Sanità pubblica: contestazioni sulla gestione. Ma parlare di ruberie è troppo...

Sanzionata la condotta di un consigliere regionale, che, in una manifestazione, ha criticato duramente la gestione della Sanità pubblica, facendo riferimento a ruberie, scorrerie e assunzioni clientelari, e chiamando in causa anche il direttore generale dell’Azienda sanitaria locale. Evidente la sussistenza della diffamazione, impensabile il richiamo difensivo a un’ipotetica critica politica.

Riflettori puntati sulla gestione della Sanità pubblica. Diversi i problemi in discussione – con ripercussioni, ovviamente, sui cittadini –, e così l’esponente politico, sfruttando il contesto di un comizio, si lascia andare a uno sfogo clamoroso, parlando di ruberie” e di assunzioni sospette, e, soprattutto, chiamando in causa il direttore generale dell’Azienda sanitaria e un senatore della Repubblica. Parole forti, che, però, costano caro al politico quest’ultimo, difatti, viene ritenuto responsabile del reato di diffamazione. A salvarlo è la prescrizione, ma resta intatto il risarcimento a favore delle due persone offese. Cass., sez. V Penale, sentenza n. 40146/15, depositata oggi Manifestazione. Protagonista, in negativo, della vicenda è un esponente politico abruzzese – consigliere regionale all’epoca dei fatti, e approdato poi fino alla Camera dei deputati –, il quale, in occasione di una manifestazione organizzata per sensibilizzare la classe politica e la dirigenza dell’Azienda sanitaria sulla gestione della Sanità pubblica in Abruzzo, si lancia in un attacco durissimo, parlando di ruberie e scorrerie , facendo riferimento ad assunzioni clientelari, chiamando in causa, infine, con tanto di nome e cognome, quello che era, in quel momento, il direttore generale dell’Azienda sanitaria e un senatore della Repubblica, legato al territorio dell’Abruzzo. A fronte di una vicenda così ricostruita – grazie, soprattutto, alle dichiarazioni rese dalle persone presenti alla manifestazione –, per i giudici di merito non ci sono dubbi l’allora consigliere regionale va condannato per diffamazione . Irrilevante, pretestuoso e risibile il richiamo difensivo a un presunto diritto di critica politica . Critica acida. Per il consigliere regionale, a dirla tutta, la battaglia giudiziaria ha avuto, comunque, una evoluzione non eccessivamente negativa. In appello, difatti, è stata sancita la prescrizione del reato, mentre è stato confermato il risarcimento a favore delle due persone offese. Nonostante ciò, però, l’uomo sceglie di proporre ricorso in Cassazione, riproponendo il tema del diritto di critica politica su questo fronte, in sostanza, egli spiega che il riferimento alle ruberie e alle scorrerie va inteso come sinonimo di spreco e di cattiva amministrazione . Tale considerazione, però, viene ritenuta non pertinente dai Giudici del Palazzaccio, i quali considerano non plausibile l’ipotesi di una generica censura di cattiva amministrazione , soprattutto perché l’uomo, durante la manifestazione, ha chiaramente fatto riferimento ad assunzioni clientelari . Difficile, di conseguenza, sostenere la tesi della critica politica , più sensato, invece, concludono i giudici, parlare di offese in piena regola. Allo stesso tempo, viene anche ribadito che è irrilevante la circostanza , evidenziata dall’uomo, che diversi testimoni, pure presenti alla manifestazione, non avessero percepito le frasi da lui pronunciate ciò è facilmente spiegabile, poiché quelle persone hanno dichiarato di non aver seguito con attenzione tutti gli interventi o di essersi trovate ad una distanza eccessiva dalla manifestazione, oppure di essere state impegnate nel servizio pubblico . Tutto ciò conduce alla conferma della responsabilità dell’allora consigliere regionale, responsabilità azzerata, come detto, solo dalla prescrizione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 aprile – 6 ottobre 2015, n. 40146 Presidente Vessichelli – Relatore Positano Ritenuto in fatto 1. Il difensore di S. A. propone ricorso per cassazione contro la sentenza pronunciata dalla Corte di Appello de L'Aquila, in data 10 giugno 2013, che, in parziale riforma della sentenza emessa il 6 febbraio 2009 dal Tribunale di Teramo, Sezione distaccata di Giulianova, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine al reato di diffamazione perché estinto per prescrizione, confermando le statuizioni civili. 2. In primo grado il Tribunale aveva dichiarato l'imputato colpevole del reato previsto dagli articoli 81 e 595 primo e secondo comma del codice penale, per avere lo S. offeso S. R. e C. S., comunicando, attraverso l'uso di un microfono collegata ad un megafono, a circa 400 partecipanti in occasione di un comizio. 3. Il ricorso per cassazione è articolato in due motivi, con il quale il difensore lamenta vizio di motivazione, travisamento della prova e violazione degli articoli 192 del codice di rito e 595 del codice penale, riguardo alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese dai testi vizio di motivazione e violazione degli articoli 51 e 595 del codice penale poiché le frasi espresse dal ricorrente non sarebbero censurabili in quanto espressione dei diritto di critica politica. Considerato in diritto La sentenza impugnata non merita censura per infondatezza del ricorso. 1. Con il primo motivo il difensore lamenta vizio di motivazione, travisamento della prova e violazione degli articoli 192 del codice di rito e 595 del codice penale riguardo alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese dai testi C. e C., che si trovavano lontano rispetto al luogo in cui si svolgeva il comizio rispetto agli altri testi. Inoltre, i testimoni avevano riferito due circostanze diverse da quelle descritte dalle altre persone sentite. In particolare, avevano dichiarato che il comizio si era svolto su un palchetto, usando un altoparlante, mentre gli altri testi avevano riferito che gli intervenuti parlavano dalle scale che univano i due livelli del parcheggio, utilizzando un microfono. Inoltre, mentre i due testi in questione avevano ricordato le espressioni utilizzate dall'imputato, gli altri testimoni non aveva sentito nulla. 2. La doglianza è infondata. La Corte territoriale con motivazione giuridicamente corretta perché aderente alle risultanze processuali ha ricordato che i due testi in questione avevano concordemente riferito di avere distintamente udito le frasi in contestazione, che l'imputato aveva pronunziato nel corso del suo intervento. Si trattava di espressioni molto specifiche rispetto alle quali non era emersa alcuna volontà calunniosa o incertezza. 3. Quanto al primo profilo, poi, il ricorso non può essere preso in esame per difetto di autosufficienza essendosi la parte limitata a estrapolare le dichiarazioni delle altre persone sentite in ordine alla posizione occupata da chi era intervenuto in occasione del comizio, senza trascrivere integralmente o allegare copia delle dichiarazioni, al fine di consentire alla Corte di legittimità di valutare l'eventuale esistenza o rilevanza delle dedotte discrasie. Con riferimento specifico alle difformità segnalate, anche in secondo grado, dalla difesa dell'imputato, la Corte territoriale ha osservato che la circostanza che altri testimoni, pure presenti alla manifestazione, non avessero percepito le frasi in questione, appare spiegabile poiché questi hanno dichiarato di non aver seguito con attenzione tutti gli interventi o di essersi trovati ad una distanza eccessiva o di essere stati impegnati nel servizio pubblico. 4. Con il secondo motivo la difesa deduce vizio di motivazione e violazione degli articoli 51 e 595 del codice penale poiché le frasi espresse dal ricorrente non sarebbero censurabili in quanto espressione del diritto di critica politica, rilevando che il riferimento alle ruberie e scorrerie deve intendersi come sinonimo di spreco e di cattiva amministrazione, in considerazione del fatto che il discorso era stato pronunziato dall'imputato nel corso di una manifestazione organizzata per sensibilizzare la classe politica e la diligenza della AsI. 5. La censura è infondata poiché la Corte territoriale, seppure con motivazione sintetica, ha fatto corretto uso del principio secondo cui l'utilizzo di espressioni che esorbitano dei tutto dall'esercizio del diritto dì critica, traducendosi ìn un gratuito attacco alla sfera personale delle parti civili, non consente di ritenere scriminata la condotta dell'imputato. Nel caso di specie, poi, correttamente la Corte di merito ha affermato che il riferimento a ruberie e scorrerie non può essere in alcun modo assimilato ad una generica censura di cattiva amministrazione, trattandosi chiaramente di un riferimento ad assunzioni clientelari. 6. Alla pronuncia di rigetto consegue ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel giudizio di legittimità, che, in relazione all'attività svolta, vengono liquidate in euro 2500 complessive, oltre accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute, nel grado, dalle parti civili che liquida complessivamente in euro 2.500, oltre accessori come per legge.