Condannata per truffa la venditrice che sottace alla nubenda i ritocchi apportati all’abito da sposa di collezione stilistica

Il delitto di truffa contrattuale deve ritenersi realizzato quando l’agente pone in essere artifici e raggiri al momento della conclusione del negozio giuridico, traendo in inganno il soggetto passivo che viene indotto al consenso che altrimenti non avrebbe prestato. Anche la semplice menzogna, capace di ingenerare nella vittima la rappresentazione di una falsa realtà, integra gli estremi di un raggiro, necessario per la configurazione di tale reato.

Con la sentenza n. 39741/2015, depositata il 1° ottobre 2015, la seconda sezione penale della Corte Suprema di Cassazione si esprime sulla truffa contrattuale, avvallando i principi già enunciati in materia nell’ambito della più consolidata giurisprudenza. Il caso. La questione prende le mosse da una vicenda particolare avente ad oggetto la vendita di un abito da sposa. Più segnatamente, accadeva che la proprietaria dell’atelier vendeva un vestito di un importante collezione, guarnito di ritocchi dalla stessa apportati, tacendo alla cliente tale circostanza ed evidenziando, invece, la manifattura propria dello stilista titolare della collezione. La nubenda, tuttavia, si rendeva conto della menzogna propalatale poiché il giorno delle nozze si scollavano dall’abito le perline applicate sul corpetto, che evidenziavano il palese ritocco dell’abito così come confermato in dibattimento dal titolare del marchio . Pertanto, la cliente sporgeva querela contro la proprietaria dell’atelier, che veniva condannata per truffa tanto in primo, quanto in secondo grado. Avverso il provvedimento di conferma della sentenza di condanna emessa dalla Corte di Appello di Reggio Calabria propone ricorso per Cassazione direttamente l’imputata. La ricorrente, tra i vari motivi di doglianza, lamenta in particolare la violazione dell’articolo 606 lett.b e e c.p.p., per illogicità della motivazione e travisamento di prova. Secondo la venditrice, la semplice menzogna non vale ad integrare il reato di truffa per il quale è necessaria una condotta fraudolenta e che, la cliente, aveva scelto l’abito perché le era piaciuto in vetrina per la sua particolarità, consistente proprie nelle modifiche apportate non vi sarebbe, inoltre, l’ingiusto profitto, col correlativo danno, in quanto vi sarebbe equivalenza tra le controprestazioni, senza la sussistenza di un lampante squilibrio economico tra le prestazioni contrattuali. I lineamenti della truffa contrattuale forniti dalla Suprema Corte. I Giudici del Palazzaccio rigettano il ricorso perché infondato con la sentenza in commento si concentrano sulla disamina del reato di truffa contrattuale, già ampiamente indagato da parte della precedente giurisprudenza formatasi sul tema. Gli Ermellini rappresentano che si ha truffa contrattuale quando l’agente pone in essere artifici e raggiri al momento della conclusione del negozio giuridico, traendo in inganno il soggetto passivo che viene indotto a prestare un consenso che altrimenti non sarebbe stato dato. La semplice menzogna è di per sé sufficiente ad integrare gli estremi del delitto in esame, costituendo una forma tipica di raggiro mediante la falsa rappresentazione della realtà nella mente della vittima. Ebbene, nel caso di specie, l’imputata, al fine di trarre profitto dalla vendita, ha indotto in errore la persona offesa creando un falso convincimento sulle qualità dell’abito da sposa. Infine, in materia di truffa contrattuale, l’ingiusto danno corrisponde essenzialmente nel fatto costituito dalla stipulazione del contratto, per cui diventa irrilevante la sussistenza di un’eventuale squilibrio tra le controprestazioni. Dunque, la nubenda, che decideva di acquistare l’abito da sposa dopo averlo provato e certamente dopo aver concordato il prezzo, serena di aver scelto un capo dalle particolari qualità proprie della casa di moda di appartenenza, prestava il proprio consenso in una situazione psichica di erroneo convincimento, indotto dalle menzogne propinate dalla proprietaria dell’atelier. Per tali motivi, la seconda sezione penale della Corte di legittimità rigetta il ricorso della ricorrente, condannandola al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 17 settembre – 1 ottobre 2015, n. 39741 Presidente Fiandanese – Relatore Rago Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 12/11/2013, la Corte di Appello di Reggio Calabria confermava la sentenza con la quale, in data 13/03/2012, il giudice monocratico del Tribunale della medesima città aveva ritenuto F.C. colpevole del reato di truffa perché, inducendo in errore M.M. circa la qualità dell'abito da sposa da questa acquistato presso l'atelier Davida Alta Moda Sposa di Reggio Calabria, mediante artifizi e raggiri consistiti nell'affermare falsamente il confezionamento dell'abito da parte della sartoria dello stilista C.A. si procurava in ingiusto profitto ammontante ad Euro 2.600,00 quale corrispettivo pattuito per la vendita, con pari danno per la persona offesa. In OMISSIS ” . 2. Avverso la suddetta sentenza, l'imputata, in proprio, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi 2.1. VIOLAZIONE DELL'ART. 124 COD. PEN. - 129-529 COD. PROC. PEN. per non avere la Corte dichiarato la non procedibilità per tardività della querela. 2.2. violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. per essere stata essa ricorrente condannata per un fatto diverso da quello contestatole con il capo d'imputazione. Infatti, la Corte aveva ritenuto che l'artifizio e raggiro fosse consistito nell'aver offerto una falsa rappresentazione della realtà riferendo l'appartenenza dell'abito alla collezione dello stilista C.A. indossato in pubblicità dalla Ch. ex Miss Italia e tacendo particolari di assoluta e imprescindibile rilevanza, posto che la stessa aveva autonomamente applicato sul corpetto il jeans sottostante e le perle sovrapposte” quindi una condotta omissiva a fronte di quella commissiva contestata con il capo d'imputazione 2.3. violazione dell'art. 606 LETT. b e cod. proc. pen. la ricorrente sostiene che la sentenza sarebbe affetta da illogicità e travisamento di prova decisiva ai fini dell'affermazione di responsabilità in quanto a non basta la semplice menzogna ad integrare il reato di truffa in quanto è necessario che la medesima dev'essere accompagnata da una condotta fraudolenta b non era configurabile a carico di essa ricorrente alcun obbligo di comunicazione in ordine a circostanze che erano già note all'acquirente nel momento stesso in cui aveva concluso il contratto c la Corte non aveva considerato che, secondo le emergenze processuali, la futura sposa, dopo avere visto l'abito in vetrina, lo aveva scelto perché le era piaciuto per la sua particolarità quindi non vi era stato alcun inganno d infine, la Corte non aveva rilevato che era insussistente anche il requisito dell'ingiusto profitto ed il correlativo danno in quanto vi era equivalenza tra le controprestazioni e non un obiettivo squilibrio economico tra le prestazioni contrattuali. Diritto 1. VIOLAZIONE DELL'ART. 124 COD. PEN. - 129-529 COD. PROC. PEN. la suddetta doglianza è manifestamente infondata. La ricorrente, pur ammettendo che l'eccezione non era stata dedotta con i motivi di appello, sostiene che, trattandosi di una questione attinente alla ritualità della condizione di procedibilità, la medesima è deducibile per la prima volta anche in sede di legittimità. Al che va replicato che, se quanto sostenuto dalla ricorrente è vero in linea di principio, nel caso concreto non lo è affatto perché la soluzione della questione dedotta non dipende da un mero controllo di dati processuali, ma comporta un approfondito esame del merito, come appare con tutta evidenza dalla semplice lettura del motivo relativamente al quale la ricorrente ha ritenuto di spendere ben quattro pagine per spiegare le ragioni per cui, a suo avviso, la querela il cui termine decorre, lo si ricordi, dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato ” era stata presentata fuori termine. 2. violazione dell'art. 521 cod. proc. PEN. anche la suddetta doglianza è manifestamente infondata non essendo ravvisabile alcun mutamento del fatto oggetto di contestazione. Nel capo d'imputazione, all'imputata sono stati addebitati artifizi e raggiri consistiti nell'affermare falsamente il confezionamento dell'abito da parte della sartoria dello stilista C.A. ” il che, in nulla differisce dall'affermazione della Corte secondo la quale l'imputata ha offerto una falsa rappresentazione della realtà riferendo l'appartenenza dell'abito alla collezione dello stilista C.A. indossato in pubblicità dalla Ch. ex Miss Italia e tacendo particolari di assoluta e imprescindibile rilevanza, posto che la stessa aveva autonomamente applicato sul corpetto il jeans sottostante e le perle sovrapposte” quanto affermato dalla Corte, infatti, non è un fatto diverso, ma la semplice specificazione della modalità della truffa sulla quale la ricorrente ha avuto ampiamente modo di difendersi. Infatti, va osservato che tutto il processo, come si evince dalla lettura della stessa sentenza che ha richiamato l'esito della svolta istruttoria, ruotò proprio solo ed esclusivamente su quel punto cioè sulla falsa rappresentazione della realtà tant'è che la stessa ricorrente, in questa sede, ha dedotto censure con le quali sostiene che ella non aveva alcun obbligo di comunicare alla cliente che l'abito, pur provenendo dalla collezione di C.A. , era stato da lei manipolato apportandovi importanti modifiche. 3. violazione dell'art. 606 lett. b e cod. proc. pen. con la suddetta articolata censura, la ricorrente contesta la configurabilità del reato di truffa sotto i vari profili evidenziati. 3.1. Il fatto, è stato ricostruito dalla Corte territoriale, nei seguenti termini M.M. acquistava per la figlia presso l'atelier dell'imputata un abito da sposa che, secondo quanto la stessa le riferiva, apparteneva alla collezione dello stilista Co.Al. indossato in pubblicità dalla Ch. ex Miss Italia ma la sera del matrimonio già durante i preparativi prima di recarsi in chiesa il corpetto facente parte dell'abito già perdeva le gocce strass in quanto erano attaccati con la colla e le stesse continuavano inesorabilmente a cadere anche durante la cerimonia religiosa e durante il ricevimento. Confermava tale versione la sposa teste Z. ossia la figlia della M. invece, le dipendenti dell'atelier Infortuna e Fiume confermavano che l'abito apparteneva alla collezione di C.A. veniva escusso in dibattimento anche il teste A. titolare del marchio C.A. il quale spiegava che l'abito postogli in visione presentava delle modifiche rispetto a quello della propria collezione anche se il corpino era da lui stato prodotto ed in ogni caso escludeva fermamente che il suo Atelier usasse qualsiasi tipo di colla per l'apposizione sui capi di perle o preziosi tipo swaroski”. La Corte, poi, ha precisato che dalla deposizione del teste A. titolare del marchio C.A. ha si genericamente confermato che l'abito proveniva dalla sua collezione, ma ha svolto una serie di precisazioni dalle quali è possibile desumere certamente che la rivenditrice dell'abito da sposa nel caso di specie abbia prospettato alla sposa acquirente ed alla madre della stessa una falsa rappresentazione della realtà è infatti emerso che le modifiche apportate all'abito ed in particolare al corpetto avevano tale portata da alterare in modo sostanziale la qualità e le caratteristiche dell'abito, in quanto non si è trattato delle ordinarie modifiche volte ad adattare l'abito alla persona ad esempio stringendo o allargando il vestito, bensì erano state apportate delle modifiche idonee a stravolgere completamente il capo uscito dalla collezione C.A. il corpino io l'ho prodotto e l'ho ricamato diciamo che la signora lo ha personalizzato mettendoci questo jeans sotto è stato modificato ciò che è fondamentale evidenziare è che, come emerge dalla attenta lettura della deposizione in questione, l'A. ha riconosciuto la sola paternità del corpetto, affermando che il jeans sottostante fosse stato applicato postumamente e ritenendo possibile che fosse postuma anche l'applicazione delle perline posto che, tra l'altro, escludeva fermamente che il suo Atelier usasse qualsiasi tipo di colla per l'apposizione sui capi di perle o preziosi tipo swaroski dunque, posti tali dati è evidente e lampante che anche a voler prescindere dalla pur rilevata volontà del teste di soccorrere l'imputata l'A. ha affermato che ben poco di quanto prodotto dall'Atelier C.A. era rimasto del famigerato corpetto, atteso che il jeans sottostante era postumo ed anche le perline erano state apposte successivamente come dimostra l'applicazione precaria delle stesse che si staccavano durante la cerimonia dunque, sia dalla deposizione dell'A. sia dalla osservazione della rappresentazione fotografica dell'abito, presente al fascicolo, emerge che di originale nel corpetto vi era solo lo strato di velo applicato sopra il jeans tanto afferma del resto inequivocabilmente lo stesso A. riconosco che è un mio abito, non è della collezione Ch. , è di una collezione precedente, però è un mio abito, sicuramente personalizzato, perché non è uscito da me così ecco ”. 3.2. Essendo stata contestata e ritenuta un'ipotesi di truffa contrattuale, è opportuno rammentare quali sono i principi di diritto che questa Corte ha ripetutamente affermato in materia di truffa contrattuale. nozione si ha truffa contrattuale allorché l'agente pone in essere artifici e raggiri al momento della conclusione del negozio giuridico, traendo in inganno il soggetto passivo che viene indotto a prestare un consenso che altrimenti non sarebbe stato dato. La successiva inadempienza pertanto non costituisce illecito civile, ma la conclusione dell'attività criminosa ex plurimis Cass. 3538/1980 Rv. 148455 - Cass. 47623/2008 Rv. 242296 elemento psicologico Nella truffa contrattuale l'elemento che imprime al fatto della inadempienza il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale, quello cioè che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei contraenti falsandone, quindi, il processo volitivo avendolo determinato alla stipulazione del negozio in virtù dell'errore in lui generato mediante artifici o raggiri rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria Cass. 7066/1981 Rv. 149803 - Cass. 4423/1983 Rv. 164164 artifici e raggiri sussistono gli artifici e raggiri, idonei ad integrare il delitto di truffa, nell'ipotesi in cui l'imputato, prima della conclusione di un contratto di compravendita, al fine di indurre in errore la persona offesa sulla sua solvibilità, consegni, quale acconto, dapprima un assegno andato a buon fine e poi altri due assegni, la cui provvista, esistente al momento dell'emissione, venga ritirata prima del pagamento Cass. 532/1981 Rv. 151705. In particolare, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, anche la semplice menzogna, è di per sé sufficiente ad integrare gli elementi costitutivi del delitto di truffa costituendo una tipica forma di raggiro. v. in tal senso Cass. Sez. 3, n. 3046 del 10/11/1965 Rv. 100665 Cass. Sez. 2 n. 2061 del 19/10/1971 Rv. 120649 Cass. sez. 5 n. 8558 del 21/05/1979 Rv. 143164 Cass. Sez. 6, n. 8787 del 19/06/1981 Rv. 150458 Cass. Sez. 2, n. 9426 del 05/02/1982 Rv. 155641 Cass. Sez. 2, n. 10206 del 14/5/1982 Rv 155882. È stato, infatti precisato che la menzogna è un fatto attraverso il quale si crea una suggestione che tende ad insinuare nella mente della parte offesa un erroneo convincimento su una situazione che non ha riscontro nella realtà. Tenuto conto che nel caso di specie l'imputata ha espresso una menzogna con carattere aggressivo, cioè teso ad indurre in errore la parte offesa al fine di procurarsi un profitto, si può affermare che l'atto compiuto integra proprio quell'avvolgimento psichico che è dell'elemento costitutivo del delitto in esame” Cass.42719/2010 Rv. 248662. ingiusto profitto e danno patrimoniale in tema di truffa contrattuale, l'ingiusto profitto, con correlativo danno del soggetto passivo, consiste essenzialmente nel fatto costituito dalla stipulazione del contratto di conseguenza, ai fini della sussistenza del suddetto elemento materiale diventa del tutto irrilevante che le prestazioni siano state equilibrate ossia che si sia pagato il giusto corrispettivo della controprestazione effettivamente fornita Cass. 7193/2006 Rv. 233633 - Cass. 47623/2008 Rv. 242296 Alla stregua dei suddetti principi di diritto, che, in questa sede, vanno ribaditi, deve allora concludersi per l'infondatezza della censura atteso che, innanzitutto, deve ritenersi configurabile il contestato reato di truffa contrattuale. Sul punto, ineccepibile è la motivazione con la quale la Corte territoriale alla stregua di puntuali elementi di natura fattuale e logica, ha disatteso la doglianza riproposta in questa sede secondo la quale la parte offesa rectius la sposa aveva acquistato il vestito perché comunque era stato di suo gradimento. Invero, come ha scritto la Corte territoriale alquanto inconsistente è anche l'ulteriore argomentazione difensiva secondo cui l'acquirente avrebbe deciso di acquistare l'abito perché le era piaciuto vedendolo in vetrina, sicché la volontà negoziale si sarebbe formata in modo spontaneo ed in assenza di vizi infatti è al contrario evidente che l'acquirente ha formato la sua volontà negoziale successivamente dopo aver provato l'abito, dopo aver conosciuto il prezzo e dopo avere appreso che apparteneva alla collezione di C.A. , marchio rinomato e ampiamente pubblicizzato, che evidentemente offriva sicure garanzie di qualità, qualità che poi si è rivelata del tutto scadente proprio per via di quelle essenziali modifiche apportate dall'imputata F. si allude alle perline applicate in modo precario e che poi cadevano dal vestito durante tutta la cerimonia l'imputata F.C. , dunque, ha, offerto una falsa rappresentazione della realtà, riferendo la appartenenza dell'abito alla collezione dello stilista C.A. indossato in pubblicità dalla Ch. ex Miss Italia e tacendo particolari di assoluta e imprescindibile rilevanza posto che la stessa aveva autonomamente applicato sul corpetto il jeans sottostante e le perle sovrapposte l'imputata ha così raggirato la persona offesa, che aveva ritenuto di fare affidamento su una elevata qualità dell'abito da sposa e che, per questo, aveva anche evidentemente accettato di corrispondere il prezzo indicatole dalla signora F. ”. Gli artifizi e raggiri vanno individuati, come contestato nel capo d'imputazione nell'aver fatto credere che l'abito da sposa che era piaciuto alla Z. , appartenesse alla collezione dello stilista C.A. e, quindi sia pure implicitamente che presentasse una elevata qualità di lavorazione. L'ingiusto profitto, con correlativo danno del soggetto passivo, deve ritenersi costituito dalla stipulazione del contratto di conseguenza, ai fini della sussistenza del suddetto elemento materiale diventa del tutto irrilevante che le prestazioni siano state equilibrate ossia che si sia pagato il giusto corrispettivo della controprestazione effettivamente fornita. 4. In conclusione, l'impugnazione dev'essere rigettata e l'imputata condannata al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. RIGETTA il ricorso e CONDANNA la ricorrente al pagamento delle spese processuali.