L’inerzia dell’amministratore porta verso il precipizio del concorso in bancarotta

In caso di concorso, ex art 40, comma 2, c.p., da parte dell’amministratore di diritto nel reato di bancarotta fraudolenta commesso dall’amministratore di fatto, ad integrare il dolo del primo è sufficiente la generica consapevolezza che il secondo compia una delle condotte indicate nella norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo, sia come dolo diretto, sia come dolo eventuale, salva anche la prova della volontà del mancato impedimento dell’evento.

Questo il principio di diritto posto a fondamento della pronuncia, in commento, della Quinta Sezione Penale. L’inerzia colpevole dell’amministratore di diritto La vicenda esaminata dalla pronuncia della Quinta Sezione Penale ha ad oggetto l’accertamento della penale responsabilità, a titolo di concorso in bancarotta fraudolenta documentale, di un amministratore di diritto di una società, rimasto inerte a fronte delle reiterate condotte distrattive poste in essere dall’amministratore di fatto della medesima società. Nel dettaglio, il giudizio di merito aveva riscontrato come dal momento dell’assunzione della qualifica di amministratore dell’imputato mancassero totalmente i libri e le scritture contabili, fino agli anni precedenti conservati regolarmente, sicché era stato impossibile ricostruire i movimenti e gli affari nonché il patrimonio della società, che nel frattempo era stato, in gran parte, distratto dall’amministratore di fatto. Tuttavia, evidenzia il ricorrente, nel capo di imputazione era stato prospettato un concorso dell’imputato nelle condotte di falsificazione e distruzione delle scritture contabili, poi non rinvenute, mentre la sentenza aveva scagionato l’imputato da ogni condotta attiva di concorso, limitandosi a constatarne una colpevole inerzia. Dallo iato tra imputazione e sentenza le doglianze del ricorso. Evidenzia il ricorrente che se nel decreto di rinvio a giudizio si era ipotizzato il concorso commissivo nelle condotte di distruzione, falsificazione e alterazione delle scritture contabili al fine specifico di dare copertura alle condotte distrattive dell’amministratore di fatto, per contro, la sentenza aveva accertato non solo la sua estraneità alle condotte appropriative, ma una mera inerzia omissiva anche in punto di tenuta delle scritture contabili. Dall’ontologica differenza fra la condotta di concorso attiva e quella meramente omissiva e dall’altrettanto evidente solco esistente tra il dolo diretto di concorso nella fraudolenta condotta altrui e il dolo eventuale, se non la colpa cosciente, di chi negligentemente non conserva le scritture contabili, il ricorrente deduce la nullità della sentenza per erronea applicazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., per difformità tra quanto contestato in imputazione e accertato in sentenza. La richiesta di fallimento in proprio esclude il dolo? Con ulteriore motivo di ricorso, evidenzia l’imputato che lui stesso aveva presentato istanza di fallimento in proprio e che la suddetta condotta doveva necessariamente comprovare che il medesimo avesse agito non a titolo di dolo eventuale, ma solo colposamente, nel non conservare le scritture contabili obbligatorie. L’iter argomentativo della Cassazione. Sul primo motivo di ricorso, rileva la Cassazione come, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorra una trasformazione radicale negli elementi essenziali della fattispecie concreta, con conseguente incertezza dell’oggetto dell’imputazione e conseguente pregiudizio nell’esercizio del diritto di difesa. In linea generale, ricorda la Corte come il difetto di correlazione possa rilevarsi solo laddove vi sia stata una concreta lesione del diritto di difesa per non aver consentito all’imputato di contrastare in giudizio quella incolpazione, per cui poi sia intervenuta condanna. Nello specifico, inoltre, sussistono precedenti in cui è stata ritenuta la penale responsabilità di un amministratore per mera inerzia, rilevante ex art. 40 comma 2, c.p., a fronte di una imputazione originaria di concorso attivo nella medesima condotta distrattiva. Sulla base di tali premesse, poiché l’imputato aveva riconosciuto di non essersi mai curato di tenere la contabilità, nonostante le pregresse esperienze societarie, pur consapevole della situazione di crisi della società e della dubbia operatività dell’amministratore di fatto, pare evidente che lo stesso avesse omesso la tenuta delle scritture contabili allo scopo di recare pregiudizio ai creditori . Altrettanto evidente – proseguono gli Ermellini - è il fatto che, in nulla, tale condotta debba, dunque, essere distinta da quella di colui, che, con il medesimo animus , deteriori, distrugga od occulti i libri contabili. Sulla base di tali premesse il primo motivo viene ritenuto infondato. Condotta omissiva e dolo eventuale e si concorre nella bancarotta documentale. L’imputato, osserva la Corte, dopo aver assunto la qualifica di amministratore, era consapevole delle condotte distrattive poste in essere dall’amministratore di fatto, ciò nonostante, si era ben guardato dall’adottare misure per attivare la tenuta delle scritture contabili, limitandosi ad una condotta omissiva per molti anni, rispetto alla quale la tardiva istanza di fallimento, in proprio, non poteva assumere valenza significativa ed autonoma tale da escludere il dolo eventuale, come per contro assumeva il ricorrente. Evidente, infatti, che egli con la propria omissione aveva quantomeno accettato il rischio di rendere impossibile la ricostruzione delle vicende contabili della società in danno dei creditori, ed, avendo agito con dolo eventuale, aveva pienamente concorso nella bancarotta fraudolenta documentale. Osservazioni conclusive. La pronuncia in commento pare senza dubbio condivisibile in punto di doveroso richiamo dell’amministratore di diritto alla propria posizione di garanzia nei confronti della società e soprattutto dei creditori. Perplessità suscita, invece, seppur in linea con consolidata giurisprudenza, l’affermazione della assenza di difetto di correlazione tra imputazione e sentenza a fronte di una imputazione per concorso mediante condotta commissiva a dolo diretto che si traduce in condanna per condotta omissiva, rilevante ex art. 40, comma 2, c.p., a titolo di dolo eventuale.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 marzo – 24 settembre 2015, n. 38918 Presidente Bruno – Relatore Pezzullo Ritenuto in fatto 1.Con sentenza in data 13.3.2014 la Corte di Appello di Firenze confermava la sentenza del Tribunale di Livorno dei 10.11.2010 con la quale B.G. era stato condannato, concesse le generiche prevalenti sulla contestata recidiva ed esclusa l'aggravante ex art. 219 L. Fall. alla pena di anni due di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, per aver in concorso con l'amministratore di fatto B.P. in qualità di amministratore della Co.Ge.S. s.r.l. dall'11.10.2000 al fallimento del 29.4.2004 sottratto o distrutto in parte i libri e le scritture contabili della società, o per averli tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. 2. Avverso tale sentenza l'imputato, a mezzo dei suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, con i quali lamenta -con il primo motivo, la nullità della sentenza impugnata per erronea applicazione degli artt. 521-522 c.p.p., in relazione all'art. 606, primo comma, lett. c c.p.p., per difformità tra il contestato e I`accertato , atteso che la condotta contestata al ricorrente non è rimasta immutata per come è stata, diversamente, accertata nella decisione infatti, nel libello d'accusa al B. era stato contestato di aver agito d'intesa con il B., di aver manomesso la contabilità, di averla anche falsificata, allo scopo di dare copertura alle di lui malversazioni , quindi, con il preciso dolo, finalizzato a recare pregiudizio ai creditori e ad impedire una puntuale ricostruzione del movimento degli affari e dei patrimonio societario, laddove in sentenza il B. è stato ritenuto estraneo alla gestione appropriativa del dominus B. di cui lo stesso B., quale socio, era stato vittima , ma, nondimeno, di essere stato negligente nella tenuta della contabilità, così da aver impedito, a mero titolo di dolo eventuale, la postuma ricostruzione del movimento degli affari tuttavia, non si può non rilevare l'ontologica diversità tra una condotta di supporto, pienamente consapevole alle malefatte dell'amministratore di fatto ed una condotta meramente omissiva, né può non rilevarsi l'ontologica differenza tra l'elemento soggettivo, qualificabile come dolo eventuale ed una forma, invece, di dolo diretto di concorso nella fraudolenza della condotta altrui -con il secondo motivo, la nullità della sentenza impugnata, per erronea applicazione ed interpretazione dell'art. 216 L.F. sotto il profilo dell'elemento soggettivo, in relazione all'art. 606, primo comma, lett.b c.p.p., atteso che all'imputato, scagionato dalle ipotesi accusatorie di concorso negli abusi, nelle falsità, nelle distrazioni, o volontarie soppressioni, di documentazione contabile, poste in essere dal B., è stata ascritta una condotta negligente, a fronte di una situazione societaria già irreversibilmente compromessa, al momento in cui egli assunse la carica tuttavia, egli, dopo aver tentato invano di richiamare gli amministratori ai loro doveri, ha chiesto il fallimento, sicchè l'elemento soggettivo non può, dunque, individuarsi nel dolo eventuale se non a pena di perseguire una condotta colposa, come se fosse dolosa. Considerato in diritto Il ricorso non merita accoglimento. 1.Infondata si presenta, invero, la deduzione di cui al primo motivo di ricorso circa la violazione degli artt. 521-522 c.p.p., per difformità tra il contestato e l' accertato , avendo i giudici di merito fatto corretta applicazione dei principi, più volte espressi da questa Corte, richiamati nella sentenza impugnata. Ed invero, è da escludersi che vi sia violazione dei principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza, nel caso di imputazione a titolo di concorso dell'amministratore formale con l'amministratore di fatto e di condanna del primo a titolo di omesso impedimento della condotta materialmente posta in essere dall'amministratore di fatto, quando i fatti di bancarotta fraudolenta descritti in imputazione non siano mutati. 1.1.Hanno sottolineato, infatti, le Sezioni unite di questa Corte, proprio in materia di bancarotta, che in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione Rv. 248051 . 1.2.Inoltre, questa Corte ha già enunciato il principio, secondo cui è sostanzialmente conservata la correlazione tra accusa e sentenza, prevista dall'art. 521 cod. proc. pen., dalla decisione con la quale l'imputato sia condannato per il reato di bancarotta fraudolenta per essere rimasto colpevolmente inerte di fronte alfa condotta illecita dell'amministratore di fatto, in applicazione dell'art. 40 c.p., comma 2, anzichè per la condotta assunta direttamente nella veste di amministratore formale, purchè rimanga immutata l'azione distrattiva, nei suoi profili soggettivi ed oggettivi, considerato che non si determina un'apprezzabile modifica dei titolo di responsabilità Rv. 238210 Sez. V, 11/04/2012, n. 25432 . 1.3.Tanto precisato, si osserva che all'imputato, sono state attribuite le varie ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale descritte in imputazione, ma con le sentenze di merito è stato compiutamente chiarito che proprio a partire dall' assunzione della carica di amministratore formale del B. nell'anno 2000 si registrava l'assenza dei libri e delle scritture contabili, che erano stati, invece, tenuti negli anni passati, ragion per cui non è stato possibile ricostruire l'andamento economico della società. Pertanto, l'imputato è stato specificamente ritenuto responsabile di aver tenuto la contabilità in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, consentendo al B. reale dominus della società di operare, con ciò accettando anche il rischio delle conseguenze dell'illecito operare. 1.4.D'altra parte questa Corte ha evidenziato che ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale devono ritenersi condotte equivalenti la distruzione, l'occultamento o la mancata consegna al curatore della documentazione e l'omessa o irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili pertanto, per la sussistenza del reato è sufficiente l'accertamento di una di esse e la presenza in capo all'imprenditore dello scopo di recare pregiudizio ai creditori e di rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari Sez. V, 27/09/2013, n. 8369 . 1.5. Le sentenze di merito hanno evidenziato, inoltre, come dalle dichiarazioni rese dall'imputato in sede di interrogatorio emergesse chiaramente la conoscenza da parte dello stesso della situazione di crisi in cui versava la società già alla fine del 2000, disattendendo agli obblighi facenti capo all'amministratore di diritto, avendo ammesso di non aver mai preso in consegna la contabilità degli anni precedenti, sebbene tenuta, e non essendo egli, peraltro, nuovo ad esperienze societarie , essendo stato già attinto da condanna per bancarotta. 2. Dei pari infondato si presenta il secondo motivo di ricorso, con il quale il B. si duole dell'assenza dell'elemento psicologico, avendo provveduto egli stesso a chiedere il fallimento della società. All'uopo è sufficiente evidenziare come tale richiesta sia intervenuta a distanza di vari anni dall'assunzione della veste di amministratore formale e, comunque, giova richiamare i principi espressi da questa Corte, secondo cui in caso di concorso ex art. 40, comma secondo, c.p., da parte dell'amministratore di diritto nel reato commesso dall'amministratore di fatto, ad integrare il dolo dei primo è sufficiente la generica consapevolezza che il secondo compia una delle condotte indicate nella norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l'elemento soggettivo, sia come dolo diretto, che come dolo eventuale, salva anche la prova della volontà del mancato impedimento dell'evento Sez. V, 11/04/2012, n. 25432 . L'imputato, pertanto, per quanto accertato con le sentenze di merito anche sulla base delle dichiarazioni rese dallo stesso, senza che sul punto siano state svolte contestazioni era a conoscenza delle condotte illecite poste in essere dal B., ed il disinteresse mostrato per la tenuta delle scritture contabili, in uno alla mancata adozione di misure volte a regolarizzare la situazione fino alla richiesta di fallimento nel 2004 , dimostra altresì come egli fosse consapevole, anche per tale aspetto, o quantomeno accettasse il rischio, di rendere in tale modo impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali della società amministrata. 3.I1 ricorso per le ragioni dette, pertanto, va respinto e l'imputato va condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.