Arresti domiciliari: irrilevante il decorso del tempo, ma non si prescinde dal comportamento dell’interessato

Il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelare alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e dell'adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale

Lo ha precisato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 39860/15, depositata il 2 ottobre. Il caso. Il tribunale sostituiva la misura della custodia cautelare in carcere applicata ad un uomo per il reato di detenzione a fini di spaccio di cocaina con quella degli arresti domiciliari. L’appello proposto dal pm avverso tale ordinanza veniva accolto dal tribunale del riesame. Avverso tale decisione, ricorre per cassazione l’uomo, lamentando che il giudice d’appello avrebbe pretermesso ogni motivazione circa il positivo comportamento tenuto dal ricorrente nel periodo di oltre tre mesi in cui si è trovato agli arresti domiciliari e circa l’insussitenza di attuali e concrete esigenze cautelari tutelabili unicamente con la misura ripristinata in sede di appello ex art. 310 c.p.p Il decorso del tempo è irrilevante ma non può essere l’unico parametro. Gli Ermellini hanno preliminarmente precisato merita conferma il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in forza del quale ai fini della sostituzione della misura della custodia cautelare carceraria con quella degli arresti domiciliari e comunque con altra meno grave, il mero decorso del tempo non è elemento rilevante, perché la sua valenza si esaurisce nell’ambito della disciplina dei termini di durata massima della custodia stessa, e quindi è soggetto alla necessità di essere considerato unitamente ad altri elementi idonei a suffragare la tesi dell’affievolimento delle esigenze cautelari . Rilevano però i Giudici di Piazza Cavour che, laddove il soggetto sia stato sottoposto, come nel caso di specie, alla più afflittiva tra le misure cautelari per un tempo apprezzabile e la custodia carceraria sia stata seguita da un’ulteriore restrizione domiciliare di congrua durata senza che siano intervenute violazioni della misura, il richiamo al principio non può risolversi nella pretermissione delle valutazioni del comportamento in stato di restrizione, nei limiti in cui da quella condizione sia possibile cogliere se la protrazione della misura cautelare abbia potuto e saputo fronteggiare il pericolo prospettato ed eventualmente attenuarne la portata, sì da poter questo essere, per il futuro, contenuto da misure ci coercizione meno afflittive . Il fatto nuovo, capace di dar senso al decorso dei tempo ai fini di una revisione dei giudizio cautelare, continuano dal Palazzaccio, può ben essere rintracciato nel complessivo comportamento tenuto dall'interessato nella condizione di restrizione detto comportamento può rappresentare, al pari del fatto criminoso asseritamente commesso, contesto oggettivo di proiezione dei tratti della personalità rivelatori, in un giudizio unitariamente condotto, di una pericolosità che può anche rivelarsi scemata . Del resto, conclude il Supremo Collegio, tale correzione della rigidità del principio dell'irrilevanza ex se del decorso dei tempo è coerente alla giurisprudenza delle Sezioni Unite circa il rilievo che il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelare alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e dell'adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale Per tutte le ragioni sopra esposte, la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 settembre – 2 ottobre 2015, n. 39860 Presidente Agrò – Relatore Mogini Ritenuto in fatto 1. D.A. ricorre per mezzo dei proprio difensore avverso l'ordinanza in epigrafe, con la quale il Tribunale dei Riesame di Milano ha accolto l'appello presentato dal p.m. nei confronti dell'ordinanza, emessa il 6.3.2015 dal g.i.p. del Tribunale di Varese, che aveva sostituito la misura cautelare della custodia in carcere a lui applicata per il reato di detenzione a fini di spaccio, in concorso con tre persone, di circa 108,42 grammi di cocaina pura con quella degli arresti domiciliari. 2. II ricorrente censura l'ordinanza impugnata lamentando illogicità, contraddittorietà e apparenza di motivazione in relazione alla ritenuta esclusiva adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere rispetto alle esigenze cautelari consistenti nel rischio di recidiva, essendo stato escluso il pericolo di inquinamento probatorio pure enunciato nell'ordinanza genetica ed avendo egli manifestato la volontà di definire il procedimento mediante rito alternativo. In particolare, il giudice dell'appello cautelare avrebbe pretermesso ogni motivazione circa il positivo comportamento tenuto dal ricorrente nel periodo di oltre tre mesi in cui si è trovato agli arresti domiciliari e circa l'insussistenza di attuali e concrete esigenze cautelari tutelabili unicamente con la misura ripristinata in sede di appello ex art. 310 c.p.p Il 16 settembre 2015 il ricorrente ha depositato documentazione. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato e merita accoglimento, nei limiti e per le ragioni di seguito esposte. Il Tribunale ha richiamato in primo luogo le argomentazioni già utilizzate nell'ordinanza a suo tempo resa sulla richiesta di riesame formulata dal Dashai ex art. 309 c.p.p. Ha poi aggiunto che il mero decorso dei tempo non è di per sè elemento da cui poter desumere l'attenuazione delle esigenze cautelari. Così argomentando, si è collocato nell'ambito di un indirizzo interpretativo consolidato, secondo cui ai fini della sostituzione della misura della custodia cautelare carceraria con quella degli arresti domiciliari e comunque con altra meno grave, il mero decorso dei tempo non è elemento rilevante, perché la sua valenza si esaurisce nell'ambito della disciplina dei termini di durata massima della custodia stessa, e quindi è soggetto alla necessità di essere considerato unitamente ad altri elementi idonei a suffragare la tesi dell'affievolimento delle esigenze cautelari ex multis, Sez. 2^, n. 45213 dell'8/11/2007, Lombardo, Rv. 238518 . II principio merita di essere confermato occorre, però, rilevare che, ove il soggetto sia stato sottoposto , come nel caso di specie, alla più afflittivi tra le misure cautelari per un tempo apprezzabile oltre 10 mesi e la custodia carceraria sia stata seguita da un'ulteriore restrizione domiciliare di congrua durata senza intervenute violazioni della misura, il richiamo al principio non deve risolversi nella pretermissione della valutazione dei comportamento tenuto in stato di restrizione, nei limiti in cui da quella condizione sia possibile cogliere se la protrazione della misura cautelare abbia potuto e saputo fronteggiare il pericolo prospettato ed eventualmente attenuarne la portata, sì da poter questo essere, per il futuro, contenuto da misure di coercizione meno afflittive. Il tempo trascorso in condizione di restrizione carceraria e domiciliare non può, in buona sostanza, essere un tempo del tutto muto per il giudice della cautela, dovendo questi interrogarsi su come quel tempo sia trascorso e sia stato vissuto dal soggetto in vincu/is, seppure la detenzione cautelare non possa avere, ovviamente, alcuna vocazione di recupero sociale. Il fatto nuovo, capace di dar senso al decorso dei tempo ai fini di una revisione dei giudizio cautelare, ben può essere rintracciato nell'ambito del complessivo comportamento tenuto dall'interessato nella condizione di restrizione - particolarmente significativa potendo rivelarsi l'assenza di violazioni nel corso dell'applicazione della misura graduata - e in questa prospettiva detto comportamento può atteggiarsi, al pari del fatto criminoso asseritamente commesso, come contesto oggettivo di proiezione dei tratti della personalità rivelatori, in un giudizio unitariamente condotto, di una pericolosità che può anche rivelarsi scemata Sez. 1, n. 24897 del 10.5.2013, Sisti . La correzione, nel senso appena indicato, della rigidità dell'assunto dell'irrilevanza ex se dei decorso dei tempo si muove sulla falsariga di quanto stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte circa il rilievo che il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelare alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e dell'adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale SU, n. 16085 del 31/3/2011, P.M. in proc. Khalil, Rv. 249324 . L'ordinanza deve allora essere annullata con rinvio, per dare modo al giudice della cautela di compiere nuovo esame della vicenda posta alla sua cognizione alla luce dei principio di diritto prima illustrato e dei comportamento serbato in concreto dal ricorrente nel corso dell'applicazione a suo carico delle sopra richiamate misure restrittive. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuova deliberazione al Tribunale di Milano.