Dal chiosco rumori superiori ai 45 decibel: è disturbo della quiete pubblica

Il reato di cui all’art. 659 c.p. è punibile anche a titolo di colpa. Spetta dunque colui che esercita l’attività accertarsi del rispetto dei limiti imposti dalla legge e dai regolamenti, non potendosi riconoscere alcuna efficacia scusante all’assenza di volontà di recare disturbo.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 38539/15, depositata il 23 settembre. Il caso. Il tribunale condannava una donna alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento del danno in favore delle parti civili perché, in qualità di titolare di un esercizio commerciale, abusando di strumenti sonori la cui intensità superava i limiti previsti per il periodo notturno dalle disposizioni di legge disturbava le occupazioni ed il riposo degli abitanti delle case vicine. La corte d’appello territoriale dichiarava non doversi procedere nei confronti della donna per il reato ascrittole perché estinto per prescrizione, confermando le statuizioni civili. Avverso tale pronuncia, propone ricorso per cassazione la donna, lamentando l’erroneo inquadramento normativo della fattispecie concreta, che secondo la donna avrebbe dovuto essere ricondotta all’art. 659, comma 2, c.p., che punisce chi esercita attività o mestiere rumoroso contro le disposizioni di legge o le prescrizioni della autorità. Superati i 45 decibel si disturba la quiete pubblica. Gli Ermellini hanno ritenuto del tutto infondato il ricorso proposto dalla titolare dell’esercizio commerciale. La fattispecie in esame, infatti, non può rientrare, secondo i Giudici di legittimità, nella previsione dell’art. 659, comma 2, c.p., dal momento che nei chiostri – come l’esercizio commerciale del caso di specie - si esercita normalmente attività rumorosa deve bensì, a giudizio della Corte, applicarsi la previsione del primo comma del succitato articolo che punisce la condotta di chi mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici , essendo stato superato il valore massimo di rumore consentito in orario notturno per le zone prevalentemente residenziali quali quella ove è situato l’esercizio commerciale de qua . Dall’istruttoria dibattimentale, infatti, era emerso che la sorgente di rumore proveniente da ciascuna fonte, quindi anche dal chiostro della ricorrente, era in grado di determinare il superamento del valore di 45 decibel e che pertanto deve ritenersi superato il limite massimo di emissione per il comune . Né può ritenersi fondata, secondo i Giudici di Piazza Cavour, l’asserita mancanza dell’elemento soggettivo del reato contestato, avendo correttamente rilevato la corte di merito che si tratta di contravvenzione è punibile anche a titolo di colpa. Spetta dunque colui che esercita l’attività accertarsi del rispetto dei limiti imposti dalla legge e dai regolamenti, non potendosi riconoscere alcuna efficacia scusante all’assenza di volontà di recare disturbo. Per tali motivi, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso in esame.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 marzo – 23 settembre 2015, n. 38523 Presidente Fiala – Relatore Savino Ritenuto in fatto Con sentenza del Tribunale di Cagliari, emessa in data 29.12.2010, C.M.A. , unitamente ad altri imputati, è stata condannata alla pena di Euro 300,00 di ammenda ed al risarcimento del danno in favore delle parti civili da liquidarsi in separato giudizio, assegnando a ciascuna la somma di Euro 2.000 a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, nonché alla refusione delle spese di costituzione sostenute, in quanto dichiarata colpevole del reato di cui agli artt. 81, 659 c.p., perché, in qualità di titolare dell'esercizio commerciale OMISSIS , con sede in località , abusando di strumenti sonori la cui intensità superava i limiti previsti per il periodo notturno dal DPCM 14.11.1997, dalla L. n. 447/1995, nonché dalla delibera del commissario straordinario del comune di Cagliari, disturbava le occupazioni ed il riposo degli abitanti della case vicine. Proposto appello, la Corte di Appello di Cagliari, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti della C. per il reato ascrittole perché estinto per prescrizione, confermando le statuizioni civili. Avverso detta sentenza la C. ha proposto personalmente ricorso per Cassazione deducendo i seguenti motivi 1 Inosservanza ed erronea applicazione del DPCM del 14.11.97. Lamenta la ricorrente l'erronea individuazione della normativa applicabile in materia di immissioni acustiche. Secondo la predetta non deve tenersi conto, al contrario di ciò che è stato fatto per affermare la responsabilità dell'imputata, della delibera del commissario straordinario del comune di Cagliari n. 1232 del 18.5.94. Osserva in proposito che l'art. 8 del DPCM 14.11.97, emanato in attuazione della legge quadro 447 del 1995, prevedeva che, nell'attesa della predisposizione da parte dei Comuni degli adempimenti previsti dall'art. 6 co. 1 lett. a della legge quadro in materia di classificazione del territorio comunale, si applicassero i limiti di cui all'art. 6 DPCM 1.03.91. Al momento dell'accertamento dei fatti, il Comune di Cagliari non aveva ancora predisposto gli strumenti di classificazione territoriale imposti dalla normativa nazionale, ragione per cui dovevano applicarsi i limiti acustici indicati per tutto il territorio dal decreto del 1991 e doveva farsi riferimento ai limiti previsti per le zone miste , residenziali e commerciali, quale è il lungomare , dove, oltre alle abitazioni private, si trova una quantità infinita di locali commerciali stabilimenti balneari, chioschi bar, come quello della ricorrente, ristoranti, sale giochi età . Di conseguenza, i limiti massimi non potevano essere, come invece è stato fatto in occasione degli accertamenti fonometrici, parametrati sulla base dei criteri della delibera del commissario straordinario, bensì dovevano essere desunti dalle prescrizioni del DPCM 14.11.1991, che erano state rispettate. 2 Carenza di motivazione con riguardo al corretto inquadramento normativo della fattispecie concreta, al principio di specialità parziale ed alla depenalizzazione dell'art. 659 co. 2 c.p. Secondo la difesa deve applicarsi il combinato disposto dell'art. 8 del D.P.C.M. 14.11.97 e dell'art. 10 legge quadro 447 del 1995, che ha previsto nell'ipotesi di superamento dei valori limite di emissione di cui all'art. 2 comma 1 lett. e ed f fissati in conformità delle previsioni dell'art. 3 co. 1 lett. a , la sanzione amministrativa. Premesso che l'art. 10 cit. legge quadro n. 447 del 1995, sull'inquinamento acustico, punisce con sanzione amministrativa chiunque, nell'esercizio od impiego di una sorgente fissa o mobile di emissione rumorose, supera i valori di emissioni sonore di cui all'art. 2, comma 1 lett. e ed f fissati in conformità delle previsioni degli art. 3 co. 1 lett. a e l'art. 659 co 2 c.p. punisce chi esercita attività o mestiere rumoroso contro le disposizioni di legge o le prescrizioni delle autorità, data l'identità delle fattispecie considerate dalla norma del codice penale e quella sanzionata in via amministrativa peraltro di contenuto più ampio in quanto riferita a chiunque , la fattispecie di cui alla legge quadro, si presenta, almeno con riferimento al superamento delle prescrizioni di autorità, come disposizione speciale ai sensi degli artt. 9 L. 24.9.81 n. 689, che, in concorrenza con la norma penale regolatrice del medesimo fatto, prevale su questa e deve, quindi, essere applicata a preferenza di quella generale. In ragione del principio di specialità di cui al citato art. 9 L. 24.9.81 n. 689, ad avviso della difesa, l'art. 659 co. 2 c.p. deve ritenersi parzialmente depenalizzato limitatamente alla condotta costituita dal superamento dei limiti di rumorosità derivanti dall'esercizio di professioni o mestieri. A tale riguardo, precisa la ricorrente, che la condotta contestata deve inquadrarsi nella previsione del co. 2 dell'art. 659 c.p., non potendosi dubitare che si tratti di attività intrinsecamente rumorose per la parte riguardante la diffusione musicale autorizzata intrattenimenti musicali e danzanti autorizzati . Da ciò discende che, le condotte contestate al capo A non costituiscono reato perché depenalizzate e la ricorrente doveva essere assolta trattandosi di fatti sostanzialmente pacifici, l'assoluzione doveva prevalere sulla prescrizione ai sensi dell'art. 129 c.p.p 3 Illogicità della motivazione con riferimento alla classificazione territoriale operata dalla Corte di Appello nel ritenere la zona del di Cagliari come prevalentemente residenziale in base alle previsione del DPCM del 1997, in evidente contrasto con la pacifica destinazione anche commerciale-ricreativa dell'area, in virtù della quale la zona in esame deve essere classificata come zona mista e devono applicarsi i limiti di emissione previsti per le aree miste limiti, come è noto, più elevati. 4 Carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo. Secondo la sentenza impugnata, trattandosi di reato contravvenzionale punibile anche a titolo di colpa, sussiste l'elemento soggettivo del reato in quanto era onere dell'agente che esercita l'attività accertarsi dei limiti imposti da leggi e regolamenti . La difesa censura tale conclusione rilevando che si trattava di attività autorizzata e che, data la complessa sovrapposizione della normativa comunale adottata nel 1994 con quella statale sopravvenuta, era tutt'altro che facile anche per gli operatori del settore, individuare i limiti massimi e le prescrizioni in materia. 5 Omessa motivazione in ordine ai profili civilistici, ovvero riguardanti la sussistenza del danno e la sua quantificazione peraltro oggetto di ampia censura in appello. Ritenuto in diritto Il ricorso è inammissibile nella misura in cui ripropone pedissequamente censure già avanzate nell'atto di appello ed adeguatamente esaminate e confutate dalla Corte territoriale. Trattasi, peraltro, di doglianze che involgono valutazioni di merito sottratte, come è noto, al sindacato di legittimità se, come nel caso di specie, sorrette da logiche ed esaustive argomentazioni. Quanto al primo ed al terzo motivo, infatti, il giudice di appello ha rilevato che dall'istruttoria dibattimentale è emerso che la sorgente di rumore proveniente da ciascuna fonte, quindi anche dal chiostro OMISSIS , era in grado di determinare il superamento del valore di 45 decibel e che, anche ritenendo non più applicabile la delibera n. 1232/1994 a seguito dell'entrata in vigore del DPCM del 14/11/1997, comunque nel caso in esame deve ritenersi superato il limite massimo di emissione per il Comune di Cagliari. Come precisato dalla sentenza di appello, infatti, anche il citato decreto del 14/11/1997 prevede per le zone prevalentemente residenziali, quale quella in questione, inserite nella Classe II, un valore massimo di rumore notturno di 45 decibel quindi comunque inferiore a quello rilevato. Né, osserva la Corte di merito, può ritenersi che, anche con riferimento alla classificazione delle aeree la Delibera del Commissario di Cagliari sia stata superata. Ciò porta a ritenere del tutto infondato anche il secondo motivo relativo all'inquadramento giuridico della fattispecie in esame la stessa non rientra, come vorrebbe la difesa, nella previsione del co. 2 dell'art. 659 c.p. in quanto nei chiostri si esercita normalmente attività rumorosa bensì nella previsione del co. 1 essendo stato superato il valore massimo di rumore consentito in orario notturno per le zone prevalentemente residenziali quali quella ove è situato il chiostro OMISSIS . Quanto alla censura inerente l'asserita mancanza dell'elemento soggettivo del reato contestato, non sussiste invero alcun vizio di motivazione in quanto la Corte di Appello ha correttamente osservato che trattasi di contravvenzione punibile anche a titolo di colpa. Dunque è onere di colui che esercita l'attività accertarsi del rispetto dei limiti imposti dalla legge e dai regolamenti con la conseguenza che non è possibile riconoscere alcuna efficacia scusante alla mancata conoscenza della normativa in materia nonché all'assenza di qualsivoglia volontà di recare disturbo. Infine appare infondato anche il quinto ed ultimo motivo di ricorso. Come è noto, infatti, in tema di risarcimento del danno derivante da reato, non è necessaria, ai fini della liquidazione della provvisionale, la prova dell'ammontare del danno stesso, ma è sufficiente la certezza della sua sussistenza sino all'ammontare della somma liquidata Cass. Sez. IV n. 46728/2007 . Con riguardo poi al profilo della sussistenza del danno occorre rilevare che il giudice di seconde cure ha esaustivamente motivato in merito alla ritenuta sussistenza del reato di cui al co. 1 dell'art. 659. Di conseguenza, l'onere motivazionale deve ritenersi assolto anche con riguardo alla sussistenza del danno risarcibile innegabilmente connesso al disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone a seguito di inquinamento acustico. Tanto premesso il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre che della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.