Incompatibile ma non nullo…

La detenzione domiciliare ai sensi dell’articolo 47 ter, comma 1 ter, dell’Ordinamento Penitenziario, ponendosi da intermediaria fra la carcerazione e la libertà senza vincoli, è stata istituita dal legislatore con la precisa finalità di contemperare il diritto alla salute del condannato alla pena detentiva con la necessità di tutelare la comunità da soggetto ritenuto pericoloso.

Il fatto. Un detenuto aveva fatto istanza al tribunale di sorveglianza al fine di ottenere il differimento della esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare ex art. 47 ter , comma 1 ter , ord. pen. e di differimento facoltativo e obbligatorio della stessa, rispettivamente ex art. 147, n. 2 ed ex art. 146, n. 3 c.p Il tribunale, tuttavia, aveva ritenuto opportuno rigettare l’istanza sulla base delle considerazioni che, all’interno della struttura carceraria dove l’uomo era detenuto, fossero stati messi in atto tutti gli accorgimenti terapeutici necessari ad affrontare le patologie delle quali egli era affetto, considerate, peraltro, non gravi. Allo stesso tempo, non era possibile, al momento dell’istanza, prognosticare l’assenza del pericolo di recidiva in caso di concessione della detenzione domiciliare le condotte e i reati perpetrati dall’uomo durante il precedente periodo trascorso, appunto, in regime di detenzione domiciliare, facevano, invero, mal sperare sul buon esito della misura alternativa in questione. La decisione della Corte di Cassazione. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso contro la decisione del tribunale di sorveglianza, essendo la stessa supportata da corretto ragionamento logico-giuridico e da esaustiva motivazione sotto i profili sia del merito, sia del diritto. Il tribunale di sorveglianza, secondo gli Ermellini, non ha omesso di bilanciare il diritto alla salute con l’interesse della collettività ad essere preservata dalle condotte dannose di soggetti pericolosi. Il diritto alla salute poteva, infatti, essere garantito all’interno delle mura carcerarie, in quanto dotate di struttura compatibile col tipo di cure necessarie ad affrontare una infermità che, secondo la relazione sanitaria di cui si è tenuto conto nel procedimento, non rivestiva affatto la caratteristica della gravità descritta e prescritta” dagli artt. 146 e 147 c.p La permanenza dell’uomo in carcere, pertanto, non andava a costituire una pena rispecchiante quei trattamenti contrari al senso di umanità banditi dall’art. 27 Cost Sull’altro piatto della bilancia, pesava, e non poco, il precedente negativo esito della detenzione domiciliare del ricorrente, che induceva il giudice a presagire un infruttuoso nuovo risultato della misura alternativa, in termini sia di finalità rieducativa, sia di prevenzione. La Suprema Corte ha ritenuto che il Giudice di merito abbia correttamente rispettato il percorso decisionale che la Cassazione aveva già illustrato e statuito in precedenti decisioni. Perché possa essere applicata la detenzione domiciliare ex art. 47 ter , comma 1 ter , secondo la Corte, dev’essere compita una duplice valutazione il tribunale, in primo luogo, ha il compito di verificare l’esistenza dei requisiti stabiliti ex lege per la concessione del differimento dell’esecuzione della pena, consistenti nella gravità della malattia in secondo luogo ed in via eventuale, può disporre la detenzione domiciliare in alternativa alla sospensione dell’esecuzione, qualora ravvisi particolari circostanze che facciano propendere per la prima delle due misure, valutate in ragione delle caratteristiche del reo, delle sue condizioni personali e familiari o in ragione della gravità e durata della pena da scontare. In particolare, secondo gli Ermellini, la detenzione domiciliare è da preferire, rispetto al differimento dell’esecuzione della pena, di fronte alla presenza, sì, di gravi condizioni di salute , le quali però non escludano che il condannato sia in grado di partecipare consapevolmente a un processo rieducativo , residuando al contempo un margine di pericolosità sociale che, nel bilanciamento tra le esigenze del condannato e quelle della difesa sociale, faccia ritenere necessario un minimo controllo da parte dello Stato . La Corte di Cassazione ha ritenuto che nel giudizio di merito, attraverso un motivato ed esaustivo ragionamento , sia stato rispettato il percorso logico-argomentativo postulato i giudici hanno, infatti, correttamente verificato che la situazione del condannato non avesse superato entrambi i previsti check-point . Primo, le sue condizioni di salute non erano così gravi da non poter essere curate in carcere quest’ultimo si era già attrezzato a tale scopo, adottando misure idonee sia sul piano terapeutico, sia su quello di assistenza alla salute. Secondo, il condannato aveva precedentemente dimostrato di non rispettare le regole della detenzione domiciliare, ponendo in essere reati contro il patrimonio. Qualche riflessione. L’incompatibilità tra la malattia e il carcere non può a priori essere considerata assoluta, variando la gravità della patologia e la capacità della struttura detentiva di fronteggiarla adeguatamente. Ora, anche di fronte ad una malattia indubbiamente grave, la detenzione domiciliare, o addirittura il differimento dell'esecuzione della pena, non possono essere concessi automaticamente, essendo comunque necessaria la previa valutazione che la situazione patologica sia o meno affrontabile in ambiente carcerario. Tuttavia, il problema è qual è la soglia, il parametro dell’adeguatezza delle cure, tenendo sempre in considerazione il perentorio principio dell’umanità dei trattamenti penitenziari? Chi opera nel sistema giuridico e, in particolare penitenziario, deve sempre orientare ogni decisione verso il principio che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato art. 3 Cost. . Sulla base di questo presupposto, la Corte di Cassazione Cass. n. 16681/11 aveva già sentenziato che lo stato di salute incompatibile col regime carcerario - postulante perciò il differimento dell'esecuzione della pena detentiva o la concessione della detenzione domiciliare ex art. 47 bis , comma 1 ter , - non consiste necessariamente e soltanto in una patologia con probabile esito mortale, andando comunque considerato contrario al senso di umanità ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di quella soglia di dignità che pure in carcere si richiede debba essere rispettata . Con altra decisione la Cassazione Cass. n. 23930/13 , ha stabilito che la possibilità che nel carcere il detenuto malato possa essere sottoposto a costante monitoraggio del suo stato patologico non implichi automaticamente il rispetto delle esigenze di tutela della dignità della persona qualora possano essere predisposte e adottate cure migliori al di fori del carcere, quelle potenzialmente adottabili al suo interno dovranno essere valutate inappropriate, dovendo, di conseguenza, la detenzione carceraria venire considerata quale trattamento contrario al senso di umanità. Insomma, l'assistenza sanitaria adeguata non è quella che si accontenta di assicurare la mera sopravvivenza del detenuto all’interno di un istituto penitenziario, ma quella che riesce a tutelare il più efficacemente ed efficientemente possibile il valore della vita in senso lato della persona umana. Solo rispettando la dignità del reo è realisticamente possibile predisporre misure che tendano alla sua rieducazione. Alla luce di tale principio, probabilmente, la Corte di Cassazione, nella sentenza qui commentata, avrebbe, per lo meno, dovuto insistentemente sottolineare la netta prevalenza del diritto alla salute - inteso come tutela inviolabile della dignità umana, della possibilità per l’uomo di curare al meglio il suo stato psico-fisico - rispetto all’interesse alla difesa sociale”, laddove il condannato soltanto in un’epoca remota aveva dimostrato una pericolosità che comunque non avrebbe, in fondo, violato il diritto all’integrità fisica di altra persona.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 1 ottobre 2014 – 1 ottobre 2015, n. 39788 Presidente Vecchio – Relatore Tardio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 5 dicembre 2013 il Tribunale di sorveglianza di Bologna ha rigettato l'istanza di differimento della esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. Pen. e di differimento facoltativo e obbligatorio della stessa, rispettivamente ex art. 147 n. 2 ed ex art. 146 n. 3 cod. pen., proposta da A.G. , detenuto nella Casa circondariale di Firenze in espiazione della pena complessiva di anni quindici di reclusione, inflitta con provvedimento di cumulo emesso il 12 settembre 2013 dalla Procura Generale presso la Corte di appello di Torino. Il Tribunale rilevava, a ragione della decisione, che con propria ordinanza del 13 dicembre 2012 aveva respinto la precedente istanza dello stesso A. , volta al differimento dell'esecuzione della pena, già rigettato in via provvisoria dal Magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia il 23 ottobre 2012, avendo ritenuto per le argomentazioni in essa rappresentate e ritrascritte che le patologie dalle quali il medesimo era affetto apparivano allo stato trattabili in ambiente carcerario i responsabili sanitari dell'Istituto penitenziario, con relazione del 14 ottobre 2013, avevano dato specifico atto delle patologie dalle quali era affetto il condannato, segnalando che erano stati messi in atto tutti gli accorgimenti necessari sia da un punto di vista terapeutico che di assistenza alla salute, necessari al medesimo per una più agevole detenzione in Istituto, e rappresentando che, allo stato attuale, non si evidenziavano ragioni di grave incompatibilità delle condizioni di salute con il regime penitenziario difettava, pertanto, il presupposto fondamentale per la concessione della chiesta misura, ossia la sussistenza di una grave infermità fisica, senza necessità di nominare un perito e/o consulente di ufficio non era possibile emettere una prognosi di assenza di pericolo di recidiva, avuto riguardo alle condotte tenute dal condannato durante la fruizione di precedenti misure una eventuale detenzione domiciliare non poteva arginare tale pericolo, poiché il condannato durante analoga misura si era in passato reso irreperibile e aveva commesso reati contro il patrimonio, e, attraverso la continua indicazione di domicili risultati alla verifica inesistenti, aveva dimostrato ulteriore scarsa affidabilità. 2. Avverso detta ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione, l’interessato, personalmente, e il difensore avv. Cinzia Carradori, che ne chiede l'annullamento sulla base di due motivi. 2.1. Con il primo motivo il difensore denuncia, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., mancanza e contraddittorietà della motivazione dell'ordinanza in relazione all'omessa valutazione della consulenza tecnica di parte, in atti, e della dichiarazione di disponibilità abitativa della signora S. , e in relazione al travisamento delle relazioni dei sanitari del carcere, nonché delle ordinanze del Tribunale di sorveglianza di Firenze del 26 luglio 2012 e del Tribunale di sorveglianza di Venezia del 29 novembre 2012. Secondo il ricorrente, il Tribunale, che non ha disposto una propria consulenza sulle sue condizioni di salute e sulla loro compatibilità con la struttura carceraria, ha omesso di valutare la consulenza medico-legale di parte dell'11 maggio 2013, eseguita dalla Dott. P. , che, anche sulla base della cartella clinica relativa al suo ricovero nel centro clinico del carcere di Parma, ha evidenziato una grave prognosi quoad valetudinem e conseguentemente quoad vitam in dipendenza del mancato trattamento delle descritte patologie, bisognevoli di urgente soluzione in regime di ricovero ospedaliero, e il cui parere pagg. 37/39 ha testualmente trascritto. Il ricorrente, che ha riferito in ordine al suo successivo trasferimento presso il carcere di OMISSIS , privo di centro clinico, e alla relazione dei sanitari di detta struttura, che avevano dato conto della incompatibilità delle sue condizioni di salute con il regime carcerario, ha sottolineato l'illogicità della motivazione del Tribunale, che ha imposto a detti sanitari di rivedere la loro valutazione medica sulla base della precedente ordinanza del medesimo Tribunale, che aveva posto in luce il suo atteggiamento manipolatorio, e delle ordinanze, in essa richiamate, del Tribunale di sorveglianza di Firenze del 26 luglio 2012 e del Tribunale di sorveglianza di Venezia del 29 novembre 2012, che avevano rispettivamente non prorogato e revocato la detenzione domiciliare, già concessa, per pregresse condotte illecite evasioni e truffe antecedenti all'agosto 2012 in un caso ed evasione risalente al luglio 2011 nell'altro caso . In tal modo, secondo il ricorrente, è apodittica la sua compatibilità con lo stato detentivo, ritenuta dal Tribunale sulla base della nuova relazione dei sanitari che non avrebbero evidenziato ragioni di grave incompatibilità, non considerando la non graduabilità della incompatibilità ove ritenuta sussistente, né l'assenza di un centro clinico nella struttura carceraria in cui è ristretto, pur avendo il Tribunale di sorveglianza di Firenze disposto, con ordinanza del 26 luglio 2012, che egli fosse detenuto in un cento clinico dell'Amministrazione penitenziaria ovvero in istituto di pena adeguatamente attrezzato, né il rischio di sopravvivenza correlato alle conseguenze delle sue patologie e alla protrazione del regime detentivo. Il Tribunale neppure ha apprezzato la gravità delle condotte da lui tenute al fine di un equo bilanciamento delle esigenze di prevenzione con il diritto alla salute la ragione, dipendente dalle condizioni inumane della sua vita carceraria, del suo atteggiamento di rifiuto polemico delle terapie, e la sua disponibilità a locare un immobile di proprietà della S. . 2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b , cod. proc. pen., inosservanza degli artt. 27, comma 3, 25, comma 2, e 32 Cost. e falsa applicazione dell'art. 147 n. 2 cod. pen Secondo il ricorrente, la situazione di incompatibilità delle sue condizioni di salute con la struttura carceraria è stata riconosciuta dai consulenti di ufficio nominati dal Tribunale di sorveglianza di Firenze e di Genova, mentre egli si trova ora detenuto presso il carcere di OMISSIS , che è privo di centro clinico e presenta barriere architettoniche che aggravano ulteriormente le sue condizioni di detenzione a dimostrazione della incapacità dell'Amministrazione penitenziaria di offrire le cure e trattamenti di cui il detenuto necessita. 3. Con il secondo ricorso presentato personalmente, ricevuto il 14 dicembre 2013, ai sensi dell'art. 123 cod. proc. pen., dal Direttore della Casa circondariale OMISSIS , il ricorrente si duole che il Giudice relatore Dott.ssa M. , da lui denunciata e a conoscenza di tale denuncia, non si sia dichiarata incompatibile e si sia vendicata nei suoi confronti del lancio ricevuto in faccia di un pannolone, rigettandogli la richiesta pur a fronte del peggioramento delle sue patologie e soprattutto della sua obesità dipendente dalla cattiva alimentazione, non coincidente con la terapia insulinica. 4. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso per la sua infondatezza. Considerato in diritto 1. È infondata la censura, oggetto del ricorso personale del 14 dicembre 2013, con la quale il ricorrente assume viziata l'ordinanza impugnata per la incompatibilità del Giudice relatore Dott.ssa M.M. , che, nonostante sia stata da lui denunciata tramite il Comando di Polizia penitenziaria e colpita in faccia con un pannolone, non lo ha a sua volta denunciato e non si è astenuta, vendicandosi con il rigetto della richiesta. 1.1. Questa Corte ha costantemente rimarcato che l'esistenza di cause di incompatibilità, non incidendo sui requisiti di capacità del giudice, non determina la nullità del provvedimento adottato dal giudice ritenuto incompatibile, ma costituisce esclusivamente motivo di ricusazione, da far valere con la specifica procedura prevista dal codice di rito né ha incidenza sulla capacità del giudice la violazione del dovere di astensione, che non è causa, pertanto, di nullità generale e assoluta ai sensi dell'art. 178, lett. a , cod. proc. pen., ma costituisce anch'essa esclusivamente motivo, per la parte, di ricusazione del giudice non astenutosi tra le altre, Sez. U, n. 5 del 17/04/1996, dep. 08/05/1996, D'Avino, Rv. 204464 Sez. U, n. 23 del 24/11/1999, dep. 01/02/2000, Scrudato e altri, Rv. 215097 Sez. 6, n. 9680 del 04/02/2003, dep. 03/03/2003, Calicchio, Rv. 223785 Sez. 3, n. 2115 del 14/11/2003, dep. 23/01/2004, Jayasurya, Rv. 227588 Sez. 5, n. 40651 del 08/11/2006, dep. 12/12/2006, Zonch, Rv. 236307 Sez. 5, n. 13593 del 12/03/2010, dep. 12/04/2010, Bonaventura e altro, Rv. 246716 Sez. 1, n. 24919 del 23/04/2014, dep. 12/06/2014, Attanasio, Rv. 262302 . 1.2. Nella specie non risulta presentata istanza di ricusazione da parte del ricorrente, che si è limitato invece ad allegare al suo ricorso personale la copia del verbale di attestazione della presentazione, in data 17 dicembre 2012, presso il Comando di Polizia penitenziaria di Parma della denuncia nei confronti, tra gli altri, del Magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia per fatti in cui lo stesso sarebbe, peraltro, parte lesa. Il ricorso personale deve essere, pertanto, rigettato. 1.3. Copia di tale ricorso, avuto riguardo al suo contenuto, deve essere, tuttavia, trasmessa, secondo le regole di competenza fissate dall'art. 11 cod. proc. pen. per i procedimenti riguardanti i magistrati, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze per quanto di competenza. 2. Anche il ricorso proposto da A.G. per mezzo del suo difensore va rigettato per essere infondato o inammissibile nelle proposte doglianze e deduzioni. 3. Si premette in diritto che questa Corte ha più volte affermato che, mentre la detenzione domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla detenzione, ha come finalità la rieducazione e il reinserimento sociale del condannato, il rinvio facoltativo della esecuzione della pena per grave infermità fisica, ai sensi dell'art. 147, comma 1, n. 2 cod. pen., mira a evitare che l'esecuzione della pena avvenga in contrasto con il diritto alla salute e il senso di umanità, costituzionalmente garantiti, supponendo che la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere cure e trattamenti tali da non potere essere praticati in regime di detenzione intramuraria, neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura ai sensi dell'art. 11 Ord. Pen., operando un bilanciamento tra l'interesse del condannato a essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività tra le altre, Sez. 1, n. 45758 del 14/11/2007, dep. 06/12/2007, De Witt, Rv. 238140 Sez. 1, n. 28555 del 18/06/2008, dep. 10/07/2008, Graziano, Rv. 240602 Sez. 1, n. 27313 del 24/06/2008, dep. 04/07/2008, Commisso, Rv. 240877 Sez. 1, n. 22373 del 08/05/2009, dep. 28/05/2009, Aquino, Rv. 244132 Sez. 1. n. 972 del 14/10/2011, dep. 13/01/2012, Farinella, Rv. 251674 , e il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena, ai sensi dell'art. 146, comma 1, n. 3 cod. pen., suppone che il condannato sia affetto da una delle patologie previste dalla legge, giunte a una fase così avanzata da escludere la rispondenza del soggetto ai trattamenti disponibili o alle terapie curative tra le altre, Sez. 1, n. 41580 del 01/10/2009, dep. 29/10/2009, Cesarini, Rv. 245054 Sez. 1, n. 42276 del 27/0/2010, dep. 30/11/2010, Gradizzi, Rv. 249019 . 3.1. Pertanto, a fronte di una richiesta di rinvio, obbligatorio o facoltativo, della esecuzione della pena per grave infermità fisica, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato siano o no compatibili con le finalità rieducative della pena e con le possibilità concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione. Qualora, all'esito di tale valutazione, tenuto conto della natura dell'infermità e di un'eventuale prognosi infausta quoad vitam a breve scadenza, l'espiazione di una pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti, ovvero appaia priva di significato rieducativo in conseguenza della impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l'istituto del differimento previsto dal codice penale. Se, invece, malgrado la presenza di gravi condizioni di salute, il condannato sia in grado di partecipare consapevolmente a un processo rieducativo, che si attua attraverso i previsti interventi obbligatori del servizio sociale, e residui un margine di pericolosità sociale che, nel bilanciamento tra le esigenze del condannato e quelle della difesa sociale, faccia ritenere necessario un minimo controllo da parte dello Stato, può essere disposta, in luogo del differimento facoltativo della pena per tutte le ipotesi previste dall'art. 147 cod. pen., e per il termine di durata stabilito e prorogabile, la detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. Pen., che espressamente prescinde dalla durata della pena da espiare e non ne sospende l'esecuzione tra le altre, Sez. 1, n. 4326 del 12/06/2000, dep. 04/08/2000, Sibio, Rv. 216912 Sez. 1, n. 4750 del 14/01/2011, dep. 09/02/2011, Tinelli, Rv. 249794 , e richiede, per l'effetto, una duplice valutazione del Tribunale, che deve dapprima verificare la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per concedere il differimento e poi disporre, eventualmente, la detenzione domiciliare in alternativa alla sospensione dell'esecuzione, qualora ricorrano ragioni particolari, rilevanti sul piano delle caratteristiche del reo e delle sue condizioni personali e familiari o sul piano della gravità e durata della pena da scontare tra le altre, Sez. 1, n. 656 del 28/01/2000, dep. 06/03/2000, Ranieri, Rv. 215494 Sez. 1, n. 23512 del 08/04/2003, dep. 28/05/2003, Bisogno, Rv. 224424 . 3.2. L'introduzione con legge n. 165 del 1998 di tale regime detentivo, come alternativo alla pura e semplice sospensione dell'esecuzione della pena, ha, in tal modo, chiaramente risposto alla finalità di colmare una lacuna della previgente normativa, per la quale, in presenza dei presupposti di fatto indicati negli artt. 146 e 147 cod. pen., si imponeva una alternativa secca tra carcerazione e libertà senza vincoli, mirando tale polifunzionale regime da disporsi a termine in presenza di una negativa condizione soggettiva del condannato che non ne consenta la piena liberazione -, per un verso, all'esigenza di effettività dell'espiazione della pena e del necessario controllo cui vanno sottoposti i soggetti pericolosi e, per altro verso, a una esecuzione mediante forme compatibili con il senso di umanità tra le altre, Sez. 1, n. 6952 del 07/12/1999, dep. 14/02/2000, Saraco, Rv. 215203 Sez. 1, n. 8641 del 19/09/2000, dep. 28/02/2001, Mule, Rv. 218133 Sez. 1, n. 17208 del 19/02/2001, dep. 28/04/2001, Mangino, Rv. 218762 Sez. 1, n. 41492 del 09/10/2001, dep. 17/11/2001, Guddo, Rv. 220086 . 4. Di tali condivisi principi è stata fatta, nel caso di specie, esatta interpretazione e corretta applicazione. 4.1. Il Tribunale ha, infatti, ritenuto dopo avere annotato che l'istanza, in ordine alla quale era stato instaurato il procedimento in corso, costituiva riproposizione di istanza di analogo contenuto rigettata con ordinanza del 13 dicembre 2012, testualmente e integralmente riportata nel contesto dell'ordinanza impugnata che lo stato di salute di A.G. non fosse tale da integrare le condizioni di cui agli istituti invocati. A tali conclusioni il Tribunale è pervenuto attraverso un motivato ed esaustivo ragionamento, che ha sviluppato verificando rispetto alla decisione già assunta la sussistenza di elementi di novità che ne consentissero la modifica. Nel suo percorso argomentato il Tribunale, che ha richiamato i riferimenti contenuti nella relazione del 14 ottobre 2013 alle condizioni di salute dell'istante, le cui patologie ha specificamente enunciato, ha ragionevolmente valorizzato le univoche emergenze fattuali secondo le quali nei confronti dell'istante erano stati messi in atto tutti gli accorgimenti necessari per renderne più agevole la detenzione presso l'Istituto penitenziario, e afferenti sia al profilo terapeutico terapie antipertensiva, antidiabetica, antidecubito, antibiotica, antidolorifica e ansiolitica, vitto antidiabetico sia a quello di assistenza alla salute materasso antidecubito, piantone, spostamenti in carrozzina, traduzioni con ambulanze , e ha coerentemente ritenuto non necessario disporre perizia sulla persona del medesimo, avuto riguardo alla condivisa disamina delle illustrate condizioni, non tali da integrare una grave infermità fisica e da porsi in termini di incompatibilità, allo stato attuale, con la loro gestione in ambito penitenziario. 4.2. Né il Tribunale ha prescisso dal rilevare che non era formulabile un giudizio prognostico di non recidivanza del condannato, valutabile al fine della eventuale concessione in suo favore della misura della detenzione domiciliare, rappresentando la condotta da lui tenuta mentre ha fruito in passato di analoga misura, rendendosi irreperibile e commettendo reati contro il patrimonio, e la insussistenza degli innumerevoli domicili dallo stesso indicati, emersa attraverso gli accertamenti svolti che hanno imposto anche l'allungamento dei tempi di definizione del procedimento. 5. Le ragionevoli argomentazioni svolte, esenti da vizi logici e giuridici, resistono alle censure del ricorrente. 5.1. Non ricorre, invero, il vizio di legittimità dedotto con il primo motivo del ricorso sotto il profilo dell'omesso espletamento di perizia medica sulle condizioni di salute del ricorrente e con riguardo al contestato difetto di motivazione circa la valenza della consulenza tecnica di parte. Il ricorrente con tali doglianze non ha tenuto conto del discorso giustificativo della decisione impugnata, che, nel suo specifico riferimento alle risultanze della più recente relazione sanitaria acquisita del 14 ottobre 2013, ha esaustivamente rappresentato l'univoca emergenza della insussistenza di una incompatibilità fra ambiente carcerario e condizioni di salute e dell'adeguata fronteggiabilità di queste ultime con le terapie e i controlli attivabili in regime detentivo, e ha evidenziato in positivo la concludente idoneità di tali evidenze ai fini della valutazione del quadro clinico senza ricorrere all'espletamento della chiesta perizia. Né il ricorrente ha considerato che, mentre la consulenza di parte, secondo le sue stesse indicazioni in ricorso, risale all'11 maggio 2013 ed è pertanto antecedente alla predetta relazione sanitaria del 14 ottobre 2013, correttamente valorizzata nell'ordinanza, di detta consulenza ha trascritto uno stralcio nel ricorso senza indicare se e in quali termini le evidenze enunciate abbiano incidenza decisiva sulla verifica svolta e siano dimostrative del dedotto decorso in senso peggiorativo delle indicate patologie. 5.2. Sotto concorrente profilo è inoltre generica la censura del ricorrente, che, trascurando la coerenza in diritto della decisione che ha apprezzato le sue condizioni di salute, ai fini e per gli effetti dell'applicazione dei chiesti istituti penitenziari, in termini di attualità, secondo le emergenze della predetta più aggiornata relazione sanitaria, in rapporto alle verifiche già svolte con pregressa ordinanza a tal fine richiamata, ha ritenuto apparente la motivazione per detto operato richiamo e ha appuntato i suoi rilievi critici al contenuto di tale precedente ordinanza, assumendo ricorrere ragioni di travisamento delle relazioni sanitarie e delle ordinanze dei Tribunali di sorveglianza di Firenze e di Venezia del 26 luglio 2012 e del 29 novembre 2012, che corrispondono, invece e sostanzialmente, a non consentite alternative riletture nel merito. 5.3. Neppure hanno maggiore specificità le osservazioni relative alla contestata sussistenza dei profili di pericolosità e di allarme sociale del ricorrente, poiché, mentre, senza offrire elementi dimostrativi a sostegno, si assume che i fatti richiamati nelle predette ordinanze del 26 luglio 2012 e del 29 novembre 2012 sono ancora sub iudice e si afferma come sussistente una possibile disponibilità abitativa, non si considera che, a fronte dell'esito negativo della valutazione riguardante la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per concedere il differimento dell'esecuzione della pena, non possa fondatamente censurarsi l'indagine svolta circa l'applicabilità della misura della detenzione domiciliare -che suppone analoghi presupposti in punto di gravità delle condizioni di salute sotto il profilo della insussistenza di una negativa condizione soggettiva del reo, che non ne consenta la piena liberazione. 5.4. Privo di giuridico pregio è, infine, il rilievo difensivo oggetto del secondo motivo del ricorso, afferente all'attuale stato detentivo del ricorrente sotto il profilo della sua restrizione in istituto privo di struttura specializzata per le cure indispensabili per le sue patologie. Tale rilievo, comunque privo di autosufficienza nella sua prospettazione, è astratto dalla specifica notazione dell'ordinanza che, richiamando la relazione sanitaria dell'Istituto penitenziario, ha dato conto degli accorgimenti messi in atto a tutela della più agevole detenzione del ricorrente e del suo diritto alla salute sul piano terapeutico e logistico. 6. Al disposto rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone, ai sensi dell'art. 331 cod. proc. pen., la trasmissione di copia del ricorso presentato dall'A. il 14 dicembre 2013 al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze per quanto di competenza.