La (anche minima) componente valutativa del vizio contestato esclude sempre la proponibilità del ricorso straordinario

Il ricorso ex art. 625 bis c.p.p., pur proponibile anche nei confronti delle sentenze della Cassazione, può essere avanzato solo nei confronti degli errori strettamente” percettivi del fatto.

Così la Cassazione Penale, nella sentenza n. 39875 del 5 ottobre 2015. Il fatto processuale. Per vicende criminali di commercio di sostanze stupefacenti un imputato viene condannato, con rinvio su alcuni punti della decisione impugnata, anche dalla Cassazione. L’imputato ricorre ex art. 625 bis c.p.p. – Ricorso per errore straordinario o di fatto -, contestando l’assenza di riscontro giudiziale su un punto decisivo della controversia, colpevolmente ignorato da giudici della legittimità. Il tribunale di primo grado – e di seguito il giudice dell’appello - avrebbe celato, ad opinione del ricorrente, lo status di persona coinvolta nel reato per cui era processo di un magistrato della DDA locale, impedendo lo scivolamento della competenza su altro distretto giudiziario ex art. 11 c.p.p. L’imputato sarebbe stato giudicato da giudici incompetenti per il fatto, con violazione della generale regola di attribuzione del fatto penale al giudice naturale precostituito per legge, ex art. 25 della Costituzione. La Cassazione invocata, rigettando il ricorso, deduce in punto di requisiti sostanziali per accogliere una doglianza ex art. 625 bis c.p.p., escludendo dal novero dei vizi impugnabili le valutazioni anche latamente riconducibili a dei parametri di tipo valutativo – anziché esclusivamente percettivi -. Quando l’errore è solo di tipo materiale il ricorso non è di tipo impugnatorio. Quando si tratta di lapsus espressivo che non determina incidenze sul costrutto logico giuridico del giudicante – ad esempio l’errore di calcolo o mere lacune od omissioni -, ben può il mezzo ex art. cit. essere utilizzato ai fini correttivi - risulta dunque funzionale alla riparazione grafica -, nel rispetto dell’art. 130 c.p.p. che subordina l’ammissibilità della correzione alla duplice circostanza che l’errore non abbia determinato la nullità del provvedimento e la riparazione non modifichi essenzialmente l’atto. Non costituisce un mezzo impugnatorio in senso stretto, la relativa proponibilità non lede il principio di non impugnabilità delle sentenze della Cassazione e di fatto ha trovato cittadinanza anche in relazione alle pronunce della Corte costituzionale. Quando l’errore è percettivo o di fatto, il mezzo è impugnatorio. Quando l’errore è di fatto ed insiste su un dato o su un elemento mal concepito o mal percepito, intercede sul procedimento formativo della volontà giudiziale, risultando decisivo ai fini dell’esito giudiziale. Per la giurisprudenza, sussiste piena analogia fra l’errore cit. e l’errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4, c.p.c. nel processo civile, per cui la decisione impugnata risulterebbe fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa oppure risulterebbe supposta l’inesistenza di un fatto invece positivamente determinata. Non si tratta di errore ricorribile ex art. cit. quando sussiste una – seppur parziale - componente valutativa nel punto impugnato della decisione giudiziale. Occorre tuttavia che nell’errore contestato - anche dei giudici di Cassazione, avverso i quali il rimedio ex art. 625 bis c.p.p. risulta pienamente proponibile - manchi una componente valutativa giudiziale – tal che, per la compresenza di una pressione volitiva valutativa, l’errore di fatto degrada ad interpretazione sul fatto o in diritto, determinandone l’incontestabilità -. Una lata componente valutativa esclude la ricorribilità de qua ex art. 625 bis cit. La presenza simultanea di una devianza percettiva del giudice e di un elemento valutativo esclude, per la Cassazione e la giurisprudenza consolidata, la proponibilità del ricorso. Prevale l’ esigenza di mantenere fermo in ogni caso il principio di non impugnabilità della decisione della Cassazione su quella di giustizia di consentire al ricorrente di depurare la decisione giudiziale contestata da qualsivoglia errore percettivo sul fatto – o sugli atti sui quali è stata presa decisione di legittimità – che abbia potuto determinare la sequenza logica in sentenza. Nel caso il ricorso è stato respinto i giudici chiamati a decidere di primo e di secondo grado avevano giustamente tenuto conto dell’interpretazione strettamente prevalente dell’art. 11 c.p.p., che ammette lo scivolamento della competenza ad altro distretto giudiziario nei soli casi in cui il magistrato abbia formalmente acquisito la veste di imputato, persona danneggiata od offesa del reato, circostanze nel caso non verificate, e non in ogni altro caso di potenziale coinvolgimento. Non si sarebbe trattato dunque di un erroneo mancato riscontro dei giudici della Cassazione su un vizio nel quale sarebbero incorsi i giudici del merito, si trattava di cosciente cognizione da parte della Cassazione della corretta interpretazione data da questi dell’art. 11 c.p.p.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 settembre - 5 ottobre 2015 n. 39875 Presidente Franco – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 12/11/2014, depositata in data 19/12/2014, la Corte di Cassazione, sez. IVA, decidendo - per quanto di interesse in questa sede - sui ricorsi proposti da M.D. , personalmente ed a mezzo del difensore fiduciario, annullava la sentenza emessa in data 19/02/2013 della Corte d'appello di MILANO, limitatamente al reato di cui al capo e della rubrica artt. 110 c.p., 74, commi 1, 2 e 3, T.U. Stup. rinviando per nuovo esame ad altra sezione della stessa Corte d'appello, rigettando nel resto i ricorsi. 2. Ha proposto ricorso straordinario ex art. 625 bis cod. proc. pen. avverso le predetta sentenza il M.D. personalmente, sollevando tre profili di doglianza, di seguito illustrati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen 2.1. Denuncia, con il primo motivo di doglianza, l'errore percettivo in cui la Corte di Cassazione sarebbe incorsa, in particolare sotto il profilo della totale assenza di motivazione quanto al motivo n. 8 del ricorso per cassazione proposto in data 14/10/2014 pagg. 18/28 con cui si censurava la violazione, da parte dei giudici d'appello, dell'art. 11, comma terzo, cod. proc. pen., richiamando - invero in maniera disarticolata, tale da rendere incomprensibile lo stesso sviluppo logico del gravame - l'esistenza di ragioni di connessione tra i fatti per i quali era stato giudicato con rito abbreviato tale P. con quelli a lui ascritti sostiene il ricorrente che non gli fu possibile eccepire tempestivamente la violazione dell'art. 11 citato in quanto il fatto avvenuto nel novembre 2011 ossia il nuovo reato di cui alla confessione del coimputato P. coinvolgente un magistrato della DDA di Milano, sarebbe rientrato nella competenza del tribunale di Brescia ex art. 11, comma terzo, cod. proc. pen. venne intenzionalmente celato sino a dopo la sentenza di primo grado vi sarebbe stata, in sintesi, violazione del principio del giudice naturale ex art. 25 Cost., in quanto il M. venne giudicato da magistrati dello stesso distretto cui apparteneva il magistrato della DDA coinvolto nel nuovo reato oggetto della confessione P. fu solo con il ricorso per cassazione che il ricorrente asserisce aver avuto ulteriori ragguagli sulla questione. 2.2. Denuncia, con il secondo motivo di doglianza, l'ulteriore errore percettivo in cui la Corte di Cassazione sarebbe incorsa, non essendosi i giudici di legittimità avveduti - nel confutare i motivi di ricorso di cui ai P. 7.1 e 7.3 della sentenza, delle doglianze che il M. aveva mosso alle pagg. 12/28 del ricorso da egli personalmente proposto in particolare, si sostiene, si trattava della censura con cui veniva eccepita la nullità ed inutilizzabilità delle trascrizioni relative alla deposizione Mo. , con conseguente violazione dell'art. 195, comma terzo, cod. proc. pen. e vizio di travisamento dei fatti e illegittima valutazione di dati parimenti acquisiti illegittimamente in sostanza, si sostiene, la Cassazione non si sarebbe avveduta delle differenze tra i motivi personalmente proposti dal ricorrente e quelli proposti dal difensore, in particolare per quanto concerneva la ricostruzione dei fatti descritta nell'imputazione. 2.3. Chiede, infine - dopo aver premesso l'esistenza di un presunto patrocinio infedele da parte del precedente difensore fiduciario, avv. Gorpia che, a suo dire, non avrebbe tempestivamente richiesto nel suo interesse l'ammissione al giudizio abbreviato -, che sia questa Corte ad applicare al ricorrente ora per allora la diminuente di rito o di voler disporre che a ciò provveda il giudice di rinvio, svolgendo, infine, a pag. 7 del ricorso due ultime considerazioni sui fatti avvenuti. 3. Con nota pervenuta in data 30/07/2015 presso la cancelleria di questa Corte, il detenuto ha chiesto a questa Corte di Cassazione l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. 4. Con dichiarazione pervenuta presso la Cancelleria di questa Corte in data 5/08/2015, il difensore di fiducia del ricorrente, Avv. M. Cacciuttolo, ha reso nota a questa Corte la propria decisione di rinunciare al mandato difensivo. 5. Con memoria pervenuta presso la Cancelleria di questa Corte in data 1/09/2015, il ricorrente ha provveduto a meglio lumeggiare le proprie richieste, chiarendo e specificando più in dettaglio i fatti oggetto del ricorso originario in particolare, nell'allegare copia del frontespizio della sentenza emessa dalla Corte d'appello di Milano nel proc. pen. nei confronti del P.E. , osservando quanto segue a sia il nuovo reato - di cui alla confessione del P. - che il reato principale erano pertinenza del tribunale di Brescia ex art. 11, comma terzo, cod. proc. pen. b il fatto era noto ad entrambe le corti di merito che ebbero a giudicare il P. c dette Corti non applicarono gli artt. 23 e 24 cod. proc. pen., in conseguenza del nuovo reato solo allora disvelatosi ed assegnato al tribunale di Brescia giacché coinvolgente un magistrato della DDA di Milano d celando i fatti al coimputato M. , questi venne impedito di eccepire in termini la nuova competenza territoriale, che era ben nota molto prima e se nel più ampio contestato del nuovo reato il difensore del P. che sino a 3 settimane prima era anche difensore del M. , poté chiedere il rito abbreviato, benché in precedenza era stata respinta una precedente istanza condizionata, pari diritto sarebbe spettato anche al M. . 6. Infine, con l'ulteriore nota pervenuta presso la cancelleria di questa Corte in data 9/09/2015, il detenuto, richiamata la propria istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, si è doluto della mancata risposta alla predetta istanza e della mancata nomina di un difensore di ufficio da parte di questa Corte, eccependo la violazione del diritto di difesa. Considerato in diritto 7. Deve, preliminarmente, essere esaminata l'eccezione sollevata dal ricorrente con l'ultima nota pervenuta in data 9/09/2015, eccezione che il Collegio reputa priva di pregio. 7.1. Ed invero, quanto alla questione inerente l'ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, osserva questa Corte che l'art. 93 del D.P.R. 30/05/2002, n. 115 Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, pubblicato nella Gazz. Uff. 15 giugno 2002, n. 139, S.O. , nel dettare la disciplina applicabile in materia di presentazione dell'istanza al magistrato competente , stabilisce espressamente al comma primo che L'istanza è presentata esclusivamente dall'interessato o dal difensore, ovvero inviata, a mezzo raccomandata, all'ufficio del magistrato innanzi al quale pende il processo. Se procede la Corte di cassazione, l'istanza è presentata all'ufficio del magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato il comma terzo, poi precisa che Per il richiedente detenuto, internato in un istituto, in stato di arresto o di detenzione domiciliare, ovvero custodito in un luogo di cura, si applica l'articolo 123 del codice di procedura penale. Il direttore o l'ufficiale di polizia giudiziaria che hanno ricevuto l'istanza, ai sensi dell'articolo 123 del codice di procedura penale, la presentano o inviano, a mezzo raccomandata, all'ufficio del magistrato davanti al quale pende il processo . L'art. 96 del citato d.P.R., poi, al comma primo, precisa ulteriormente che nei dieci giorni successivi a quello in cui è stata presentata o è pervenuta l'istanza di ammissione il magistrato davanti al quale pende il processo o il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato, se procede la Corte di cassazione, verificata l'ammissibilità dell'istanza, ammette l'interessato al patrocinio a spese dello Stato se, alla stregua della dichiarazione sostitutiva prevista dall'articolo 79, comma 1, lettera c , ricorrono le condizioni di reddito cui l'ammissione al beneficio è subordinata . È, quindi, evidente dal combinato disposto delle predette disposizioni che non compete a questa Corte decidere sull'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, come del resto confermato anche dalla giurisprudenza di questa Corte che, sul punto, ha affermato che è inammissibile l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata alla Corte di Cassazione, in quanto la regola generale, secondo cui competente è l'ufficio del magistrato innanzi al quale pende il processo, non trova applicazione nel caso in cui il processo si trovi nel grado di legittimità, spettando in tal caso la competenza all'ufficio del magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato Sez. 3, n. 27581 del 15/06/2010 - dep. 15/07/2010, M., Rv. 248106 . Non rileva la circostanza che, nel caso in esame, la sentenza ricorsa non sia stata emessa da un giudice di merito ma da una Sezione di questa Corte, vertendosi in tema di ricorso straordinario ex art. 625 bis cod. proc. pen. Ed infatti, la ratio della disciplinata dettata dall'art. 93, d.P.R. n. 115 del 2002, è quella di attribuire al giudice di merito la competenza a provvedere sull'istanza, attesa la mancanza di poteri istruttori in capo alla Corte di legittimità che non può essere gravata dell'onere di svolgere gli accertamenti richiesti dalla legge prodromici all'ammissione e, soprattutto, laddove si consideri che non è sarebbe consentito - allo stato della vigente legislazione - proporre impugnazione avverso l'eventuale provvedimento di rigetto dell'istanza da parte del giudice di legittimità, atteso che è lo stesso art. 99, d.P.R. n. 115 del 2002 a prevedere che l'eventuale provvedimento di rigetto debba essere presentato davanti al presidente del tribunale o al presidente della corte d'appello ai quali appartiene il magistrato che ha emesso il decreto di rigetto , previsione, questa, che ovviamente non può trovare applicazione alla Corte di Cassazione, unico ufficio giudiziario di legittimità a giurisdizione nazionale che non appartiene a nessun tribunale o Corte d'appello a tacer d'altro, poi, si osserva che è proprio questa Corte, in base al comma terzo del citato art. 99, il giudice cui l'interessato potrebbe proporre ricorso per cassazione per violazione di legge . Ne discende, quindi, che anche nel caso, non previsto dal d.P.R. n. 115 del 2002, in cui la sentenza impugnata sia una sentenza di questa Corte, la competenza a decidere sull'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato spetta all'ufficio del magistrato di merito che ha emesso il provvedimento impugnato e deciso dalla Cassazione con la sentenza ricorsa ai sensi dell'art. 625 bis cod. proc. pen Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto È inammissibile l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata alla Corte di Cassazione anche nel caso di ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, in quanto la regola generale dettata dall'art. 93, comma primo, d.P.R. n. 115 del 2002 - secondo cui se procede la Corte di cassazione, l'istanza è presentata all'ufficio del magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato - trova applicazione anche quando quest'ultimo sia stato emesso dalla Corte di legittimità, spettando anche in tal caso la decisione sull'istanza all'ufficio del magistrato che emise il provvedimento impugnato e deciso dalla Corte di cassazione con la sentenza ricorsa ex art. 625 bis cod. proc. pen. . 7.2. Quanto, poi, all'ulteriore doglianza di violazione del diritto di difesa, per non essere stato nominato da questa Corte un difensore d'ufficio al detenuto a seguito della rinuncia al mandato intervenuta successivamente alla notifica dell'avviso di fissazione dell'odierna udienza camerale, rileva il Collegio come nessuna nullità siasi verificata. Ed infatti, è già stato reiteratamente affermato da questa Corte che nel giudizio di cassazione, la rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia, a cui sia stato tempestivamente notificato in precedenza l'avviso per l'udienza, non comporta l'obbligo di nominare un difensore d'ufficio e di rinviare l'udienza Sez. 6, n. 8350 del 16/12/2010 - dep. 02/03/2011, Fusco, Rv. 249584 . Invero, si è osservato, nel giudizio di cassazione, la rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia, al quale sia già stato tempestivamente notificato l'avviso di udienza, non ha effetto immediato già in riferimento a tale udienza, che può quindi essere ritualmente celebrata, essendo il difensore di fiducia rinunciante ancora onerato della difesa dell'imputato fino alla eventuale nomina di un difensore di ufficio Sez. 3, n. 22050 del 19/05/2006 - dep. 23/06/2006, Chiras e altri, Rv. 234698 . 8. Nel merito, deve poi osservarsi quanto segue. 9. L'art. 625 bis cod. proc. pen. prevede l'esperibilità del ricorso straordinario sia per l'errore materiale che per l'errore di fatto, riconducendo sotto un unico istituto situazioni profondamente differenti per la natura del rimedio messo a disposizione, per il tipo di vizio che legittima la proposizione del ricorso, nonché per le conseguenze che discendono dall'eliminazione dell'errore, tanto sul piano sostanziale quanto su quello processuale, onde può ben osservarsi che il legislatore ha impropriamente accomunato nella nuova figura del ricorso straordinario realtà processuali eterogenee e che la configurazione del nuovo istituto come mezzo di impugnazione extra ordinem è appropriata soltanto per l'errore di fatto e non anche per l'errore materiale. 10. L'errore materiale è quello determinato da una svista, da un lapsus espressivo, che, senza incidere sul processo logico e volitivo della decisione giudiziale, determina un divario fra volontà del giudice e materiale rappresentazione grafica della stessa, fra il pensiero e la sua estrinsecazione formale. Nella categoria dell'errore materiale, di cui costituisce sottospecie l'errore di calcolo, sono compresi sia gli errori in senso stretto che le lacune od omissioni i primi, come osservato in dottrina, sono emendabili mediante la correzione epurativa , i secondi attraverso la correzione integrativa . Investendo unicamente la difformità esteriore, la correzione o rettifica che si opera è finalizzata a realizzare la coincidenza tra la volontà e la forma in cui questa è stata espressa, senza mutare il contenuto intrinseco del provvedimento, sicché il rimedio ha una funzione tipicamente riparatoria, alla quale è estranea la sostituzione o la modificazione delle statuizioni del giudice propria dei mezzi di impugnazione, ed esso opera sulla sola documentazione grafica quale mezzo di identificazione della volontà, come già espressa nel provvedimento. Il che spiega la ragione per cui la correzione degli errori materiali non può qualificarsi come vera e propria impugnazione e, consequenzialmente, giustifica i limiti rigorosi posti dall'art. 130 cod. proc. pen., che subordina l'ammissibilità della correzione alla duplice condizione che l'errore o l'omissione materiale non sia stato causa della nullità del provvedimento e che dall'eliminazione non derivi una modificazione essenziale del contenuto dell'atto. Tali condizioni danno pienamente conto delle ragioni per le quali il procedimento di correzione degli errori materiali, pur essendo indubbiamente dettato per le sentenze dei giudici di merito, è stato sempre considerato ammissibile anche rispetto alle decisioni della Corte di Cassazione ed è stato riconosciuto del tutto compatibile con il principio di non impugnabilità delle stesse. Ulteriore conferma dell'inidoneità ad incidere sul contenuto sostanziale del provvedimento da rettificare può trarsi dal fatto che la correzione delle omissioni o degli errori materiali è ammessa anche per le sentenze e le ordinanze della Corte Costituzionale dall'art. 21, comma primo, delle norme integrative adottate con delibera della stessa Corte in data 16.3.1956 in G.U. 24.3.1956, n. 71, c.d. speciale . 11. Costituisce, invece, vera e propria impugnazione il ricorso straordinario per errore di fatto. Un simile errore, a differenza di quello materiale, non attiene alla manifestazione grafica del provvedimento, ma inerisce direttamente al processo formativo della volontà del giudice, determinandola in una certa direzione anziché in un'altra e, quindi, influendo sul contenuto della decisione, che, senza quell'errore, sarebbe stata diversa. L'errore di fatto, perciò, ha il carattere della decisività, essendo determinante nella scelta della soluzione accolta nel provvedimento adottato dalla Corte sul piano logico, si tratta di un errore di percezione, di una svista o di un mero equivoco, e non di un errore di valutazione o di giudizio sul fatto che il giudice di legittimità è chiamato ad esaminare per definire i motivi di ricorso. Tali caratteri distintivi contribuiscono a fare coincidere l'errore previsto dall'art. 625 bis cod. proc. pen. con l'errore di fatto revocatorio di cui all'art. 391 bis cod. proc. civ., che, attraverso il rinvio all'art. 395, n. 4, c.p.c, ne delimita con precisione l'ambito, chiarendo che ricorre l'errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita”. Ne consegue che l'errore di fatto indicato dall'art. 625 bis cod. proc. pen. è di tipo meramente percettivo e che ad esso è estraneo qualsiasi profilo attinente alla valutazione agli atti del processo, nel senso che non consiste in un errore di giudizio vertente sul fatto esaminato e non correttamente interpretato dal giudice di legittimità v., tra le tante Sez. 2, n. 23417 del 23/05/2007 - dep. 14/06/2007, Previti e altri, Rv. 237161 . In questa prospettiva interpretativa si è mossa la giurisprudenza di questa Corte, che ha assunto quale parametro di riferimento la nozione di errore di fatto posta dall'art. 395, n. 4, cod. proc. civ., cui, nel corso dei lavori preparatori relativi all'approvazione del testo dell'art. 625 bis cod. proc. pen., era stato fatto esplicito richiamo attraverso un emendamento poi ritirato. È stato, infatti, chiarito che il modello dell'errore di fatto che legittima il ricorso straordinario è del tutto affine all'errore revocatorio di cui all'art. 391 bis cod. proc. civ., ed è riconoscibile dalla circostanza che la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa o che è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, in piena rispondenza col motivo di revocazione prefigurato dall'art. 395, n. 4, cod. proc. civ. Sez. 1, n. 45731 del 13/11/2001 - dep. 20/12/2001, Salerno, Rv. 220372 Sez. F, n. 42794 del 07/09/2001 - dep. 28/11/2001, Schiavone, Rv. 220181 . Una simile impostazione è stata condivisa dalle Sezioni Unite di questa Corte, che, dopo avere riconosciuto che l'art. 625 bis cod. proc. pen. è stato modellato sull'analoga disciplina contenuta nell'art. 391 bis cod. proc. civ., hanno stabilito che l'errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità, oggetto del rimedio previsto dall'art. 625 bis cod. proc. pen., consiste - come anzidetto - in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di Cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall'influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall'inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto ad una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso sulla base di tale enunciato definitorio è stato precisato che qualora la causa dell'errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, e che - per quanto di interesse in questa sede, con riferimento al caso in esame - sono estranei all'ambito di applicazione dell'istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l'attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati v., per tutte Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002 - dep. 30/04/2002, Basile P, Rv. 221280 Sez. 1, n. 21236 del 30/03/2011 - dep. 26/05/2011, Adinolfi, Rv. 250238 . 12. Tanto premesso, può quindi procedersi all'esame dei profili di doglianza. 12.1. Quanto al primo profilo, dall'esame della sentenza ricorsa effettivamente risulta non affrontata la censura con cui il ricorrente deduceva davanti alla Sez. IVA la violazione dell'art. 11, comma terzo, cod. proc. pen. L'omesso esame, tuttavia, non inficia la sentenza della S.C Ed infatti, si premette che l'art. 11, comma terzo, cod. proc. pen. prevede che 3. I procedimenti connessi a quelli in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato sono di competenza del medesimo giudice individuato a norma del comma 1 secondo quanto sostenuto dal M. nel ricorso straordinario che sintetizza l'originario motivo di ricorso personale sub 8 proposto davanti alla Sez. IVA nonché dalla lettura della memoria successivamente depositata in data 1/09/2015, la competenza del tribunale di Brescia che sarebbe stato competente, nell'ottica del ricorrente, ex art. 11 cod. proc. pen. in quanto uno dei reati contestati al M. , oggetto della confessione del coimputato P. nel novembre 2011, vedeva coinvolto un magistrato della DDA di Milano, donde più correttamente la censura andrebbe riferita all'art. 11 bis, cod. proc. pen. che estende l'applicabilità della regola dell'art. 11 cod. proc. pen. anche ai procedimenti riguardanti i magistrati della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo sarebbe stata già nota ai giudici di merito che lo avevano giudicato sia in primo grado tribunale di Milano, sentenza 28/03/2012 che in secondo grado Corte d'appello di Milano, sentenza 19/02/2013 tale circostanza sarebbe stata celata al ricorrente sino al momento della proposizione del ricorso per cassazione, impedendo al M. di eccepire tempestivamente l'incompetenza funzionale dei giudici milanesi ex art. 11, comma terzo, citato, attesa l'esistenza di ragioni di connessione. Così sinteticamente riassunta la questione in fatto, appare evidente l'infondatezza del relativo motivo. Ed infatti, secondo il pacifico orientamento di questa Corte, la speciale competenza stabilita dall'art. 11 cod. proc. pen. per i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di indagato, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato ha natura funzionale, e non semplicemente territoriale, con conseguente rilevabilità, anche di ufficio, del relativo vizio in ogni stato e grado del procedimento Sez. U, n. 292 del 15/12/2004 - dep. 13/01/2005, Scabbia ed altro, Rv. 229633 . Tuttavia, l'operatività dell'art. 11 cod. proc. pen. è subordinata alla condizione che il magistrato, nel procedimento penale, assuma formalmente la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato Sez. 6, n. 13182 del 02/04/2012 - dep. 05/04/2012, Vitalone, Rv. 252592 , non essendo sufficiente dedurre il coinvolgimento del magistrato nei fatti. Orbene, nel caso in esame, il ricorrente si è limitato semplicemente a dedurre che il nuovo reato oggetto delle dichiarazioni confessorie del P. avrebbe coinvolto un magistrato della DDA di Milano, senza tuttavia specificare, da un lato, né a quale magistrato tale affermazione si riferisse né, soprattutto, se tale magistrato abbia mai assunto formalmente la qualità di indagato o di imputato, circostanza, questa, come detto, condizione cui è subordinata l'operatività del disposto dell'art. 11 cod. proc. pen È, dunque, evidente che la censura del ricorrente, per come prospettata alla Sez. IV, era da ritenersi manifestamente infondata per le ragioni predette, donde l'omesso esame della relativa doglianza da parte della Sez. IV non inficia la sentenza ricorsa, atteso che il relativo motivo avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile dal Collegio di legittimità. Del resto, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di ricorso straordinario, per errore di fatto, l'errore che può essere rilevato ai sensi dell'art. 625-bis cod. proc. pen. è solo quello decisivo, che abbia condotto ad una pronunzia diversa da quella che sarebbe stata adottata se esso non si fosse verificato v., da ultimo Sez. 6, n. 14296 del 20/03/2014 - dep. 26/03/2014, Apicella, Rv. 259503 . Ed è evidente che tale errore non avrebbe potuto condurre ad un esito diverso da quello finale in quanto all'accoglibilità del motivo vi ostava la mancanza di prova che il magistrato della DDA di Milano avesse assunto formalmente la qualità di indagato o di imputato. 12.2. Non miglior sorte merita il secondo profilo di doglianza, atteso che la questione della nullità/inutilizzabilità delle trascrizioni relative alla deposizione Mo. che avrebbe determinato la violazione dell'art. 195 cod. proc. pen. è stata oggetto di esame da parte della Sez. IV che, dopo aver riassunti i relativi profili di censura alle pagg. 10/13 della sentenza ricorsa, sviluppa il relativo percorso argomentativo alle pagg. 32/35. È, quindi, evidente che i profili di doglianza che il ricorrente asserisce essere stati pretermessi dai giudici della Sez. IV, sono da intendersi implicitamente disattese per come emerge dalla lettura della motivazione. Trova quindi applicazione il principio, autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite, secondo cui, l'omesso esame di un motivo di ricorso per cassazione non da luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell'art. 625-bis cod. proc. pen., né determina incompletezza della motivazione della sentenza allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perché incompatibile con la struttura e con l'impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima, ovvero quando l'omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite dall'esame di altro motivo preso in considerazione, giacché, in tal caso, esse sono state comunque valutate, pur essendosene ritenuta superflua la trattazione per effetto della disamina del motivo ritenuto assorbente mentre deve essere ricondotto alla figura dell'errore di fatto quando sia dipeso da una vera e propria svista materiale, cioè da una disattenzione di ordine meramente percettivo che abbia causato l'erronea supposizione dell'inesistenza della censura, la cui presenza sia immediatamente e oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002 - dep. 30/04/2002, Basile P, Rv. 221283, che hanno inoltre precisato che la mera qualificazione della svista in questione come errore di fatto non può tuttavia giustificare, di per sé, l'accoglimento del ricorso straordinario proposto a norma dell'art. 625-bis cod. proc. pen., possibile solo ove si accerti che la decisione del giudice di legittimità sarebbe stata diversa se fosse stato vagliato il motivo di censura dedotto Conf. Sez. un., 27 marzo 2002 n. 16104, De Lorenzo, non massimata . In ogni caso, e conclusivamente con riferimento a tale motivo, va qui ribadito che l'omesso scrutinio di particolari deduzioni, contenute in un motivo di ricorso per cassazione esaminato e trattato dal giudice di legittimità, non da luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell'art. 625-bis cod. proc. pen., dovendosi ritenere tali deduzioni implicitamente valutate e disattese dalla Corte Sez. 1, n. 46981 del 06/11/2013 - dep. 25/11/2013, Toscano e altri, Rv. 257346 . 12.3. Quanto, infine, alla richiesta che sia questa Corte ad applicare al ricorrente ora per allora la diminuente di rito o di voler disporre che a ciò provveda il giudice di rinvio, trattasi all'evidenza di richiesta che esula del tutto dall'ambito cognitivo di questa Corte di legittimità, essendo incompatibile con il mezzo di impugnazione straordinario ex art. 625 bis cod. proc. pen., comma primo richiesta per la correzione dell'errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla corte di cassazione . 13. Il ricorso dev'essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in Euro 1.000,00 mille/00 . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.