Prendere parte a reati associativi non è inconciliabile con l’assenza di contestazioni per i reati-fine

In materia di reati associativi, il ruolo di partecipe anche in posizione gerarchicamente dominante ricoperto nella struttura organizzativa criminale non è di per sé sufficiente a far presumere, in forza di un inammissibile ed approssimativo criterio di semplificazione probatoria dell’accertamento della responsabilità concorsuale, che il soggetto che riveste tale ruolo sia automaticamente responsabile di ogni reato commesso da altri appartenenti al sodalizio, seppure riferibile all’organizzazione e inserito nel contesto del quadro criminoso.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 36909/15, depositata il 14 settembre. Il caso. Il Tribunale di Napoli respingeva l’istanza di riesame dell’ordinanza del Gip presso lo stesso Tribunale che aveva applicato nei confronti di una donna la custodia cautelare in carcere, per aver partecipato all’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti capeggiata dal marito, rivestendo ruoli di vertice, con compiti di gestione organizzativa e di direzione dei partecipanti in riferimento ai tempi, luoghi e modalità dell’attività di acquisto, trasporto, detenzione, importazione e immissione sul mercato italiano di droghe provenienti dalla Spagna e dall’Olanda. Sulla base di numerosi elementi la lunga latitanza della donna, la continuità dell’attività illecita, la gravità della condotta, l’assenza di altre fonti di reddito, la capacità della donna di continuare a gestire il traffico anche da un ambiente domiciliare , il Tribunale riteneva sussistenti il pericolo di fuga e la reiterazione del reato, tali da giustificare l’applicazione della custodia cautelare in carcere. La donna ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale. Il ruolo di partecipe. Secondo la S.C., è priva di fondamento logico-giuridico la tesi difensiva secondo cui la contestazione per il reato di cui all’art. 74, d.P.R n. 309/90 Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope sarebbe logicamente inconciliabile con la mancanza di contestazioni per i reati – fine, anche quando il ruolo rivestito sia apicale. A tal proposito, la S.C. ribadisce il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui, in materia di reati associativi, il ruolo di partecipe anche in posizione gerarchicamente dominante ricoperto nella struttura organizzativa criminale non è di per sé sufficiente a far presumere, in forza di un inammissibile ed approssimativo criterio di semplificazione probatoria dell’accertamento della responsabilità concorsuale, che il soggetto che riveste tale ruolo sia automaticamente responsabile di ogni reato commesso da altri appartenenti al sodalizio, seppure riferibile all’organizzazione inserito nel contesto del quadro criminoso. Infatti dei delitti – fine afferma il Collegio, rispondono unicamente coloro che materialmente o moralmente hanno fornito un effettivo contributo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all’attuazione della singola condotta delittuosa, alla stregua dei comuni principi in tema di concorso di persone del reato, essendo teoricamente esclusa dall’ordinamento vigente la configurazione di qualsiasi forma di anomala responsabilità di posizione” o da riscontro d’ambiente”, con la quale si pretende di riferire all’associato il reato fine che si ha prova di collegare all’associazione, siccome compreso nel programma generico dell’organizzazione Cass., n. 24919/14 . Esigenze cautelari. In ordine alle esigenze cautelari, i giudici di legittimità rammentano che il concreto pericolo di fuga si può ricavare anche dal pregresso stato di latitanza, certamente indicativo di una violazione della legge e rivelatore di una tendenza in ogni caso volta a intralciare l’esecuzione di un provvedimento restrittivo della libertà personale, e la sua attualità non viene automaticamente esclusa dal mero fatto che la cessazione della latitanza sia occorsa per la costituzione spontanea della persona imputata. Per tali motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 dicembre 2014 – 14 settembre 2015, n. 36909 Presidente Teresi – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1.La sig.ra I. M. ricorre per la cassazione dell'ordinanza dei 29/07/2014 con la quale il Tribunale di Napoli ha respinto l'istanza di riesame dell'ordinanza del 28/06/2013 del Giudice per le indagini preliminari di quello stesso Tribunale che aveva applicato, nei suoi confronti, la misura coercitiva personale della custodia cautelare in carcere per il reato di cui all'art. 74, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Si contesta alla ricorrente di aver preso parte all'associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti capeggiata dal marito, V.S., rivestendo ruoli di vertice, con compiti di gestione organizzativa e direttiva dei partecipi in relazione a tempi, luoghi, e modalità dell'attività di acquisto, trasporto, detenzione, importazione e collocazione sul mercato italiano di sostanze stupefacenti provenienti dalla Spagna e dall'Olanda. L'accusa trova provvisorio fondamento, secondo i giudici della cautela a nelle numerose conversazioni telefoniche ed ambientali intercorse tra alcuni associati che nel commentare le vicende interne al sodalizio e nel far riferimento al potere di condizionamento della donna nei confronti dei marito ed alle condotte dalla stessa tenuta, si esprimono in termini tali da non poter essere equivocati b in conversazioni telefoniche intercorse tra la M. ed il marito c nella conversazione intercorsa con il sodale D.C.F. arrestato il 31 maggio 2012 mentre trasportava 11 chili di cocaina , incaricato di andarla a prelevare all'aeroporto di Capodichino d nella consegna a sue mani, da parte del D.C., di 400.000 euro, provento dell'illecito traffico. II Tribunale del riesame ha così ritenuto di poter superare la tesi difensiva secondo la quale la donna era legata da mero rapporto di coniugio con il capo indiscusso dell'associazione che, peraltro, in sede di interrogatorio del 14/03/2014, aveva reso ampia confessione circa il proprio ruolo, la rete di fornitori e collaboratori, ed aveva anche riferito sulle istanze rivendicative dei nipote, S. F., che voleva sostituirlo nel ruolo di comando. Proprio questi, infatti, conversando con alcuni sodali, si era lamentato del fatto che lo zio e la moglie lo avessero escluso dalla spartizione dei proventi, che la M. aveva rimbambito il marito, che questi proteggeva lei ed il figlio dal coinvolgimento diretto nei compiti più rischiosi, che la donna stava in mezzo a tutti i discorsi . Il Tribunale ha individuato nel pericolo di fuga ed in quello di reiterazione del reato le esigenze cautelari fronteggiabili con la sola custodia cautelare in carcere ed ha a tal fine valorizzato a la lunga latitanza della ricorrente, che poteva evidentemente contare su mezzi economici notevoli per poterla affrontare b la continuità dell'attività illecita, sintomo di dedizione al traffico di sostanze stupefacenti c l'intrinseca gravità della condotta, volta a soddisfare una vasta platea di consumatori d l'assenza di altre fonti di reddito e la capacità della donna di continuare a gestire il traffico anche da un ambiente domiciliare. Si tratta di elementi la cui portata evocativa delle esigenze cautelari non è contraddetta dalla nuova ordinanza cautelare emessa dal GIP nel maggio 2014 che non contemplava tra gli indagati l'odierna ricorrente. Ciò perché si tratta di fatti diversi e relativi a periodi successivi. 1.1. La ricorrente lamenta che il Tribunale del riesame non ha nemmeno fatto cenno al fatto che era stata lei stessa a preannunciare al pubblico ministero il rientro dalla latitanza, circostanza questa che dimostra la carenza di motivazione in ordine al ritenuto pericolo di fuga. 1.2.A ciò si aggiunga che dopo l'emissione dell'ordinanza cautelare del 01/07/2013, la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, ad integrazione e sviluppo delle precedenti, aveva proseguito le indagini accertando che S. V. ed altri accoliti avevano perseverato nell'attività illecita, persino dopo l'arresto di quest'ultimo occorso nel settembre 2013 che, ciò nonostante, aveva continuato a dirigere dal carcere l'intero gruppo, avvalendosi dell'ausilio del figlio B Per tali fatti era stata chiesta ed ottenuta nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP il 10 maggio 2014, che non ha affatto riguardato la ricorrente 1.3.Sotto altro profilo eccepisce, nel merito, la contraddittorietà dell'impostazione accusatoria secondo la quale, benché le si contestasse un ruolo apicale in virtù del quale le erano stati addebitati, a livello associativo, l'importazione dalla Spagna e dall'Olanda, il trasporto, la raffinazione, la detenzione e la cessione di sostanze stupefacenti, non le è mai stata contestata, nemmeno a titolo di concorso, la effettiva consumazione di alcun reato-fine tra quelli oggetto del sodalizio. 1.4. L'accusa, prosegue, si alimenta di malevoli commenti dei parenti di V.S. il cui senso è stato travisato dal Tribunale. Considerato in diritto 2. II ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato. 3. La tesi difensiva secondo la quale la M. non aveva mai fornito alcun concreto contributo al sodalizio capeggiato dal marito prescinde completamente dagli specifici e ben più ampi e articolati argomenti utilizzati dal Tribunale per affermare il contrario e si affida a considerazioni del tutto generiche che si fondano, a loro volta, su una valutazione parziale degli indizi di colpevolezza elencati nell'ordinanza. La ricorrente, inoltre, ipotizza letture alternative e disorganiche di alcune conversazioni intercettate, avulse dalla più ampia trama argomentativa in cui il Tribunale le colloca e inammissibilmente sottoposte all'esame diretto di questa Corte. Al riguardo va ricordato che in sede di legittimità è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, Napoleoni, Rv. 259516 Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Asaro, Rv. 252190 Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, Donno, Rv. 237994 . Non ha alcun fondamento logico e giuridico l'argomento difensivo secondo il quale la contestazione per il reato di cui all'art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, sarebbe logicamente inconciliabile con l'assenza di contestazioni per i reati-fine, anche quando il ruolo ricoperto sia di vertice. Costituisce infatti principio consolidato di questa Suprema Corte che, in materia di reati associativi, il ruolo di partecipe - anche in posizione gerarchicamente dominante - da taluno rivestito nell'ambito della struttura organizzativa criminale non è di per sé solo sufficiente a far presumere, in forza di un inammissibile ed approssimativo criterio di semplificazione probatoria dell'accertamento della responsabilità concorsuale, quel soggetto automaticamente responsabile di ogni delitto compiuto da altri appartenenti al sodalizio, sia pure riferibile all'organizzazione e inserito nel quadro del programma criminoso dei delitti fine rispondono soltanto coloro che materialmente o moralmente hanno dato un effettivo contributo, causalmente rilevante, volontario e consapevole all'attuazione della singola condotta delittuosa, alla stregua dei comuni principi in tema di concorso di persone nel reato, essendo teoricamente esclusa dall'ordinamento vigente la configurazione di qualsiasi forma di anomala responsabilità di posizione o da riscontro d'ambiente , con la quale si pretende di riferire all'associato il reato fine che si ha prova di collegare all'associazione, siccome compreso nel programma generico dell'organizzazione così Sez. 1, n, 1988 del 22/12/1997, Nikolic, Rv. 209846 per una più recente affermazione sul punto, cfr. Sez. 1, n. 24919 del 23/04/2014, Attanasio, Rv. 262305 . 4.Quanto alle esigenze cautelare, la censura secondo la quale il Tribunale non avrebbe adeguatamente valutato la portata della nuova ordinanza cautelare emessa dal G.i.p. il 10 maggio 2014 nei confronti del solo marito e del figlio si fonda su considerazioni del tutto fattuali volte a superare l'affermazione per la quale tale ordinanza riguarda fatti diversi e successivi a quelli per i quali la ricorrente era stata ristretta in carcere. Tale censura, peraltro, prescinde completamente dagli specifici ed assorbenti argomenti utilizzati dal Tribunale per sottolineare la capacità della donna di beneficiare di ampie risorse economiche e di una vasta rete di protezioni estere per poter affrontare una lunga latitanza e dunque avvalorare la attualità e concretezza del pericolo di fuga. Al riguardo occorre ricordare che il concreto pericolo di fuga può essere desunto anche dal pregresso stato di latitanza, indubbiamente sintomatico di una disobbedienza alla legge e rivelatore di una tendenza comunque ostruzionistica all'esecuzione di un provvedimento restrittivo della libertà personale, e la sua attualità non è automaticamente esclusa dal sol fatto che la cessazione della latitanza sia intervenuta per la volontaria costituzione della persona sottoposta alle indagini o imputata cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 2736 del 16/07/1996, Cusani, Rv. 205862 . 5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del corrente C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186 , l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 1000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. La Corte inoltre dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell'Istituto Penitenziario competente a norma dell'art. 94, comma I ter, Disp. Att. c.p.p.