La valutazione frazionata dei “pentiti”: è possibile?

La valutazione frazionata della attendibilità delle dichiarazioni di un collaboratore che proceda alla c.d. chiamata in reità” è possibile, a condizione che le dichiarazioni giudicate inattendibili non siano anche false. In questo caso la credibilità soggettiva generale del propalante va esclusa a meno che le dichiarazioni mendaci non riguardino altro soggetto o altro reato. In tale ipotesi deve esistere una provata ragione che abbia spinto il collaboratore a mentire e l’onere motivazionale del giudice sarà rafforzato sul punto dell’attendibilità del dichiarante.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, con la sentenza n. 36255 depositata l’8 settembre 2015. Quando il collaboratore non dice la verità. Quello del pentitismo”, e dei correlati problemi processuali che ne derivano, è un fenomeno costantemente all’attenzione delle Corti. Non c’è processo alla criminalità organizzata, e ai gravi reati che sono figli dell’ambiente criminale ove essa ha operato, che non veda figurare, tra il materiale probatorio, le dichiarazioni dei c.d. collaboratori”. Spesso sono decisive perché contengono ragguagli così precisi sulle varie azioni criminose, che nemmeno le più sofisticate indagini potrebbero mai conquistare. A volte sono invece fuorvianti, perché il pentito” – non va affatto sottaciuto – non è certamente un testimone disinteressato, avendo militato nel mondo della criminalità, e nell’accusare sé o altri di un certo misfatto può veicolare nel processo informazioni di dubbia credibilità – perché di seconda mano”, cioè ascoltate da altri soggetti interni alla criminalità o da altri collaboratori – ovvero può mentire consapevolmente e per le più imponderabili ragioni. Nella vicenda che ci occupa, la sentenza di un processo per due omicidi, ricostruito con l’apporto determinante di un nutrito numero di collaboratori di giustizia gravitanti nella malavita calabrese, subiva un annullamento con rinvio per carenza di motivazione su alcuni punti decisivi. Altra sezione della Corte territoriale, in sede di rinvio, confermava il precedente verdetto e la vicenda veniva portata nuovamente all’attenzione della Suprema Corte. Una premessa è d’obbligo i poteri del giudice di rinvio. Prima di affrontare l’argomento centrale – ossia il tema della valutazione delle dichiarazioni dei pentiti – la Cassazione spende qualche considerazione sul tema del giudizio di rinvio. E sui doveri del giudice che deve celebrarlo. Se l’annullamento che ha giustificato un nuovo vaglio di merito è dovuto a vizio di motivazione sul fatto – osservano gli Ermellini – il giudice di rinvio mantiene, nell’ambito del capo colpito dall’annullamento, piena autonomia di giudizio nella ricostruzione del fatto e nella valutazione delle prove . Può, quindi, colmare i vuoti della motivazione viziata anche utilizzando elementi di prova prima ignorati. L’unica cosa che il giudice non deve fare è imbastire la motivazione della propria sentenza sulla scorta degli argomenti ritenuti illogici con la decisione di annullamento, nella quale, dicono giustamente i Supremi Giudici, non si possono enunciare alcun principio o punto di vista o diversa lettura dei dati processuale o diversa valutazione dei fatti . Concordiamo pienamente con queste conclusioni, non foss’altro perché – a ben vedere – l’annullamento per vizio di motivazione implica la presenza di un ragionamento non rispondente alle regole della logica nulla vieta che, facendo buon uso delle stesse e spiegando efficacemente il proprio convincimento, il giudice di rinvio possa pervenire anche alle medesime conclusioni annullate”. Altra cosa è, invece, il caso di annullamento per carenza di motivazione. In questa ipotesi da piazza Cavour precisano che il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di determinare il proprio convincimento di merito, è tenuto a giustificarlo secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento . Qui, infatti, il problema a monte” è ben diverso dal caso in cui la motivazione sia viziata. Nel caso di sua carenza, infatti, essa è debole, a tratti quasi mancante. Ecco perché – richiamandosi ad un precedente del 2013 – la Suprema Corte ribadisce la necessità che il giudice di rinvio segua lo schema tracciato in sede di annullamento, ove le lacune della motivazione del primo giudizio sono emerse in tutta la loro consistenza. La regola della valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie. Fatta la premessa sul giudizio di rinvio, la Corte entra nell’argomento più caldo” della decisione oggetto di analisi. A quali condizioni si possono spezzettare” le dichiarazioni di un collaboratore per giudicarne attendibili alcune e menzognere altre? Intanto occorre valutare la credibilità soggettiva del dichiarante, che è il primo passaggio del c.d. metodo a tre tempi ormai consacrato dalla giurisprudenza di legittimità. Vanno valutate, nell’ordine la credibilità, la coerenza intrinseca delle dichiarazioni e, infine, i riscontri. Fatto ciò, e ritenuto che il dichiarante non sia un fan di Pinocchio, si può anche procedere ad una valutazione frazionata delle sue dichiarazioni secondo i rigorosi criteri forniti dalla Suprema Corte che, sul punto, ha un orientamento piuttosto consolidato. La regola, dicono gli Ermellini, è quella di ritenere possibile un giudizio di attendibilità soltanto di una parte delle propalazioni, il resto delle quali, per esempio, potrebbe essere privo di riscontri individualizzanti. La questione, però, si complica se dovesse accertarsi che il pentito abbia detto colossali bugie in questo caso, osserva la Suprema Corte, viene messa in crisi la stessa credibilità soggettiva del dichiarante, tranne che non vi sia una qualche ragione specifica che possa giustificare il mendacio. E’ un principio, quest’ultimo, ricorrente in diverse pronunce anche recenti 2013 . Cambiano anche i doveri del giudice di merito, il quale dovrà rafforzare particolarmente la motivazione sulla credibilità soggettiva del dichiarante. L’eccezione alla regola i casi nei quali non si possono spezzettare” le dichiarazioni. In due casi, sostengono i Giudici di legittimità, non si deve e non si può procedere ad una valutazione frazionata delle propalazioni di un collaboratore quando esse vanno utilizzate per giudicare il soggetto falsamente accusato, ovvero per valutare il fatto in esse narrato. Anche questo passaggio della motivazione è, se ci pensiamo bene, geniale il dichiarante parzialmente bugiardo può essere salvato” in extremis, ma le parziali o totali bugie non si possono usare per giudicare i soggetti o i fatti con esse descritti. E’ una regola di giudizio preziosissima, perché tronca di netto la possibilità che un giudizio di colpevolezza possa essere fondato su un mare di corbellerie. E’ un principio che andrà ad aggiornare quelli definiti di civilità giuridica”, perché sotto l’apparenza di un vincolo, nemmeno troppo rigido, al libero convincimento del giudice costituisce in realtà uno schermo a tutela della certezza della prova. Oltre ogni ragionevole dubbio.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 luglio – 8 settembre 2015, n. 36225 Presidente Marasca – Relatore Lignola Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 12 maggio 2011, confermata in appello il 5 giugno 2012, la Corte di Assise di Catanzaro condannava Ma.An. e Ma.Sa. alla pena dell'ergastolo per il reato di omicidio volontario pluriaggravato di G.G. capo 46 dell'originaria rubrica e dei connessi reati di porto e detenzione d'arma comune da sparo capo 47 la Corte assolveva M.F. e V.F. dall'accusa di omicidio pluriaggravato di C.L. capo 44 e dei connessi reati in materia di armi capo 45 dell'originaria rubrica . 2. A seguito di ricorso, la Prima Sezione di questa Corte, con sentenza 3751 del 2014, annullava con rinvio per nuovo giudizio entrambi i capi della decisione, riscontrando una serie di vizi motivazionali, come denunciati dalle parti. 2.1 L'omicidio G. era stato accertato come avvenuto tra le 15.00 e le 15.30 del OMISSIS , nei pressi della località OMISSIS , in agro del comune di , sulla base delle dichiarazioni del collaboratore A.S. , riscontrate dalla fidanzata del tempo, Me.El. , oltre che dai collaboratori Ar.Fe. , m.v. , B.D. , Vr.Gi. , Bo.Lu. ulteriori riscontri erano individuati nel contenuto di due colloqui intercettati il primo tra l'imputato Ma.An. ed un compagno di cella, in data 14 aprile 2002 ed il secondo nei locali della Questura di Crotone il 13 dicembre 2010 tra l'A. e Co.An. , condannato nello stesso processo per favoreggiamento personale aggravato ex art. 7 della legge 203/1991 . La Prima Sezione, con la decisione citata, ha riscontrato l'omessa pronuncia della Corte territoriale rispetto ad una serie di doglianze proposte con l'originario atto di appello degli imputati a non è stata assegnata alcuna attenzione valutativa al percorso personale e processuale che aveva indotto l'A. a collaborare con la giustizia, né alle relative ragioni, a fronte di precise doglianze riguardanti sia la tempistica delle accuse, sia le contrastanti versioni rese, sia ancora la presenza di ragioni di rancore o di propositi vendicativi nei riguardi degli accusati b vi era discordanza tra le fonti dichiarative in ordine al movente dell'azione omicidiaria secondo l'A. era ricollegato alla volontà dei Ma. di eliminare un concorrente nell'illecito traffico degli stupefacenti per espandere la loro presenza sul mercato locale secondo gli altri collaboratori invece dipendeva da questioni di onore, legate al corteggiamento da parte della vittima della ragazza del fratello di Ma.Sa. secondo la fidanzata era legato a motivi di rancore per una lite legata allo spaccio di qualche spinello nella zona del lungomare OMISSIS c era giudicato inverosimile il ruolo di spettatore inconsapevole ed estraneo alla vicenda, presente per caso, descritto dal chiamante in correità secondo la versione fornita in dibattimento sarebbe stato il solo Ma.Sa. ad attirare la vittima, col pretesto di assumere un campione di stupefacente, in un luogo appartato nel quale sarebbe stato ucciso. Ma tale ricostruzione è incompatibile con la situazione di contrasto tra le due famiglie, per cui ben più plausibilmente il G. avrebbe potuto accettare tale proposta se proveniente da una terza persona e quindi dall'A. , col quale sino a poco tempo prima aveva collaborato nell'attività di spaccio e col quale aveva mantenuto rapporti di sporadica frequentazione d si rilevava l'omessa considerazione di quanto esposto dal teste S.M. , trovatosi al bar nelle prime ore del pomeriggio del OMISSIS , che aveva visto il G. allontanrasi da solo con l'A. e non col Ma. , come invece affermato dal collaboratore e di quanto affermato da G.P. , fratello della vittima, che aveva visto il fratello ancora in vita a bordo di un ciclomotore con l'A. dirigersi verso la zona di OMISSIS a metà pomeriggio del 19 maggio e non con il Ma. . e si evidenziavano le numerose contraddizioni della narrazione dibattimentale dell'A. rispetto a quanto affermato in fase investigativa, su 7 punti della vicenda omicidiaria 1 la posizione assunta all'interno dell'autovettura, descritta come una Citroen AX a 3 porte, anziché a 5 porte, sul sedile anteriore, accanto al conducente Ma.Sa. , laddove al P.M. aveva detto di non ricordare il posto occupato 2 l'ordine col quale essi, usciti dall'autovettura, si erano diretti verso il casale mentre al P.M. aveva riferito di essere stato l'ultimo della fila e di avere assistito all'omicidio, eseguito innanzi a sé, in udienza aveva dichiarato di avere preceduto gli altri e di avere soltanto avvertito il primo colpo di pistola ed aver visto sparare il secondo colpo dal Ma. 3 la qualità della sostanza stupefacente, se cocaina oppure eroina, da far provare al G. mentre al P.M. aveva riferito che la scusa riguardava provare o mostrare al G. della cocaina, in udienza ha fatto riferimento ad eroina 4 la persona, se lui stesso, oppure il Ma. , che aveva invitato il G. a provare un campione di droga nel casale di OMISSIS mentre in dibattimento aveva dichiarato di non avere invitato lui il G. , ma che l'aveva fatto il Ma. , al P.M. si era attribuito tale iniziativa, pur negando un accordo con il complice per attirare la vittima nel tranello 5 l'orario dell'omicidio, di pomeriggio , secondo quanto detto in udienza, oppure di sera, come detto in precedenza, allorché, pur essendo già formalmente collaboratore di giustizia, aveva accusato ingiustamente altri tre soggetti, Ag. , I. e S. 6 l'individuazione della persona con cui, nel carcere, aveva fatto recapitare il mandato di cattura ai Ma. , tale Gi. , oppure un albanese , o un extracomunitario , e della persona che gli aveva consegnato il bigliettino dei Ma. con le istruzioni sull'atteggiamento processuale da tenere 7 l'indicazione del piano occupato nel carcere, avendo riferito di ricordare perfettamente che i Ma. erano ristretti nel piano soprastante al suo, indicazione in seguito riferita in termini opposti. Più in generale questa Corte ha ritenuto anomalo il processo mnemonico dell'A. , inverso a quello rispondente alle regole di comune esperienza, poiché questi nell'esame dibattimentale ha riferito particolari più specifici e precisi rispetto all'interrogatorio reso quattro anni prima al P.M In relazione alle propalazioni degli altri collaboratori, la Prima Sezione ha accolto la censura di una non approfondita considerazione dei tempi di formulazione delle accuse, dell'eventuale progressione delle informazioni offerte, della possibile circolarltà delle notizie riferite, con rilievi specifici rispetto al narrato di B.D. quanto alla conversazione intercettata in ambientale in data 14 aprile 2002 fra Ma.An. ed il compagno di cella, Q.F.F. , si è giudicato non sicuramente riferibile alla vicenda G. l'invito del Q. a sopprimerlo , rivolto ad un terzo soggetto, il quale si sarebbe giustificato con l'impossibilità di provvedere perché detenuto né si evince che Ma.An. o il nipote Sa. nel corso del dialogo intercettato avessero ammesso le loro responsabilità quali esecutori o mandanti di tali omicidi. 2.2 In relazione all'omicidio di C.L. , entrambi i giudici di merito hanno assolto M.F. e V.F. , poiché non ha trovato riscontri l'accusa del collaboratore B.L. chiamante in correità ed organizzatore del crimine , peraltro smentita anche da una serie di dichiarazioni ed altri elementi - dal collaboratore di giustizia V.G. , in relazione al movente individuato nella vendetta per il mancato pagamento di varie partite di droga, coinvolgendo nell'azione un tale F. ed un altro soggetto - dai collaboratori Ar. e m. i quali, seppure coincidenti con il racconto del Bo. , quanto alla individuazione del movente dell'omicidio, riferibile alla volontà di vendicare l'uccisione del figlio di Ca.Eg. storico affiliato del clan Bo. -Co. -Vr. , per avere il C. preso parte all'omicidio , avevano ricostruito in termini generici, ed in certi punti incompatibili con la versione resa dal dichiarante principale, le modalità esecutive del delitto, rispetto ai partecipanti - dal collaboratore B.D. , convergente quanto al movente, ma difforme quanto alle modalità esecutive dell'azione omicidiaria rispetto a quanto descritto dal B. e dagli altri propalanti - dal collaboratore A.S. , il quale aveva ascritto l'iniziativa criminosa ai fratelli Ma. - dall'assenza di segni di inceppamento dell'arma utilizzata per l'omicidio e successivamente recuperata e sottoposta ad accertamenti balistici - dalla circostanza che il C. , diversamente da quanto asserito dal Bo. , era stato attinto da un colpo alla guancia destra, non alla testa. La Prima Sezione ha in proposito evidenziato che in realtà il Bo. aveva fatto riferimento ad un doppio movente quello vendicativo del Ca. e quello legato alla sussistenza di un debito per droga non onorato dalla vittima , e che pertanto il suo racconto non contrasta con quello di V. che in ordine alla ricostruzione della fase esecutiva del delitto, la pronuncia impugnata non aveva esaminato, né sconfessato, la tesi della parte ricorrente, secondo la quale i collaboratori di giustizia, pur avendo appreso i particolari da fonti diverse e tra loro autonome, avessero in modo concorde indicato la stessa genesi preparatoria dell'omicidio, le stesse modalità realizzative e gli stessi autori, indicati in M.F. quale esecutore, ed in V.F. con compiti di ausilio e supporto sul luogo e nel momento del fatto. La decisione di annullamento richiama la giurisprudenza delle Sezioni Unite secondo la quale è possibile utilizzare una o più chiamate in reità convergenti, sebbene indirette, quale prova di responsabilità o quale riscontro a chiamata in correità, condizionandone il valido impiego probatorio ai requisiti di convergenza, indipendenza, specificità, evidenziando che la convergenza non va apprezzata in termini di assoluta coincidenza delle versioni riferite, ma quale corrispondenza del nucleo essenziale e significativo della vicenda fattuale descritta. In definitiva sarebbe mancata una valutazione incrociata delle dichiarazioni dei collaboratori, di cui sono state isolate singole affermazioni, per evidenziarne i profili di divergenza, senza un confronto che ne verificasse la capacità di riscontrarsi a vicenda . Si è infine evidenziato che la zona attinta dal colpo mortale la regione laterale sinistra del collo in corrispondenza dell'angolo mandibolare fa parte della testa e che la corrispondenza di calibro, tipologia di arma, la presenza di un colpo ritenuto in canna, l'abrasione del numero matricolare, la perdita durante la fuga avrebbero meritato una considerazione più approfondita, prima di affermare l'inconciliabilità del contributo dichiarativo con la prova generica , semplicemente sulla base della consulenza balistica. 3. La Seconda Sezione della Corte di Assise di appello di Catanzaro, quale giudice di rinvio, ha confermato integralmente la sentenza della Corte d'assise di Catanzaro del 12 maggio 2011. 3.1 Con riferimento all'omicidio G. , il racconto dell'A. è stato ritenuto solo parzialmente attendibile, nella parte in cui questi, fin dall'inizio, ha indicato nei due Ma. rispettivamente il mandante A. e l'esecutore materiale S. del delitto la Corte ha collocato la morte nella serata del OMISSIS , come affermato dal collaboratore in fase investigativa ed il ruolo dell'A. è stato ricostruito specificamente come di colui che attirò la vittima nel tranello mortale il movente è stato individuato nell'interesse dei Ma. ad eliminare dei concorrenti nello spaccio della droga leggera la persona cui si riferisce il Q. nella conversazione intercettata del 14 aprile 2002 viene identificata in Ma.Sa. . 3.2 Quanto all'omicidio C. , giudicando del tutto attendibile il chiamante in correità Bo.Lu. , sono giudicati inattendibili tutti gli altri collaboratori, così privando del necessario riscontro individualizzante l'accusa del primo. 4. Hanno proposto ricorso i difensori di entrambi gli imputati condannati ed il procuratore generale di Catanzaro sulle due assoluzioni. Il difensore di Ma.An. , avv. Salvatore Staiano, ha proposto quattro motivi. 4.1 Con il primo motivo si deduce vizio di motivazione e violazione degli artt. 192 e 627 cod. proc. pen., in relazione al movente omicidiario, alla dinamica dell'omicidio, al ruolo svolto dall'A. ed alla captazione del 14 aprile 2002, n. 210, all'interno della casa circondariale di . 4.1.1 Quanto al primo punto, si censura la valutazione di plausibilità espressa dalla Corte d'assise d'appello sul movente indicato dall'A. , rappresentato dalla volontà dei Ma. di affermare il predominio della famiglia nel settore del traffico di sostanze leggere in tal modo sono stati ignorati due aspetti critici segnalati già nella sentenza annullata, la presenza di motivi di rancore nei confronti degli imputati e l'incrinazione dei rapporti del collaboratore con gli stessi. Peraltro nella decisione di annullamento la Suprema Corte, alla luce dei contrasti sul movente tra i collaboratori oltre ai due già indicati, quello del delitto d'onore e della lite avvenuta sul lungomare di omissis , aveva richiesto un approfondimento sul tema, ma ciò non è avvenuto, poiché anche Bo.Lu. , le cui dichiarazioni fungono da riscontro a quelle dell'A. , lo individua nel fatto che i G. si erano distaccati dai Ma. e si erano messi a spacciare in modo autonomo in sostanza egli avrebbe dato fastidio agli imputati, che perciò ritennero di dagli una lezione. Su questo punto si evidenziano ulteriori criticità - il movente indicato dal Bo. è diverso da quello riferito dall'A. , poiché non si fa riferimento ad alcuna mira espansionistica - la fonte diretta del Bo. sul movente è rappresentata da D.B.A. , giudicato dalla stessa Corte inattendibile Ma.An. invece avrebbe indicato un falso movente passionale, nascondendo quello vero, poiché la diversa causale avrebbe esposto l'azione delittuosa all'approvazione preventiva dello stesso Bu. , componente di un gruppo egemone - il collaboratore parla in termini confidenziali degli imputati, ma non sa che Sa. è il nipote di An. , indicandoli come due fratelli - il rischio di circolante dell'accusa è estremamente elevato, poiché il collaboratore parla dell'omicidio solo nel 2007 e le accuse circolavano già dall'aprile 2002. In definitiva il giudice del rinvio avrebbe dovuto rilevare le numerose discrasie ed incoerenze narrative e pervenire al giudizio di inattendibilità della fonte, anziché preoccuparsi di giustificarle con argomenti deboli, quale l'individuazione di un doppio movente. 4.1.2 In ordine alla dinamica dell'omicidio, si evidenzia l'illogicità della motivazione che, pur riconoscendo la falsità di quanto affermato in ordine al proprio ruolo e all'ora della morte, sottrae al giudizio di inattendibilità l'indicazione dei ruoli attribuiti ai due imputati, con una applicazione inammissibile e artificiosa del principio di frazionabilità. La Corte territoriale, partendo dalle deposizioni di S.M. e G.P. , colloca la morte in orario notturno, valorizzando sul punto le dichiarazioni di Mi.El. , la quale però avrebbe appreso la notizia dall'ex fidanzato A. , allorché questi - il giorno successivo all'omicidio - le chiese di fornirgli un alibi. In realtà però la Corte recupera delle sommarie informazioni testimoniali inutilizzabili per la decisione, probabilmente traendole dall'ordinanza di custodia cautelare, poiché in dibattimento le dichiarazioni sono riportate alle pagine 28-31 del ricorso la Mi. ha fornito una versione diversa, sostenendo che l'A. le chiese un falso alibi per il pomeriggio, non parlando mai della sera. 4.1.3 In relazione al ruolo svolto nell'omicidio dall'A. , la sentenza smentisce le parole del collaboratore, riconoscendogli un ruolo attivo nel delitto, poiché egli era l'unica persona in grado di attrarre la vittima nel luogo dell'agguato contraddittoriamente, però, è giudicata attendibile la chiamata in correità dei due imputati, poiché il propalante avrebbe indicato costantemente e fin dall'inizio i ruoli svolti dai due imputati. Secondo il ricorrente, però, nemmeno questo è vero la decisione impugnata invoca la deposizione di Mi.El. resa in fase investigativa, travisando quella utilizzabile resa in incidente probatorio, sostenendo che ella avrebbe subito appreso dall'A. del coinvolgimento di Ma.An. . Nella deposizione resa in contraddittorio, invece, la teste nega che l'ex fidanzato le avesse parlato di questo coinvolgimento, avendo egli affermato di aver fatto tutto da solo, e attribuisce ad una propria congettura l'evocazione del Ma. . Ancora viene censurato l'utilizzo di un'informativa di polizia del 15 marzo 2002 mai acquisita tra gli atti utilizzabili per la decisione , dalla quale emergerebbe che durante i primi interrogatori A. avrebbe confidato i ruoli dei Ma. . Vi è poi la conversazione intercettata presso la questura di Crotone il 13 dicembre 2000 tra A. e Co. , giudicata poco significativa, poiché la frase mi manda qualche ambasciata al carcere che starebbe a significare l'attesa da parte di Ma.An. di suggerimenti per la linea difensiva da tenere, sarebbe frutto di un travisamento del giudice, poiché mi manda nella trascrizione del perito non c'è. Infine le comunicazioni durante la detenzione tra i Ma. e l'A. sono rimaste indimostrate, poiché fondate su un dichiarato dibattimentale incerto, frammentario e generico in relazione alla persona che avrebbe recapitato ai Ma. l'ordinanza custodiale dell'A. ed alla collocazione nella casa circondariale delle rispettive celle, per cui tali elementi non possiedono una capacità di asseverazione dei fatti che non possono fungere da riscontri rispetto alla narrazione del collaboratore. 4.1.4 Anche rispetto alla captazione ambientale del colloquio in carcere tra Ma.An. e Q.F.F. , in data 14 aprile 2002, oggetto delle censure della sentenza di annullamento, la Corte territoriale ripete il medesimo errore già accertato dalla Prima Sezione di questa Suprema Corte, poiché individua un interesse di Sa. ad uccidere A. , omettendo di considerare il fatto che Ma.An. non avesse ammesso le proprie responsabilità. 4.2 Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione e violazione degli artt. 192 e 195 cod. proc. pen., in relazione all'utilizzo delle dichiarazioni di Me.El. in fase investigativa, come prova della confessione stragiudiziale resa dall'ex fidanzato anche sul ruolo dei due Ma. , ignorando così le uniche dichiarazioni utilizzabili, cioè quelle rese in sede di incidente probatorio, che non coinvolgono in alcun modo gli imputati nella soppressione del G. , non parlano mai della causale rappresentata dagli appetiti criminali della famiglia Ma. e dunque non confermano il ruolo degli imputati nella vicenda. Viene poi censurata la valutazione frazionata dell'attendibilità delle parole del collaboratore A. , le quali pur ritenute in più passaggi della decisione parzialmente omissive, animate da un interesse personale, in contrasto con altri elementi certi, non persuasive, vengono ritenute credibili nella parte in cui descrivono il ruolo dei due imputati, così contravvenendo alla regola di giudizio che deve presidiare la valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Fin dalla nota sentenza delle Sezioni Unite in procedimento m. del 21 ottobre 1992 la Corte Suprema è costante nell'affermare che non si può procedere ad un esame unitario della chiamata in correità e degli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità, se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensino sulla chiamata in sé, indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad essa in altri termini la valutazione frazionata delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia presuppone l'attendibilità del dichiarante. Attendibilità che nel caso concreto doveva essere esclusa e che i diversi elementi di riscontro indicati nella motivazione non potevano supportare. Quanto infine alle dichiarazioni di Bo.Lu. , che costituisce il principale riscontro alle accuse del chiamante in correità, si evidenzia che questi rende affermazioni de relato , generiche e non riscontrabili non confermate dal D.B. , che sarebbe stato presente alle confidenze ricevute da Ma.An. e che comunque è stato ritenuto a sua volta inattendibile e si sottolinea l'assoluta inaffidabilità derivante dall'elevato rischio di circolarltà delle notizie, considerata la data di inizio della collaborazione nel 2006 e la costanza nelle accuse da parte dell'A. fin dal 2002. 4.3 Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione e violazione degli artt. 575-577 cod. pen. e 7 della legge 203/1991, in relazione all'affermazione della sussistenza della premeditazione, della quale manca l'elemento rappresentato dall'apprezzabile intervallo di tempo tra la risoluzione criminosa e l'azione omicidiaria si ricorda che, secondo quanto raccontato dall'A. , l'incontro con il G. fu casuale e l'intenzione di Ma.An. di ucciderlo venne manifestata in tono scherzoso, incompatibile con un'intenzione omicidiaria , nonché dell'aggravante del fine di agevolare l'attività di un'associazione di tipo mafioso, fondata esclusivamente sulle affermazioni di Bo. , probatoriamente inconcludenti, perché non riscontrate. 4.4 Con il quarto motivo si deduce violazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen., 125 e 546 cod. proc. pen., in relazione al trattamento sanzionatorio, per avere la Corte dichiarato inammissibile il motivo di doglianza con il quale si evidenziava l'assoluta apoditticità e vacuità della motivazione sulla pena, evidentemente sproporzionata. 5. Nell'interesse di Ma.Sa. ha proposto ricorso l'avv. Giuseppe Napoli, deducendo 14 motivi. 5.1 Con il primo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alla valutazione di attendibilità di A.S. , del quale non è stato valutato il percorso professionale e processuale, come richiesto dalla sentenza di annullamento già l'intenzione di coprire le proprie responsabilità avrebbe dovuto condurre a un giudizio di totale inattendibilità, in special modo rispetto alla posizione di Ma.Sa. , che non compare nei primi tre racconti del chiamante in correità del 20 maggio 2000, del 21 maggio 2000 e dell'aprile 2001, ma solo nel quarto, del maggio 2001, con successive modifiche. 5.2 Con il secondo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alla valutazione dell'effettivo ruolo svolto da A.S. nell'omicidio. 5.3 Con il terzo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alle numerose contraddizioni in cui è incorso durante l'esame dibattimentale A.S. , rispetto a quanto affermato in fase investigativa, già sottolineate dalla decisione di annullamento. La Corte territoriale avrebbe dovuto escludere la credibilità del dichiarante in relazione in particolare alle ragioni che lo avevano indotto alla confessione e all'accusa dei complici, ispirati al puro calcolo di evitare una pena di entità consistente di conseguenza non poteva aver luogo la valutazione frazionata dell'attendibilità, né quella dei riscontri individualizzanti. 5.4 Con il quarto motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione alla valutazione di attendibilità di A.S. , rispetto alle due intercettazioni ambientali valorizzate nella decisione di condanna. In particolare non poteva essere utilizzata come riscontro la conversazione tra Ma.An. ed il compagno di cella Q.F.F. , poiché comunque non riguarda il nipote Sa. è significativo sul punto sottolineare l'assenza completa di dialoghi captati tra i due imputati. Quanto al colloquio tra A. e Co. alla questura di Crotone, si evidenzia la forzatura del colloquio, dal quale non emergono dati probatori che conducano a Ma.Sa. . 5.5 Con il quinto motivo si deduce contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine all'attendibilità di A.S. , nonostante la conclamata falsità delle sue affermazioni sulla collocazione temporale dell'evento morte. 5.6 Con il sesto motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. e vizio di motivazione nella parte in cui attribuisce a Bo.Lu. il ruolo di dirigente all'interno della cosca Vrenna-Corigliano-Bonaventura, ruolo smentito dalle stesse parole del Bo. . Il collaboratore infatti afferma di essersi limitato a comandare una squadra e non la consorteria , quanto meno fino al dicembre 2001 di conseguenza non doveva esserci alcun assenso del Bo. all'eliminazione di G. . 5.7 Con il settimo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. e vizio sulla valutazione di credibilità ab extrinseco del chiamante in reità de relato Bo.Lu. , nella parte in cui viene giudicato neutrale il dato che il collaboratore potesse ignorare le dinamiche di contrapposizione tra i G. ed i Ma. e che fosse tenuto all'oscuro della causale dell'omicidio. Inoltre viene giudicato meramente congetturale l'argomento secondo il quale le parziali divergenze rispetto alle dichiarazioni dell'A. non comportano inaffidabilità del racconto di Bo. , ben potendo essere inaffidabile racconto riversatogli dal D.B. . Si ricorda in proposito che secondo quanto riaffermato dalla decisione delle Sezioni Unite n. 20804/2012 ric. Aquilina la chiamata de relato, presentando una struttura analoga alla testimonianza indiretta, mutua da questa, almeno per quanto attiene alla valutazione dell'attendibilità intrinseca, il metodo di verifica, che implica necessariamente uno sdoppiamento della valutazione, nel senso che occorre verificare non soltanto l'attendibilità intrinseca soggettiva ed oggettiva del dichiarante in relazione al fatto storico della narrazione percepita, ma anche l'attendibilità della fonte primaria di conoscenza e la genuinità del suo narrato, che integra l'elemento di prova più significativo del fatto sub iudice . Tale valutazione è stata completamente omessa dalla Corte d'assise d'appello. 5.8 Con l'ottavo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione ai contrasti tra i due accusatori in ordine alla causale omicidiaria, che ciascuno indica in maniera diversa l'intenzione di estendere l'attività di traffico di stupefacenti leggeri, secondo l'A. un intento punitivo, perché i G. si erano distaccati dai Ma. e si erano messi a spacciare in proprio secondo Bo. . Il ricorrente evidenzia che è stato inoltre ignorato un dato fondamentale, rappresentato da un debito non onorato di un milione e duecentomila lire che l'A. aveva nei confronti di G.G. , per l'acquisto di una partita di sostanza stupefacente e la circostanza che dopo l'omicidio, come riferito dal fratello della vittima, non si è più visto anche a causa del debito. 5.9 Con il nono motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. e vizio di motivazione in relazione ai contrasti tra i due accusatori, in ordine alle modalità del fatto. Vengono infatti indicati due diversi bar il bar OMISSIS per l'A. il bar OMISSIS per il Bo. presso i quali sarebbe stato prelevato il G. viene descritto diversamente l'incontro con l'A. come casuale dal chiamante in correità, secondo il quale fu Ma.Sa. a proporre alla vittima di seguirlo in auto come preordinato per Bo. , poiché A. propose al G. di andarsi a fare un tiro di cocaina, per poi condurlo dove sarebbe stato ucciso. 5.10 Con il decimo motivo si deduce vizio di motivazione in ordine alla ricostruzione del fatto. La Corte territoriale, per dare una risposta ai rilievi della Cassazione in ordine alle deposizioni di G.P. e S.M. , ritiene credibile la seconda versione dei fatti riferita dall'A. nel 2001, secondo la quale l'omicidio sarebbe avvenuto di notte in questo modo, però, resta scoperto tutto il periodo che va dalle 17.30-18.00 del OMISSIS ultimo momento in cui la vittima fu vista viva fino alla morte, avvenuta due ore oltre la cena , secondo il medico legale. 5.11 Con l'undicesimo motivo si deduce violazione dell'art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., in relazione alla ritenuta credibilità di Bo.Lu. , per la diffusiva presenza di inesattezze, omissioni ed errori che non consente di fondare l'attendibilità intrinseca del chiamante in reità, in quanto nessun elemento consente di desumere una sua conoscenza privilegiata del fatto, anche considerata l'assenza di ogni momento confessorio. Si sottolinea inoltre la necessità che la chiamata in reità sia confortata da elementi esterni riferiti ad ulteriori specifiche circostanze, in grado di collegare in modo diretto il chiamato al fatto di cui deve rispondere. Nel caso concreto le dichiarazioni di Bo. non riscontrano quelle dell'A. in nessuna delle tre versioni che costui fornisce dell'omicidio. 5.12 Con il dodicesimo motivo si deduce violazione dell'art. 606, lettere b ed e , cod. proc. pen., in relazione all'art. 577, comma 1, n. 3, del codice penale, per travisamento della prova in ordine alla sussistenza dell'aggravante della premeditazione all'epoca dei fatti Ma.An. era sottoposto agli arresti domiciliari e fino al giorno precedente l'omicidio Ma.Sa. era detenuto in carcere. Di conseguenza la pianificazione dell'omicidio riferita dall'A. non è supportata da concreti elementi probatori, anche perché lo stesso collaboratore non ha fornito un'esatta collocazione temporale dell'incontro avvenuto presso l'abitazione di Ma.An. , nel corso del quale questi avrebbe parlato scherzosamente dell'omicidio. Inoltre egli riferisce di aver incontrato quasi tutti i giorni Salvatore, circostanza inverosimile, essendo questi agli arresti domiciliari. Infine l'A. racconta come casuale l'incontro avvenuto con la vittima il 19 maggio 2000, il che esclude di per sé la premeditazione. 5.13 Con il tredicesimo motivo si deduce violazione dell'art. 606, lettera e , cod. proc. pen., in relazione all'art. 7 della legge 203/1991, per travisamento dei fatti in relazione all'aggravante del metodo mafioso, fondata su un insussistente legame storico tra i Ma. ed i Vr. -Co. -Bo. e sul movente di affermare un predominio sul mercato degli stupefacenti del gruppo Macrì. Poiché però nessuna autorizzazione era stata rilasciata dal clan dominante Vr. -Co. -Bo. , deve escludersi la sussistenza dell'aggravante, che va parimenti negata anche in relazione all'uso della forza di intimidazione e conseguente stato di omertà e assoggettamento, elementi non rinvenibili nella motivazione della sentenza impugnata, né nelle dichiarazioni dei collaboratori. 5.14 Con il quattordicesimo motivo si deduce violazione dell'art. 606, lettera b , cod. proc. pen., in relazione all'art. 627 cod. proc. pen., poiché il giudice del rinvio ha fondato la nuova decisione sui medesimi vizi logici e sulle medesime carenze valutative che avevano già contrassegnato la prima sentenza. 6. Il ricorso del Procuratore generale di Catanzaro è affidato ad un motivo unico, con il quale si deduce vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 192 cod. proc. pen., per l'errata applicazione dei criteri di valutazione della prova, con particolare riguardo alla valutazione incrociata delle dichiarazioni dei collaboratori, giudicate inattendibili ad eccezione di quelle del Bo.Lu. . Erroneamente si valorizzano pregressi giudizi di inattendibilità formulati in altri processi, ritenendo necessario adempiere ad un obbligo di motivazione rafforzato e così trascurando che tutti i collaboratori hanno sempre e costantemente attribuito ai due imputati M. e V. il medesimo ruolo nell'illecito. In definitiva viene ripetuto il medesimo errore già commesso dalla prima decisione annullata dalla Suprema Corte. 6.1 Nello specifico, si censura la ritenuta inattendibilità di B.D. , la cui fonte diretta è rappresentata dal Bo. , già giudicato attendibile, e da Ca.Fr. , altro coimputato nel medesimo delitto è giudicato illogico l'argomento facente leva sul fatto che solo in dibattimento il collaboratore ha indicato come fonte di conoscenza l'imputato M. e come compartecipe al fatto Pe.Gi. , non indicato dal Bo. sul primo aspetto si segnala che nessun elemento concreto ed ulteriore è stato aggiunto al narrato, per cui non si comprende come l'indicazione della nuova fonte possa comportare lo stravolgimento dell'inattendibilità del B. , soggetto comunque giudicato attendibile nella sentenza relativa al processo c.d. Heracles, del quale il presente costituisce stralcio. Sul secondo punto coinvolgimento di P.G. si segnala che Bo. non esclude la partecipazione del P. , lasciando ampi margini di apertura al suo coinvolgimento. Più in generale si evidenzia che le dichiarazioni del B. concordano con quelle del Bo. , quanto al ruolo svolto dallo stesso Bo. nel delitto il mandato omicidiario , ai compiti di esecutore materiale del M. ed al supporto logistico fornito dal V. , per cui trovano applicazione i principi giurisprudenziali della cosiddetta convergenza del molteplice e quello della frazionabilità della valutazione delle dichiarazioni accusatorie. Ciò significa che il riscontro esterno può consistere anche in altre dichiarazioni accusatorie non completamente sovrapponibili, essendo sufficiente la confluenza su comportamenti riferiti all'imputato e alle imputazioni a lui attribuite inoltre l'attendibilità della dichiarazione accusatoria, anche se esclusa per una parte del racconto, non coinvolge necessariamente l'attendibilità del dichiarante con riferimento a quelle parti del racconto che reggono alla verifica del riscontro oggettivo esterno, sempre che non esista un'interferenza fattuale e logica fra la parte del narrato ritenuta falsa o non credibile e le rimanenti parti che siano intrinsecamente attendibili ed adeguatamente riscontrate. L'errata applicazione dei due principi è tanto più evidente se si considera la corretta applicazione fatta nella medesima decisione in riferimento all'omicidio G. . Considerato in diritto 1. Il ricorso degli imputati Ma.Sa. e Ma.An. va accolto. In particolare sono fondati il primo motivo dell'avv. Staiano, le cui argomentazioni sono riprese anche nel secondo motivo, nonché il primo, il quinto ed il quattordicesimo motivo dell'avvocato Napoli, con conseguente assorbimento di tutti gli altri motivi. 1.1 In via generale, va osservato che, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte Suprema, nel caso di annullamento della sentenza per vizio di motivazione relativo al giudizio di fatto, il giudice di rinvio mantiene, nell'ambito del capo colpito dall'annullamento, piena autonomia di giudizio nella ricostruzione del fatto e nella valutazione delle prove, nonché il potere di desumere - anche sulla base di elementi probatori prima trascurati - il proprio libero convincimento, colmando in tal modo i vuoti motivazionali e le incongruenze rilevate con l'unico divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di cassazione e con l'obbligo di conformarsi all'interpretazione data dalla Corte di legittimità alle questioni di diritto Sez. 5, n. 42814 del 19/06/2014, Cataldo, Rv. 261760 Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010 Rv. 248413 . Si tratta di un principio fondamentale nel sistema delle impugnazioni, che scaturisce dalla natura del sindacato della Corte di cassazione, che è sindacato di pura legittimità e non può riguardare il merito del giudizio di fatto. Il giudizio di fatto, invero, è riservato in via esclusiva ai giudici di merito, potendo su di esso la Corte di cassazione - quale mero giudice del diritto - svolgere solo un sindacato esterno e indiretto, tramite il controllo della motivazione nei limiti in cui tale controllo è consentito dalla legge mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità art. 606, lett. e, cod. proc. pen. . Perciò, quando la sentenza è annullata per vizio della motivazione, la Corte di cassazione non può enunciare alcun principio o punto di vista o diversa lettura dei dati processuali o diversa valutazione dei fatti al quale il giudice di rinvio debba conformarsi. Eventuali valutazioni in fatto contenute nella pronuncia di annullamento non sono vincolanti per il giudice di rinvio, ma rilevano esclusivamente come punti di riferimento per l'individuazione del vizio o dei vizi segnalati e non, quindi, come dati che si impongono per la nuova decisione sul fatto a lui demandata. In questo senso, è stato affermato che non viola l'obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l'annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all'affermazione di responsabilità sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello già censurato in sede di legittimità Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, F., Rv. 251660 . Con riferimento al caso in cui la Corte di legittimità abbia pronunciato un annullamento sotto il profilo della carenza di motivazione, però, si è osservato che il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di determinare il proprio convincimento di merito, è tenuto a giustificarlo secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato ad una determinata valutazione delle risultanze processuali ovvero al compimento di una specifica indagine, in precedenza omessa, di determinante rilevanza ai fini della decisione, o ancora all'esame, non effettuato, di specifiche istanze difensive incidenti sul giudizio conclusivo Sez. 6, n. 19206 del 10/01/2013, Di Benedetto, Rv. 255122 . 2. La Corte di Assise di appello di Catanzaro è pervenuta ad una seconda decisione di conferma dell'affermazione di responsabilità sulla base di un percorso diverso, poiché ha utilizzato esclusivamente le dichiarazioni di due collaboratori principalmente A. , riscontrato da Bo. , escludendo quelle di tutti gli altri ed utilizzando alcuni riscontri esterni, rinvenuti nelle due conversazioni intercettate di cui già si è detto e nelle dichiarazioni di Mi.El. o meglio, in quelle di due sue amiche . Il netto contrasto della versione resa in dibattimento con le dichiarazioni giudicate credibili rese da due testimoni S.M. , che vide G. allontanarsi dal bar in compagnia del solo A. e G.P. , che lo vide a metà pomeriggio a bordo di un ciclomotore - sempre solo con l'A. - dirigersi verso la zona di OMISSIS ha indotto la Corte a fare applicazione del principio della valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie, ritenendo il collaboratore attendibile solamente nella parte in cui ha accusato i due imputati di essere rispettivamente il mandante ed esecutore materiale dell'omicidio. In tal modo la Corte è però incorsa in un duplice errore di diritto. 3. In primo luogo, pur dedicando diverse pagine della motivazione a descrivere lo sviluppo della collaborazione dell'A. e pur dando atto delle numerose menzogne da questi pronunciate quando nelle prime tre audizioni nell'anno 2000 negò ogni suo coinvolgimento nel fatto quando successivamente, accusò prima S.M. ed un ignoto complice, il OMISSIS , e poi I.G. e Ag.Vi. , il OMISSIS ancora nel OMISSIS , quando colloca l'episodio alle 15.30 circa e nega il proprio coinvolgimento nei fatti , il giudice d'appello ha omesso quella necessaria valutazione di credibilità soggettiva del dichiarante, pure sollecitata dalla decisione di annullamento, laddove invitava a considerare il percorso personale e processuale che aveva indotto l'A. a collaborare con la giustizia, le relative ragioni, le contrastanti versioni rese, le ragioni di rancore o di propositi vendicativi nei riguardi degli accusati. 3.1 In altri termini la Corte territoriale ha dato per scontata la credibilità del dichiarante, pur a fronte di evidenti criticità già segnalate dalla Prima Sezione di questa Corte e riproposte da entrambi i ricorrenti, saltando così un passaggio di quel metodo a tre tempi così definito in dottrina a seguito della nota sentenza delle Sezioni Unite n. 1653 del 21/10/1992 - 22/02/1993, Marino che, ai fini di una corretta valutazione della chiamata in correità, a mente del disposto dell'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., impone al giudice in primo luogo di sciogliere il problema della credibilità del dichiarante in relazione, tra l'altro, alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correità ed alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione ed alla accusa dei coautori e complici in secondo luogo di verificare l'intrinseca consistenza e le caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneità infine di esaminare i riscontri cosiddetti esterni. Una simile tripla verifica, come recentemente affermato ancora dalle Sezioni Unite Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012 - dep. 14/05/2013, Aquilina, Rv. 255145 , non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'art. 192, comma 3, cod. proc. pen., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale. 3.2 È stato in proposito osservato che la credibilità non è uno status del dichiarante, né ovviamente è uno status permanente, ma va vista in relazione alla dichiarazione un dichiarante è credibile, perché è attendibile la sua dichiarazione e non viceversa una dichiarazione è attendibile, perché il dichiarante è credibile . In ogni caso, nel caso di specie, la prima verifica è stata del tutto pretermessa valutazione che invece era indispensabile, laddove si consideri che nella successione delle dichiarazioni l'A. ha calunniato delle persone e ha sempre taciuto sul proprio coinvolgimento. Quest'ultimo elemento inficia fortemente la tenuta logica della motivazione e va ad incidere anche sulle ulteriori verifiche di cui si parlava, poiché il dichiarante non può definirsi tecnicamente un chiamante in correità, quanto piuttosto un semplice chiamante in reità e, anche se non vi sono differenze concettuali o di principi applicabili al chiamante in correità rispetto al chiamante in reità tate, va rimarcato che la chiamata in correità, in quanto confessione del fatto proprio e altrui, abbisogna di una verifica meno rigorosa di quella necessaria per controllare la chiamata in reità Sez. 5, n. 14272 del 08/10/1999, Cervellione, Rv. 215800 . 4. Il secondo errore di diritto compiuto dalla Corte d'Assise d'appello di Catanzaro riguarda l'applicazione del principio della cosiddetta frazionabilità della valutazione delle dichiarazioni dell'A. . 4.1 In generale va ricordato che la valutazione frazionata delle dichiarazioni di un chiamante in correità o in reità rappresenta una risposta al problema dell'individualizzazione dei riscontri, che se appare concettualmente semplice quando il propalante fa cenno ad un solo fatto criminoso e ne indica un solo autore, diventa più complesso quando questo soggetto narra di più fatti criminosi e li attribuisce ad un solo autore o a più autori ed, anche, se nell'evocare la vicenda, chiama in correità o in reità più imputati. Nel secondo caso, infatti, non trovando il giudice riscontri individualizzanti per tutti gli episodi o per tutti gli autori, ci si è chiesto se fosse possibile e doveroso dar credito alle sole parti della chiamata risultate attendibili frazionandola oppure se l'attendibilità di una sua parte estendesse i suoi effetti alle altre o ancora se ne risultasse pregiudicata l'intera dichiarazione. 4.2 La tesi sviluppata dalla giurisprudenza di questa Corte è stata quella di riconoscere al giudice la libertà di ritenere attendibile anche una sola parte della chiamata, per evitare che l'assenza di riscontri individualizzanti rispetto alle altre parti pregiudichi l'accertamento della responsabilità personale dell'imputato. Si è così ritenuta lecita la valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie provenienti da un medesimo soggetto con la conseguenza che l'attendibilità del chiamante, anche se denegata per una parte del suo racconto, non ne coinvolge necessariamente tutte le altre, quando queste reggano alla verifica giudiziale della conferma, in quanto suffragate da idonei elementi di riscontro esterno Sez. 1, n. 6992 del 30/01/1992, Altadonna, Rv. 190650 . Si è anche precisato che la credibilità ammessa per una parte dell'accusa non può significare in modo automatico attendibilità per l'intera narrazione Sez. 6, n. 5649 del 22/01/1997, Dominante, Rv. 208897 e che, laddove la parziale inattendibilità dipenda dall'accertata falsità di alcune dichiarazioni, il giudice è tenuto ad escludere la stessa generale credibilità soggettiva del dichiarante, a meno che non esista una provata ragione specifica che abbia indotto quest'ultimo a rendere quelle singole false propalazioni Sez. 4, n. 9450 del 24/01/2008, Soldano, Rv. 239254 . 4.3 Il principio è stato poi esteso ai chiamanti in reità Sez. 1, n. 1031 del 10/11/2005 - dep. 12/01/2006, Benenati, Rv. 233375 ed ai testimoni tra le ultime, Sez. 6, n. 20037 del 19/03/2014, L, Rv. 260160 ed è stato applicato, oltre che alle dichiarazioni non completamente riscontrate o ritenute parzialmente inattendibili Sez. 4, n. 5821 del 10/12/2004 - dep. 16/02/2005, Alfieri, Rv. 231300 , a quelle ritenute parzialmente false. Rispetto a queste ultime si è affermato che l'accertata falsità di uno specifico fatto narrato non impedisce di valorizzare le ulteriori parti di un racconto più complesso svolto dal dichiarante, se supportate da precisi riscontri, anche non specifici su ciascun elemento dichiarato, idonei a compensare il difetto di attendibilità soggettiva Sez. 1, n. 35561 del 08/05/2013, Plaku, Rv. 256753 e sempre che non sussista un'interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti e l'inattendibilità non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere la stessa credibilità del dichiarante. Secondo un indirizzo più rigoroso, che il Collegio ha condiviso, in caso di accertata falsità di parte del narrato il giudice è tenuto ad escludere la stessa generale credibilità soggettiva del dichiarante, a meno che non esista una provata ragione specifica che abbia indotto quest'ultimo a rendere delle singole false propalazioni Sez. 5, n. 37327 del 15/07/2008, Palo, Rv. 241638 Sez. 3, n. 14084 del 24/01/2013, L, Rv. 255111 . E particolarmente rafforzato sarà, in casi del genere, l'onere motivazionale per il giudice di merito. 4.4 In realtà, laddove le false dichiarazioni attengano al medesimo fatto storico da provare e vertano su aspetti non marginali, appare davvero arduo sostenere che il giudizio di inattendibilità su alcune circostanze non inficia la credibilità delle altre parti del racconto, essendo sempre e necessariamente ravvisabile un'interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato e d'altra parte laddove la falsità, come nel caso di specie, attenga alle specifiche responsabilità del dichiarante nel reato, viene fortemente messa in discussione la sua complessiva credibilità soggettiva. La valutazione frazionata delle dichiarazioni sarà in astratto possibile solamente se la falsa dichiarazione attiene ad altro reato oppure alla responsabilità di altro soggetto, ma non certamente se riguarda lo stesso imputato e lo stesso fatto. 5. Vanno in proposito ribaditi ed affermati i seguenti principi di diritto In tema di valutazione della chiamata in reità, la verifica dell'intrinseca attendibilità delle dichiarazioni può portare anche ad esiti differenziati, purché la riconosciuta inattendibilità di alcune di esse non dipenda dall'accettata falsità delle medesime, giacché, in tal caso, il giudice di regola è tenuto ad escludere la stessa generale credibilità soggettiva del dichiarante . Laddove sia accertata la falsità di parte del narrato del chiamante in reità, la valutazione frazionata dell'attendibilità delle dichiarazioni sarà ancora possibile solo laddove le false propalazioni riguardino altro soggetto oppure altro reato, sempre che esista una provata ragione specifica che abbia indotto il dichiarante a mentire in questa ultima ipotesi l'onere motivazionale del giudice sarà rafforzato, non potendo egli omettere di affrontare la questione e spiegare le ragioni per cui l'inattendibilità parziale delle dichiarazioni, processualmente smentite, non incide sull'attendibilità del dichiarante . 6. Avendo la Corte d'Assise d'appello di Catanzaro fatta non corretta applicazione dei principi suesposti, per giunta in presenza del già evidenziato deficit motivazionale sulla credibilità soggettiva del dichiarante A.S. , la sentenza va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di assise d'appello di Catanzaro, per nuovo esame, ai sensi dell'art. 623, comma 1, cod. proc. pen., ancorché la Corte d'appello di Catanzaro abbia solo due sezioni di Corte d'Assise. La norma processuale dispone infatti che se è annullata la sentenza di una corte di assise di appello o di una corte di appello ovvero di una corte di assise o di un tribunale in composizione collegiale, il giudizio è rinviato rispettivamente a un'altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale o, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini in tal modo essa prescrive soltanto che la sezione della Corte territoriale, cui il giudizio deve essere rinviato, sia diversa da quella che ha emesso la specifica sentenza annullata e non anche che debba essere diversa pur da ogni altra sezione della medesima Corte, la quale in precedenza abbia pronunciato sentenza nel medesimo processo principio già affermato da questa Corte in altre occasioni Sez. 1, n. 12995 del 29/01/2014, Calabrò, Rv. 259028 Sez. 6, n. 1142 del 30/03/1999, Leotta, Rv. 214748 . Resta ovviamente ferma l'incompatibilità di tutti i magistrati i quali nel procedimento de quo hanno concorso a pronunciare alcuna delle sentenze pronunciate in questo procedimento. 7. Il ricorso del Procuratore Generale di Catanzaro è infondato. A ben vedere, infatti, le ragioni di perplessità sulla responsabilità di M.F. e V.F. per l'omicidio di C. Leonardo ed i connessi reati in materia di armi espresse dalla Corte di Catanzaro sono più ampie di quanto sinteticamente indicato dal Procuratore generale ricorrente. 7.1 Il giudice dell'appello, con motivazione che non evidenzia alcuna contraddittorietà o manifesta illogicità, ha escluso la credibilità delle dichiarazioni dei collaboratori Ar. , m. , B. e Vr. , per cui pur giudicando attendibile la chiamata in correità di Bo.Lu. , non ha rinvenuto alcun riscontro individualizzante, non potendosi considerare a tale scopo le dichiarazioni non credibili. 7.2 In particolare Ar. e m. sono giudicati già soggettivamente inaffidabili, in considerazione di sentenze passate in giudicato che li hanno ritenuti tali in altri processi e di quanto già ritenuto a proposito dell'omicidio G. . L'esame delle aporie narrative riscontrabili dai verbali di deposizioni ha condotto poi a ritenere inattendibili anche le loro dichiarazioni, per i progressivi aggiustamenti narrativi non giustificati dalla cross examination , poiché il primo ha indicato come fonte il Bo. , il quale però non gli avrebbe raccontato le modalità esecutive, pur riferite in sede dibattimentale il secondo ha evidenziato contraddizioni in ordine alla dinamica dell'agguato, ai partecipanti in relazione al ruolo di P. e Po. , alla sorte dell'arma utilizzata, alle fonti di conoscenza, al movente, per cui in definitiva è stato confutato il giudizio di coerenza e costanza dichiarativa cui era pervenuto il giudice di primo grado. 7.3 In relazione al narrato di B.D. , poi, la Corte ha rilevato la palese incoerenza ed incostanza narrativa della fonte , caratterizzata da arricchimenti narrativi in sede dibattimentale, in relazione al ruolo di staffetta ricoperto da Ba.An. , all'indicazione di M.F. tra le fonti di conoscenza, alla collocazione di P.G. sulla scena del delitto con ruolo specifico di distruggere i vestiti e avere le armi a portata di mano , così allineandosi a quanto riferito dal m. . Anche per B. , in definitiva, il giudizio conclusivo della Corte è di intrinseca inaffidabilità, sicché il suo contributo dichiarativo non poteva assumere valore di riscontro individualizzante. In definitiva, allora, la Corte ha fatto corretta applicazione dei principi della convergenza del molteplice e della frazionabilità della valutazione delle dichiarazioni accusatorie, poiché questa implica comunque un giudizio di credibilità intrinseca del dichiarante, in mancanza della quale va esclusa la credibilità di tutto quanto dichiarato Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005 - dep. 16/02/2006, Aglieri, Rv. 233095 Sez. 6, n. 35327 del 18/07/2013, Arena, Rv. 256097 . Il ricorso del Procuratore Generale di Catanzaro va in conclusione rigettato. P.Q.M. In accoglimento dei ricorsi di Ma.An. e Ma.Sa. , annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla 1^ Sezione della Corte di assise d'appello di Catanzaro rigetta il ricorso del Procuratore Generale.