato alla confisca diretta. Ciò premesso, osserva la Corte, correttamente i giudici di merito hanno disposto il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente di beni nella disponibilità del legale rappresentante della società, non essendo stato rinvenuto nelle casse della medesima il profitto del reato, con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto. Da un lato, infatti, il sequestro per equivalente prescinde da ogni nesso di pertinenzialità con il reato e, dunque, non occorre dimostrare che il profitto del reato sia stato utilizzato per acquistare le quote sociali oggetto della misura ablativa reale. Da altro lato, è evidente che il sequestro delle quote sociali è misura per equivalente che non colpisce la persona giuridica delle cui quote si parla, bensì la persona fisica che ha la disponibilità di dette quote e dunque il socio , che nel caso di specie era anche il legale rappresentante della società e in quanto tale attingibile proprio dal sequestro per equivalente.

Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 12 febbraio – 6 ottobre 2015, n. 40125 Presidente Teresi – Relatore Savino Ritenuto in fatto C.G. , per il tramite del proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza del 5.2.2014 con la quale il Tribunale del riesame di Santa Maria Capua Vetere, decidendo sulla richiesta di riesame proposta dal predetto avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP in data 18.10.2013, ha rigettato la richiesta confermando il provvedimento del GIP. Il sequestro preventivo - avente ad oggetto un conto corrente bancario intestato al C. , le quote nominali di tre società quali la Tea Impianti s.r.l. di cui il C. era amministratore unico., la TESLA IMMOBILIARE s.r.l. e la TEA IMMOBILIARE s.r.l. di cui era socio - era stato emesso per il reato di cui all'art. 10 ter D.lvo 74/2000. Difatti, a seguito di verifica fiscale nei confronti della Tea Impianti s.r.l., l'Agenzia delle entrate accertava il mancato pagamento dell'IVA sulla base della dichiarazione annuale per il periodo di imposta 2010 per un ammontare complessivo di Euro 278.048,00. Di conseguenza, ritenuta la sussistenza del fumus delicti e del periculum in mora , il GIP, accogliendo la richiesta del P.M. emetteva decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, dei beni nella disponibilità dell'indagato fino alla concorrenza della somma di Euro 261.124,95, detratta la somma di Euro 16.923,05 oggetto di un parziale pagamento effettuato dopo la comunicazione del controllo. A sostegno del ricorso la difesa ha dedotto i seguenti motivi 1 Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 321 c.p.p. e 322 ter c.p La difesa ribadisce il principio secondo il quale non è possibile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica se non è stato reperito il profitto del reato tributario commesso dagli organi della stessa. Orbene, secondo il ricorrente, nel caso di specie tale profitto non sarebbe stato reperito non essendo presente l'utile monetario nelle casse della società e non sussistendo prova del reimpiego dello stesso utile utile inteso quale risparmio di spesa per il mancato versamento dell'IVA . In particolare, il mancato versamento dell'IVA risale al 2010 mentre le quote sociali della Tea Impianti sono state versate nel 2009. Dunque, sostiene la difesa, non può ritenersi che il profitto, inteso quale utilità economica derivante dall'illecito ed anche risparmio di spesa, sia stato reimpiegato per il versamento delle suddette quote sociali. 2 Violazione dell'art. 322 ter c.p. e 321 c.p.p. stante l'inesigibilità della condotta dovuta alla grave crisi finanziaria che ha reso impossibile l'adempimento dei debiti tributari, come si evince dalla transazione intervenuta con l'agenzia delle entrate concernente l'accordo di ristrutturazione del debito complessivo per lo stato di crisi temporanea. Ritenuto in diritto Il ricorso risulta inammissibile perché manifestamente infondato. Come è noto, plurime decisioni di questa Corte hanno statuito che, in caso di reati tributari, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può essere disposto non soltanto con riguardo al prezzo ma anche con riguardo al profitto del reato. Ciò in quanto l'integrale rinvio alle disposizioni di cui all'art. 322 ter c.p. , contenuto nell'art. 1, comma 143, della legge n. 244, consente di affermare che, con riferimento a detti reati, trova applicazione non solo il primo ma anche il secondo comma della norma tra le altre Cass. Sez. III, n. 35807/2010 Cass. Sez. III, n. 25890/2010 . Tanto premesso, occorre rilevare che, trattandosi di confisca per equivalente, non vi è alcuna necessità di individuare il reinvestimento del profitto come sostenuto dalla difesa. La confisca per equivalente, infatti, non ha natura di misura di sicurezza patrimoniale ma ha carattere sanzionatorio. Di conseguenza non è necessaria, ai fini del sequestro preventivo funzionale alla confisca, la sussistenza di un rapporto di pertinenzialità fra la res e il reato difatti la confisca per equivalente non ricade direttamente sui beni costituenti il profitto del reato, ma ha per oggetto il controvalore degli stessi. Nei casi in cui non sia possibile agire direttamente sui beni costituenti il profitto o il prezzo del reato, a causa del loro mancato reperimento, è consentito, attraverso il trasferimento del vincolo dall'oggetto diretto all'equivalente, di apprendere utilità patrimoniali di valore corrispondente, di cui il reo abbia la disponibilità. Specularmente, il sequestro preventivo, strumentale alla confisca anzidetta, può riguardare attività per equivalente, e dunque beni di cui l'indagato abbia la disponibilità. Anzi, costituisce proprio una condizione di operatività della confisca per equivalente la circostanza che nella sfera giuridico-patrimoniale della persona colpita dalla misura non sia rinvenuto il prezzo o profitto del reato per cui si proceda. In altri termini, non solo non occorre la pertinenza delle somme o beni in sequestro rispetto all'ipotesi di reato ma tale carattere si pone in contrasto con la peculiarità della misura cautelare in questione che prescinde da qualsiasi collegamento eziologico tra beni confiscabili e lo specifico reato contestato. Il nesso di pertinenzialità che deve legittimare il sequestro preventivo previsto dall'art. 321 co.2 c.p.p. nel caso di specie non è richiesto. Il presupposto e la stessa ragion d'essere del sequestro per valore funzionale alla confisca per equivalente risiedono nel fatto che quel profitto non sia rinvenuto e tale circostanza autorizza lo spostamento della misura cautelare dal bene costituente prezzo o profitto del reato ad altro di valore equivalente ricadente sempre nella libera disponibilità dell'indagato cfr. Cass. Sez. 5, 3 luglio 2002, n. 32797 . Quanto, poi, alla inesigibilità della condotta dovuta alla grave crisi finanziaria che ha reso impossibile l'adempimento dei debiti tributari, la questione non rileva in sede cautelare e comunque non può ritenersi sufficiente a dimostrare tale circostanza la mera transazione intervenuta con l'agenzia delle entrate. Come è noto, infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte, al fine di escludere la configurabilità del reato in questione non basta dimostrare lo stato di dissesto finanziario o il fallimento della società ma occorre provare di aver attivato tutte le risorse a disposizione per evitare la crisi e di non averla provocata. Onere probatorio cui la difesa non ha adempiuto nel caso di specie. Tanto premesso il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla somma di 1.000,00 Euro in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.