Niente diffamazione senza previsione della divulgazione della comunicazione

Integra il reato di diffamazione la condotta di colui che comunichi informazioni gratuitamente denigratorie quando l’autore della missiva prevedeva o voleva l’effetto della destinazione alla divulgazione del contenuto della comunicazione.

Lo ha riaffermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 40137/15, depositata il 6 ottobre. Il caso. Il tribunale, in riforma della pronuncia del giudice di pace, dichiarava una donna responsabile del reato di diffamazione in danno del fratello, condannandola alla pena ritenuta di giustizia. Avverso tale pronuncia, ricorre per cassazione la donna, lamentando che la corte di merito aveva erroneamente ritenuto la natura diffamatoria e la destinazione alla diffusione a terze persone delle confidenze fatte dall’imputata. È necessario che l’autore voglia la diffusione della comunicazione. Sul punto, gli Ermellini hanno preliminarmente precisato che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il requisito della comunicazione con più persone necessario per l’integrazione del delitto di diffamazione ricorre nelle ipotesi in cui venga fornita la prova dell’esplicita volontà dell’autore della destinazione alla divulgazione, ovvero quando, per la sua stessa natura, la comunicazione risulti propulsiva di un procedimento che deve essere ex lege portato a conoscenza di altre persone diverse dal destinatario immediato, a condizione che l’autore della comunicazione prevedesse o volesse che il relativo contenuto sarebbe stato reso noto a terzi. Pertanto, proseguono i Giudici di Piazza Cavour, tale requisito va escluso nei casi di comunicazione confidenziale in cui la diffusione derivi esclusivamente da un’iniziativa del destinatario della confidenza, considerato che la tutela richiesta ad un’autorità non comporta necessariamente la diffusione di quanto segnalato nell’ambito di una prevedibile procedura disciplinare e che, comunque, di tale evento non può rispondere colui che si rivolge all’autorità collegando la comunicazione con più persone ad una sua imprudente condotta , non essendo prevista l’ipotesi colposa della diffamazione. Sulla base di tali elementi, a giudizio del Supremo Collegio, acquista centralità il profilo della previsione o della volontà della diffusione, per cui integra il reato di diffamazione la condotta di colui che comunichi informazioni gratuitamente denigratorie quando l’autore della missiva prevedeva o voleva l’effetto della destinazione alla divulgazione del contenuto della comunicazione. Nel caso di specie, il giudice di primo grado non appare aver correttamente valutato il profilo decisivo della natura confidenziale o meno della comunicazione, oltre all’aspetto della prova che l’autore della comunicazione prevedesse o volesse la circostanza che il contenuto relativo sarebbe stato reso noto a terzi. Per tali ragioni, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 aprile – 6 ottobre 2015, n. 40137 Presidente Vessichelli – Relatore Positano Ritenuto in fatto 1. I difensori di G.M.A. propongono separati ricorsi per cassazione contro la sentenza pronunciata dal Tribunale di Potenza, in data 4 febbraio 2013, che, in riforma della decisione del Giudice di pace di Potenza, del 27 maggio 2011, riconosceva l'imputata G. responsabile del reato previsto dall'art. 595 c.p. ai soli fini civili, con condanna al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile liquidati in Euro 2000. 2. Alla G. era stato contestato di avere offeso la reputazione del fratello D. , rendendo dichiarazioni al Comandante della Stazione dei Carabinieri di Potenza secondo cui il fratello, anch'egli in servizio preso quella Stazione, sarebbe stato responsabile di comportamenti fraudolenti e illegittimi. 3. Con il ricorso per cassazione il difensore, avv. Leonardo Pace, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione riguardo al presupposto della destinazione alla diffusione a terze persone delle confidenze fatte dall'imputata e alla natura diffamatoria delle espressioni. 4. Con separato ricorso, il difensore, avv. Giuliana Scarpetta, eccepisce la nullità della decisione per violazione delle norme in tema d'incompatibilità ex art. 34 c.p.p. avendo il giudicante precedentemente accolto la richiesta di archiviazione parziale. Con il secondo motivo deduce l'assenza degli elementi costitutivi del reato di diffamazione sotto il profilo della destinazione alla diffusione a terze persone delle confidenze fatte dall'imputata. 5. Con memoria del 22 aprile 2015 il difensore della parte civile eccepisce la tardività dell'eccezione sollevata dal difensore della ricorrente, avv. Scarpetta. Considerato in diritto La sentenza impugnata non merita censura. 1. Il difensore, avv. Giuliana Scarpetta eccepisce, con il primo motivo, la nullità della decisione per violazione delle norme in tema d'incompatibilità ex art. 34 c.p.p. avendo il giudicante precedentemente accolto la richiesta di archiviazione parziale, ritenendo insussistenti presupposti del reato di calunnia, in luogo di quello di diffamazione, sia pure ai soli fini civili. 2. Il motivo è inammissibile perché l'eccezione è stata dedotta tardivamente. Infatti, l'esistenza di cause d'incompatibilità, non incidendo sui requisiti di capacità del giudice, non determina la nullità del provvedimento adottato dal giudice ritenuto incompatibile, ma costituisce motivo di ricusazione, da far valere con la specifica procedura prevista dal codice di rito né ha incidenza sulla capacità del giudice la violazione del dovere di astensione, che non è causa, pertanto, di nullità generale ed assoluta ai sensi dell'art. 178, lett. a , cod. proc. pen., ma costituisce anch'essa esclusivamente motivo, per la parte, di ricusazione del giudice non astenutosi Sez. U, Sentenza n. 5 del 17/04/1996 Cc. Rv. 204464 Sez. 5, Sentenza n. 9047 del 15/06/1999 Rv. 214292 Sez. 1, Sentenza n. 11538 del 23/10/1997, Rv. 209135 Sez. 1, Sentenza n. 24919 del 23/04/2014, Rv. 262302 . In particolare, la dichiarazione di ricusazione deve essere formulata prima del compimento dell'atto da parte del giudice e, comunque, non può essere proposta dopo la chiusura del grado del giudizio nel quale si sia asseritamente verificata la causa dedotta, e, quindi, dopo la chiusura del giudizio che si assume pregiudicato Sez. 2, Sentenza n. 45052 del 08/11/2011 Rv. 251354 . Nel caso di specie è pacifico che la questione non sia mai stata eccepita davanti al giudice di merito e che la parte non abbia proposto istanza di ricusazione ex art. 37 c.p.p 3. Con l'unico articolato motivo, il difensore dell'imputata, avvocato Pace, esamina due profili in primo luogo deduce violazione di legge e vizio di motivazione riguardo al presupposto della destinazione alla diffusione a terze persone delle confidenze fatte dall'imputata. Al contrario lo stesso teste C. , Maresciallo destinatario delle confidenze, aveva dichiarato che la G. non lo aveva in alcun modo sollecitato a relazionale ai superiori quanto riferito. In secondo luogo contesta la natura diffamatoria delle espressioni risolvendosi nella prospettazione di questioni di natura civilistica, irrilevanti anche sotto il profilo disciplinare. 4. Considerazioni analoghe al primo profilo sono poste a sostegno del secondo motivo proposto dall'avvocato Scarpetta, con il quale si deduce l'assenza degli elementi costitutivi del reato di diffamazione sotto il profilo della destinazione alla diffusione a terze persone delle confidenze fatte dall'imputata. 5. Le doglianze possono essere trattate congiuntamente in quanto sostanzialmente sovrapponibili. 6. Secondo l'indirizzo costante di questa Corte, nel caso di riforma da parte del giudice di appello di una decisione assolutoria emessa dal primo giudice, il secondo giudice ha l'obbligo di dimostrare specificamente l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa analisi critica seguita da convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati, non essendo sufficiente la manifestazione generica di una differente valutazione ed essendo, per contro, necessario il riferimento a dati fattuali che conducano univocamente al convincimento opposto rispetto a quello del giudice la cui decisione non si condivida Sez. 5, n. 35762 del 05/05/2008 - dep. 18/09/2008, P.G. in proc. Aleksi e altri, Rv. 241169 . 7. Pertanto, il Tribunale in applicazione di tali principi avrebbe dovuto confutare specificamente le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando, puntualmente, l'insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, attraverso una decisione, che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, giustificasse congruamente le scelte operate e la maggiore considerazione accordata agli elementi di prova diversamente valutati. 8. Ciò premesso, con riferimento al profilo centrale oggetto delle doglianze della difesa, va osservato che, secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, il requisito della comunicazione con più persone atto a integrare il delitto di diffamazione art. 595 cod. pen. ricorre nelle ipotesi in cui venga fornita la prova dell'esplicita volontà del mittente-autore della destinazione alla divulgazione ovvero quando, per la natura stessa della comunicazione, la comunicazione risulti propulsiva di un determinato procedimento giudiziario, amministrativo, disciplinare che deve essere ex lege portato a conoscenza di altre persone, diverse dall'immediato destinatario, sempre che l'autore della missiva prevedesse o volesse la circostanza che il contenuto relativo sarebbe stato reso noto a terzi Sez. 5, Sentenza n. 23222 del 06/04/2011 Ud. dep. 09/06/2011 Rv. 250458 . Pertanto, tale requisito deve escludersi nelle ipotesi di comunicazione confidenziale in cui l'iniziativa alla diffusione derivi esclusivamente da una iniziativa del destinatario della confidenza^ considerato che la tutela richiesta ad una autorità non comporta necessariamente la diffusione della doglianza nell'ambito di una prevedibile procedura disciplinare e che, comunque, di tale evento non può rispondere colui che si rivolge all'Autorità collegando la comunicazione con più persone a una sua imprudente condotta, non essendo prevista l'ipotesi colposa della diffamazione. Sez. 5, n. 19396 del 23/01/2009 - dep. 08/05/2009, Eshete, Rv. 243606 . Sulla base di tali elementi acquista centralità il profilo della previsione o della volontà della diffusione, per cui integra il reato di diffamazione la condotta di colui che comunichi informazioni gratuitamente denigratorie quando l'autore della missiva prevedeva o voleva l'effetto della destinazione alla divulgazione del contenuto della comunicazione Sez. 5, Sentenza n. 26560 del 29/04/2014 Ud. dep. 19/06/2014 Rv. 260229 . 9. Orbene, il giudice di secondo grado, nel ribaltare la decisione di primo grado, che aveva valorizzato le dichiarazioni del teste Canfora Luigi Comandante della Stazione dei Carabinieri riguardo alla mancanza di volontà della G. di portare ad ulteriore conoscenza i fatti, ha dedotto la volontà della diffusione della comunicazione dal riferimento della G. al fatto che il fratello, godendo di consistenti appoggi personali, non avrebbe avuto neppure problemi disciplinari, con ciò lasciando intendere di voler sollecitare una verifica disciplinare. 10. La motivazione sul punto appare certamente carente alla luce dei principi espressi in premessa non avendo il Tribunale adeguatamente valutato il profilo decisivo della natura confidenziale o meno della comunicazione, sulla base anche dei rapporti personali esistenti tra l'imputata ed il teste Canfora, oltre al secondo aspetto della prova che l'autore della comunicazione prevedesse o volesse la circostanza che il contenuto relativo sarebbe stato reso noto a terzi. 11. La questione risulta assorbente rispetto al tema della valenza diffamatoria delle espressioni. 12.In conclusione la sentenza impugnata va annullata con rinvio, ai sensi dell'art. 622 cod. proc. pen., al giudice civile competente per valore in grado di appello per la valutazione delle criticità sopra indicate. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili e rinvia per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello.