L’avvocato non munito di procura speciale può rinunciare validamente all’impugnazione da lui autonomamente proposta?

Questa è la questione di diritto che la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, avendo rilevato la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale in materia, ha rimesso alle Sezioni Unite per la decisione.

Il caso. Il Tribunale di Catania dichiarava inammissibile la richiesta di riesame proposta dal difensore di C.M. avverso l’ordinanza con cui il GIP aveva disposto la custodia cautelare in carcere di quest’ultimo, per avere lo stesso difensore rinunziato al ricorso cautelare. In particolare, la dichiarazione di rinuncia veniva formulata dal legale direttamente all’udienza, in assenza dell’indagato. Avverso tale decisione il nuovo difensore di C.M. ricorreva per Cassazione, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata, eccependo che il precedente difensore, essendo privo di procura speciale, non avrebbe potuto legittimamente ed efficacemente rinunciare al ricorso per conto dell’indagato non presente all’udienza. La Prima Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, rilevata la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla questione di diritto posta a fondamento dell’impugnazione, decideva di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, affinché si pronuncino sulla seguente questione di diritto se il difensore non munito di procura speciale possa rinunciare validamente all’impugnazione da lui autonomamente proposta . L’orientamento prevalente degli ultimi anni. L’orientamento giurisprudenziale assolutamente maggioritario degli ultimi venti anni è stato quello secondo il quale il difensore non è legittimato a rinunciare all’impugnazione a meno che non agisca quale procuratore speciale. In particolare, sulla scorta di tale indirizzo interpretativo, la rinuncia all’impugnazione è un atto processuale a carattere formale, che consiste in una dichiarazione abdicativa, irrevocabile e recettizia, da cui discende l’effetto della inammissibilità dell’impugnazione l’atto, non costituendo l’espressione dell’esercizio del diritto di difesa, richiede la manifestazione in equivoca della volontà dell’interessato, espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale. In effetti, nel suddetto arco temporale, si inserisce un’unica sentenza di segno contrario – rimasta assolutamente isolata – secondo cui il ruolo partecipativo e non di mera assistenza attribuito nel nuovo processo penale alla difesa tecnica conduce a ritenere che il difensore sia legittimato a rinunciare validamente all’impugnazione da lui stesso autonomamente proposta nell’interesse dell’imputato Sez. VI, ud. 8/6/1992, n. 2115, ric. Di Vito . Il recente contrasto giurisprudenziale. Di recente, in due differenti pronunce, la Suprema Corte ha ripreso e riaffermato il principio di diritto della suddetta sentenza Di Vito del 1992 che, fino ad oggi, era invece rimasta priva di seguito giurisprudenziale. In particolare, i Supremi Giudici Sez. I, ud. 18/6/2014, n. 48289, ric. Tiberia Sez. I, ud. 1/10/2014, n. 49231, ric. Lushi hanno esplicitamente contrastato l’orientamento dominante, richiamando appunto la sentenza di oltre venti anni addietro, ed affermando come il difensore di fiducia è legittimato a rinunciare validamente, ai sensi dell’art. 589, comma 2, c.p.p., all’impugnazione da lui autonomamente proposta nell’interesse del condannato o dell’imputato, senza necessità di munirsi di apposita procura speciale rilasciata dal suo assistito. Secondo la Corte Regolatrice, infatti, l’orientamento maggioritario non si confronta adeguatamente con la titolarità del diritto autonomo di impugnazione, che è espressamente riconosciuto al difensore dell’imputato dall’art. 571, comma 3, c.p.p. e che implica l’esercizio di un potere dispositivo sulle sorti del processo in grado di produrre effetti sostanziali di natura anche pregiudizievole per il rappresentato. Fermo restando, continuano i Supremi Giudici, che il difensore, in ossequio ai suoi doveri deontologici, è tenuto a fare sempre gli interessi del proprio assistito e ad informarlo di tutto ciò che rilevi per la sia difesa, donde non è immaginabile che una decisione così importante quale la rinuncia all’impugnazione proposta sia assunta senza che sia stata preventivamente concordata con l’assistito e/o per motivi diversi dallo specifico interesse del medesimo – quantomeno in assenza di elementi da cui desumere, anche implicitamente, l’esistenza di una volontà contraria della parte rappresentata. Successivamente, invece, altra Sezione Sez. II, ud. 5/12/2014, n. 5378, ric. Preiti e altro – riprendendo l’orientamento rimasto maggioritario per oltre venti anni – ha riaffermato che è inefficace l’atto di rinuncia all’impugnazione non sottoscritto dall’indagato ma dal solo difensore non munito di procura speciale in quanto, non costituendo espressione dell’esercizio del diritto di difesa, richiede la manifestazione in equivoca della volontà dell’interessato, espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale. Sulla scorta di tutto quanto sopra, la necessità di un intervento delle Sezioni Unite.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 5 giugno – 8 settembre 2015, n. 36212 Presidente Chieffi – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto Con sentenza in data 28/2/14 la Corte di Appello di Milano riformava parzialmente. Nei confronti di GINO Angelo la sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale del luogo, in data 4/4/11, con la quale l'imputato era stato dichiarato responsabile del reato di bancarotta fraudolenta preferenziale ascrittogli ai sensi degli artt. 81 cpv. - 223, in relazione all'articolo 216 L.F. per avere - nella qualità di presidente del Consiglio di Amministrazione della società DIGICAD s.r.l., della quale era stato dichiarato il fallimento con sentenza in data 9.11.2006 del Tribunale di Milano - eseguito pagamenti in via preferenziale rispetto alla massa dei creditori come specificato in rubrica pagamenti eseguiti nei mesi di luglio, agosto, settembre, novembre e dicembre del 2005, in favore di istituti di credito - fatto acc.in data OMISSIS . Per tale reato il primo giudice aveva inflitto la pena di anni uno di reclusione, tenuto conto della diminuente del rito abbreviato. Inoltre l'imputato era stato condannato al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile - Fallimento DIGICAD s.r.l. - in persona del procuratore Avv. C.G. da liquidarsi in separata sede, con assegnazione di provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 50.000, 00. La Corte territoriale riduceva la pena, con concessione delle attenuanti generiche, ritenute equivalenti all'aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta, rideterminandola in mesi dieci di reclusione, e concedeva all'imputato il beneficio della non menzione della condanna, confermando le ulteriori disposizioni. Nella specie, secondo quanto è dato desumere dal testo del provvedimento le condotte addebitate all'imputato erano costituite dall'avere eseguito pagamenti nell'anno precedente alla dichiarazione di fallimento, a favore di due creditori - la Autodesk s.p.a. per l'ammontare di Euro 195.895,19- E a favore della Techdata Italia s.r.l. - per complessivi Euro 26.009,6 2 -in violazione della par condicio creditorum, atteso che tali condotte avevano pregiudicato, il soddisfacimento delle ragioni dei creditori insinuati al passivo fallimentare - la CIGRAF Tranding s.r.l. avente credito di Euro 71.389,30 e la CIGRAF Service s.r.l. che vantava un credito di Euro 3.375,56 , nonché il credito vantato dall'Erario per l'IVA di Euro 23.401,08, che ammontava a complessivi Euro 47.128,75 all'epoca del procedimento de quo- ”. La società fallita era stata istituita nel 1996 ed era amministrata da due soci G.A. e B.C. titolari ciascuno di quota al 50% del capitale e l'amministrazione non era mutata fino alla data della messa in liquidazione, restando il G. titolare di pieni poteri – tale ditta aveva ad oggetto la attività di assistenza per macchine da ufficio, compresi i computers e la formazione del personale delle aziende. L'imputato aveva consegnato, all'atto della dichiarazione di fallimento tutta la documentazione contabile, che risultava tenuta regolarmente, al curatore, a cui aveva anche reso informazioni con una relazione scritta. Era stato evidenziato che nel 1997 era stato stipulato dalla società un accordo commerciale con la ditta CIGRAPH Trading, per la promozione e vendita di prodotti di tale ultima ditta alla clientela, e nel 2004 la predetta società aveva con missiva comunicato di aver cambiato le condizioni di vendita sino ad allora osservate. Ne era derivata una contestazione da parte della società fallita, che aveva subito un crollo delle vendite. Nel contenzioso instauratosi la ditta CIGRAPH aveva ottenuto, in data 16.11.2006, l'emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti della Digicad s.r.l Il curatore, sentito dal giudice aveva precisato che non erano in corso cause, dato che il fallimento non aveva previsto l'esito positivo per la controversia anzidetta. Il curatore aveva precisato che all'epoca in cui la società fallita era in liquidazione già risultava un passivo di Euro 106.170,00 - con perdita del capitale sociale maturata nel 2004 – la società fallita era stata messa in liquidazione in data 7.6.2005. - Risultava altresì che era stata creata nel 2005 altra società - Digicad Solution s.r.l. avente sede contigua a quella messa in liquidazione, e amministrata da B.A. sorella di B.C. . La Corte evidenziava che vi era una sorta di continuità negli interessi della fallita che nel giugno 2005 non risultava operativa, ed aveva provveduto al pagamento dei debiti verso le due società Autodesk spa. e Techdata Italia srl. v. fl. 6 - 7 sentenza . Si evidenziava inoltre che - nel 2007 - la nuova società Digicad Solution srl. aveva ceduto il ramo di azienda per il valore di Euro 100.000,00 - comprensivo dei rapporti di fornitura con la AUTODESK, dal contratto di locazione e altri beni, nonché di parte della clientela della fallita alla ONE TEAM s.r.l., che faceva capo ai soci G.A. e B.C. . - La Corte di Appello aveva evidenziato che la successione degli avvenimenti che caratterizzano la società fallita induceva a ritenere che vi erano stati pagamenti preferenziali a favore dei suddetti creditori, da parte dell'imputato, con la consapevolezza di ledere la par condicio creditorum , allorché si era già verificata la situazione di dissesto. v. fl. 7 della sentenza . Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo 1- intervenuta estinzione del reato , per decorrenza del termine di prescrizione. Sul punto il ricorrente evidenziava che i fatti risalgono al 9.11.2006 al momento della dichiarazione di fallimento della società amministrata dall'imputato -Osserva in tal senso che il termine di prescrizione era maturato alla data del 9 maggio 2014, tenuto conto dell'articolo 157 CP e del decorso di anni 7 e mesi 6. 2- erronea applicazione della legge penale , in relazione agli artt. 223 e 216 co. 3 R.D.16.3.1942 n. 267 - per mancanza dell'elemento oggettivo del reato contestato. Rilevava altresì vizi della motivazione, che riteneva illogica e contraddittoria, e la mancata valutazione di prove documentali. La difesa censurava in primo luogo la motivazione, in quanto redatta in sintonia con quella del primo giudice, e la valutazione erronea della condotta dell'imputato, essendo carente la prova della violazione della par condicio creditorum, evidenziando a sostegno del gravame, che il ricorrente si era limitato a liquidare l'azienda in base alle disposizioni normative, e che aveva amministrato la ditta in modo corretto d'altra parte rilevava che la curatela aveva dato atto della consegna al curatore di tutta la documentazione contabile, che era regolare, mentre non erano emersi fatti di distrazione, occultamento o dissipazione dei beni sociali. - Infine rilevava che l'imputato non aveva eseguito il pagamento a favore della Cigraph srl. solo perché vi era pendente un contenzioso civile nei confronti di tale ditta. La difesa si soffermava nella descrizione dei rapporti tra la fallita e la predetta società fl. 9-10-11 precisando che quest'ultima aveva modificato il rapporto commerciale instaurato in precedenza addebitando, un comportamento di concorrenza sleale alla Digicad s.r.l. alla creditrice - dal quale era derivato un crollo nelle vendite della società amministrata dall'imputato. A tanto aveva fatto seguito la richiesta avanzata dalla Cigraph al Tribunale di Venezia per l'emissione del decreto ingiuntivo nei confronti della Digicad srl. per ottenere i pagamenti delle forniture, che la ditta non aveva potuto onorare e il fallimento. In base a tali rilievi la difesa evidenziava che la società fallita non aveva ritenuto di dover eseguire il pagamento a favore della predetta creditrice, solo perché riteneva di poter dimostrare nel procedimento pendente innanzi al Tribunale di Venezia, il danno subito a causa del comportamento assunto dalla Cigraph srl. fl. 15 del ricorso . Il ricorrente rilevava che la tesi difensiva trovava riscontri sia nella documentazione esibita in giudizio che dalle dichiarazioni del curatore del fallimento Dott. L. . Gli altri crediti quello vantato dall'Erario e quello vantato dalla Volkswagen leasing non erano esigibili all'atto del fallimento. Infine la difesa rilevava che la Corte territoriale aveva omesso di considerare che al momento dei pagamenti eseguiti a favore delle società Autodesk Spa. e Techdata Italia srl. la società non era in stato di dissesto. fl. 16 del ricorso tale situazione sarebbe stata avvalorata dalle dichiarazioni del curatore secondo cui era stato versato denaro dai soci per pagare i creditori ed i predetti soci avevano rinunciato al finanziamento soci iscritto per Euro 94.000, 00 nel bilancio . Da ultimo la difesa osservava che la disposizione dell'articolo 216 comma terzo LF. Era contrapposta alla ipotesi della revocatoria fallimentare, prevista dall'articolo 67 LF., essendo le due norme relative al medesimo comportamento dell'imprenditore. A riguardo evidenziava che i pagamenti eseguiti esulavano dal quadro normativo dell'articolo 67 citato, in quanto avevano attinenza a crediti liquidi ed esigibili della due società innanzi menzionate, che erano stati estinti un anno prima della dichiarazione di fallimento. D'altro canto non era stato dimostrato che i creditori fossero a conoscenza dello stato di insolvenza della ditta. 3- carenza ed illogicità della motivazione , rilevando sul punto che erroneamente era stato considerato il rapporto di continuità tra la ditta fallita e la nuova società Digicad Solution srl., atteso che tra le due società non vi sarebbe stato alcun legame, secondo quanto dichiarato dal curatore al quale non risultava che la ditta fallita avesse venduto beni o attrezzature. Unico rapporto esistente era costituito da quello che aveva l'imputato, il quale aveva assunto la qualifica di dipendente della nuova ditta. - Quanto al rapporto di debito verso la CIGRAPH srl. la difesa evidenziava che come affermato dal curatore, l'imputato aveva offerto alla predetta società un pagamento di Euro 60.000,00 , e da ciò desumeva che l'imputato aveva agito in assenza di dolo, teso a pregiudicare il diritto dei creditori - come confermato dalla circostanza che i soci della fallita avevano deciso di finanziare l'azienda con versamento di denaro proprio, e rinunciando al finanziamento per i soci di Euro 94.000. Per tali rilievi si ribadiva la censura di illogicità della motivazione, ritenendo insussistente la responsabilità dell'imputato per il delitto di bancarotta fraudolenta preferenziale. Rileva in diritto Il ricorso risulta inammissibile. In primo luogo è manifestamente infondato il motivo inerente al decorso del termine di prescrizione, pari ad anni sette e mesi sei, non essendo tale termine decorso alla data della sentenza di appello. Deve inoltre evidenziarsi che, secondo quanto è dato desumere dal testo del provvedimento impugnatola Corte territoriale ha disatteso con congrua e specifica motivazione le istanze avanzate dalla difesa tendenti a negare il fondamento dell'accusa, ponendo in luce che ai fini della contestazione non rilevava la natura dei rapporti contrattuali intercorsi tra la società fallita e le altre, da cui era derivata la procedura fallimentare, bensì la valutazione della condotta della fallita, che nell'anno precedente alla dichiarazione di fallimento, pacificamente aveva effettuato dei pagamenti a due creditori chirografari, quando già era maturato un certo credito dell'Erario creditore privilegiato e vi erano altri creditori insoddisfatti. La prova del fatto contestato si evince agevolmente dalle risultanze menzionate specificamente in sentenza, non smentite dalla difesa appellante si specificava - sul punto - che i crediti soddisfatti in via preferenziale erano stati saldati nel periodo tra luglio 2005 e dicembre 2005, e pertanto i pagamenti risultano avvenuti allorché la società era stata posta in liquidazione, ed era evidente lo stato di crisi economica, ed era maturato un credito per IVA riconosciuto dal giudice civile. D'altra parte risulta disattesa con logiche argomentazioni la tesi difensiva che sosteneva il mancato accertamento dello stato di insolvenza. Infine risulta specificamente motivata l'esistenza dell'elemento psicologico del reato, individuato nel dolo specifico, ovvero nella consapevolezza e volontà di privilegiare il soddisfacimento delle ragioni di alcuni creditori a svantaggio della massa passiva, evidenziando che il pagamento preferenziale si era verificato subito dopo la messa in liquidazione della impresa fallita, e tale condotta non risultava riconducibile al risanamento dell'azienda. La valutazione dell'elemento psicologico del reato è conforme al dettato giurisprudenziale di questa Corte v. Cass. Sez. V, n. 673 del 10.1.2014 - RV257963 - secondo cui l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale è costituito dal dolo specifico, ravvisabile quando l'atteggiamento psicologico del soggetto agente sia rivolto a preferire intenzionalmente un creditore, con concomitante riflesso, anche secondo lo schema tipico del dolo eventuale, nel pregiudizio per gli altri- . Sulla base di tali elementi, desunti da quanto accertato dalla curatela fallimentare, restano del tutto ininfluenti i riferimenti fatti dal ricorrente alla evoluzione dei rapporti contrattuali con le altre società, e deve ritenersi manifestamente infondata la censura di carenza, o illogicità della motivazione, al pari di quella inerente alla erronea applicazione della legge penale. Infine si rileva che le deduzioni inerenti alla condotta tenuta dall'imputato nei confronti della creditrice menzionata nell'ultimo motivo di ricorso sono ininfluenti e inammissibili in quanto tendono alla diversa valutazione dell'elemento psicologico del reato, già congruamente valutato dal giudice di merito, e non valgono a smentire l'oggettività dell'assunto accusatorio. In conclusione si evidenzia che la sentenza impugnata risulta del tutto esaustiva e coerente con le risultanze processuali, onde non si evidenziano profili di sostanziale carenza o manifesta illogicità dell'iter logico seguito dal giudice di merito nella decisione. Deve pertanto essere dichiarata l'inammissibilità del ricorso, per manifesta infondatezza. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende.