Lavoratore precipita al suolo schiacciato da una struttura dall’equilibrio precario: irrilevante il suo comportamento se mancano misure di sicurezza

Nell’infortunio sul lavoro nessuna efficacia causale è attribuita al comportamento del lavoratore nell’ipotesi di assenza o inidoneità delle misure cautelari volte alla prevenzione degli infortuni quando l’evento sia riconducibile alla mancanza o insufficienza delle misure cautelari che, laddove adottate, avrebbero neutralizzato proprio quel rischio.

Il caso. L’imputato, quale datore di lavoro, era ritenuto responsabile del delitto di lesioni personali aggravate per avere consentito – in violazione delle norme antinfortunistiche – che gli operai allestissero un trabattello di altezza pari a circa 7 metri e vi salissero per eseguire lavori di montaggio di pannelli insonorizzati sulla parte di un edificio. La struttura era infatti predisposta senza ancoraggio alla parete e in assenza di idoneo dispositivo antiribaltamento, nonché montata in modo irregolare solo tre erano i punti di appoggio perché il quarto piede” era poggiato su un blocco di cemento che non si trovava allo stesso livello della superficie su cui erano poggiati gli altri piedi . L’infortunio si era verificato perché, nel corso dell’esecuzione delle opere, il trabattello cedeva e rovinava a terra. Nell’occasione uno degli operai finiva a terra schiacciato dalla struttura e riportava lesioni gravissime. Per i giudici di merito erano provate le omesse misure di prevenzione contro gli infortuni per quanto non si fosse potuta accertare con precisione la ragione del cedimento del trabattello non soccorrevano le dichiarazioni dei presenti perché gli operai coinvolti erano la vittima e il collega che, tuttavia, in quanto figlio di uno degli indagati, si avvaleva della facoltà di non rispondere. Dichiarazioni successive al giudicato, richiesta la revisione. L’imputato chiedeva la revisione del procedimento sulla scorta del contenuto di una conversazione telefonica tra l’operaio presente al fatto che si era avvalso della facoltà di non rilasciare dichiarazioni e un altro lavoratore pure presente all’infortunio ma non diretto protagonista dei fatti. Durante tale conversazione – che veniva registrata – si sarebbero rivelate le effettive modalità dell’infortunio che sarebbe stato provocato dal comportamento della persona offesa. Secondo questa ricostruzione la persona offesa era infastidita della conversazione telefonica che il collega stava intrattenendo con la fidanzata mentre entrambi si trovavano sul trabattello. Per interrompere la conversazione, la persona offesa avrebbe iniziato a dondolare sulla struttura compromettendone stabilità ed equilibrio già precario . Ebbene, tale comportamento, secondo la tesi difensiva, avrebbe avuto i connotati dell’abnormità ed imprevedibilità, di guisa da costituire unica causa del cedimento del trabattello. In disparte considerazioni circa la credibilità della registrazione, la Corte territoriale riteneva che le dichiarazioni registrate fossero irrilevanti ai fini della decisione perché, anche ammettendo per vero il comportamento della vittima per come descritto, ciò non sarebbe valso ad escludere la responsabilità colposa del datore di lavoro nella causazione dell’infortunio. L’evoluzione della normativa antinfortunistica. La normativa antinfortunistica ha visto un’evoluzione da un modello iperprotettivo” ad uno collaborativo”, così che si è passati da un sistema incentrato in modo assoluto sul datore di lavoro, soggetto garante gravato da obbligo di vigilanza assoluta – quasi paternalistica – sui lavoratori, vigilanza che contempla la messa a disposizione di idonei dispositivi di sicurezza sia il controllo sul corretto uso di tali dispositivi ad un sistema in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti inclusi i lavoratori. Quest’ultimo modello è quello individuabile tra le righe del T.U. sulla Salute e Sicurezza sul lavoro d.lgs. n. 81/2008 tuttavia, la giurisprudenza non ha escluso la permanenza della responsabilità del datore di lavoro nel caso in cui siano carenti i dispositivi di sicurezza oppure non siano adottati dal lavoratore, responsabilità che non può essere obliterata dall’affidamento, a parte del datore, sul prudente e diligente comportamento del lavoratore. Dall’irrilevanza del comportamento del lavoratore al concetto di area di rischio. Il principio dell’ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore – che si fonda sulla norma civilistica sulla tutela delle condizioni di lavoro art. 2087 c.c. – ha ceduto il passo al concetto di area di rischio” – specie a seguito dei d.lgs. n. 624/94 e d.lgs. n. 81/2008 – che il datore di lavoro deve valutare preventivamente con dichiarazione dei rischi. In parallelo sono stati elaborati i criteri con cui stabilire se la condotta del lavoratore appartenga o sia estranea al processo produttivo o alle mansioni di sua competenza. Si sono tracciate le coordinate che consentono di distinguere il comportamento esorbitante da quello abnorme. Comportamento esorbitante o abnorme? Esorbitante è la condotta che fuoriesce dalle mansioni, ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro od a chi ne fa le veci nell’ambito del contesto lavorativo. Abnorme è quel comportamento realizzato in modo imprevedibile e al di fuori del contesto lavorativo, nulla avendo a che fare con l’attività svolta. L’autoresponsabilità del lavoratore. La normativa delineata dal Testo Unico impone anche ai lavoratori di attenersi alle regole di diligenza, prudenza e perizia e, in ogni caso, alle specifiche disposizioni cautelari del caso, segnando così il passaggio – anche a livello legislativo – dal modello iperprotettivo” a quello collaborativo”. Del pari, in giurisprudenza si è affermato il principio dell’autoresponsabilità del lavoratore. La condotta abnorme interrompe il nesso causale. Secondo ius receptum il nesso eziologico tra la condotta colposa ascrivibile al datore di lavoro e l’evento dannoso è escluso dalla condotta abnorme del lavoratore. In tale circostanza il datore di lavoro, se ha predisposto mezzi idonei alla prevenzione non risponde della condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore. Si sposa il parametro della prevedibilità intesa come dominabilità umana del fattore causale. Prevale l’accertata mancata predisposizione di misure di sicurezza. Per vero, nel caso di specie, il nucleo essenziale della decisione con cui si è pervenuti alla condanna è quello che individua la prevalenza del dato della mancata predisposizione di misure di sicurezza e prevenzione degli infortuni da parte del datore di lavoro. In questo contesto – oggetto dell’intangibilità del giudicato in quanto non richiesto di revisione sul punto – del tutto marginale, a parere dei giudici, è accertare le esatte cause che determinavano il cedimento del trabattello. La Corte investita dell’istanza di revisione, infatti, aveva messo in luce come l’assenza o l’inidoneità delle misure di prevenzione causava l’infortunio, di modo che nessuna efficacia causale poteva essere attribuita alla condotta del lavoratore infortunato che, quand’anche avesse occasionato l’evento, non avrebbe portata significativa nell’escludere il nesso di causalità tra l’oggettiva assenza di cautele imposte al datore di lavoro allo scopo di neutralizzare rischi analoghi – compresi comportamenti sui generis del lavoratore – e l’evento lesivo. Applicando i superiori principi i giudici hanno concluso per la correttezza della decisione e, quanto al rigetto della richiesta di revisione, hanno precisato che le nuove prove presentate sono inidonee a ribaltare la sentenza di condanna perché non in grado di dimostrare che il condannato deve essere prosciolto.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 17 giugno – 7 settembre 2015, n. 36040 Presidente Romis – Relatore D’Isa Ritenuto in fatto 1. B.M. ricorre per cassazione avverso la sentenza, indicata in epigrafe, della Corte d'appello di Milano che ha rigettato la richiesta di revisione, proposta dal medesimo, della sentenza della Corte d'appello di Torino del 24.05.2011, confermativa, in punto di responsabilità dell'imputato, di quella di condanna del locale Tribunale - sezione distaccata di Ciré - del 13.01.2009 - in ordine al delitto di cui all'art. 590, comma 3 cod.pen La Corte d'appello ha deciso su rinvio della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 720/2014 di questa IV Sezione, aveva disposto l'annullamento per motivi formali dell'ordinanza della stessa Corte territoriale, in data 10.07.2013, di inammissibilità del giudizio di revisione. Per una migliore intelligenza dei motivi posti a base del ricorso è opportuno ripercorrere, sia pure in sintesi, l'iter motivazionale della sentenza impugnata sia con riferimento al fatto che alle ragioni di diritto che hanno determinato il rigetto della richiesta revisione. Il B. , quale datore di lavoro, è stato ritenuto responsabile del delitto contestato, per aver consentito, in violazione della disposizione di cui all'art. 52 d.P.R. 164/1956, che A.L. e S.M. allestissero un trabattello alto circa sette metri e vi salissero al di sopra per eseguire lavori di montaggio di pannelli insonorizzanti sulla parete di un edificio, senza che la struttura fosse ancorata alla parete, in mancanza di un idoneo dispositivo antiribaltamento, e montata in modo irregolare, avendo solo tre punti di appoggio, in quanto uno dei piedi era poggiato su di un blocco di cemento che non si trovava allo stesso livello della superficie su cui erano poggiati gli altri piedi. Sta di fatto che il trabattello, nel corso dei predetti lavori, cedette e rovinò al suolo, il S. fini a terra schiacciato dalla struttura riportando gravissime lesioni. I giudici del merito, ritenute provate le omissioni prevenzionali su indicate, hanno evidenziato che l'infortunio non si era potuto ricostruire con precisione, nel senso che non era rimasta accertata la ragione del cedimento del trabattello, anche per la mancanza di dichiarazioni sul punto, nel processo, da parte dei diretti interessati, in quanto il S. non fu sentito per le sue gravi condizioni di salute ed il A.L. , figlio di uno degli indagati, si avvalse della facoltà di non rispondere. 1.2 Il B. poneva a fondamento dell'istanza di revisione il contenuto di conversazioni telefoniche registrate, nel corso delle quali A. e P. , altro lavoratore presente al momento dell'infortunio, gli avrebbero rivelato le reali modalità, mai prima emerse, dell'infortunio causato dal comportamento della persona offesa il S. , infastidito dalla conversazione telefonica che A.L. anch'egli sul trabattello stava intrattenendo con la fidanzata, per fargliela interrompere iniziò a dondolare sul trabattello, compromettendone l'equilibrio e la stabilità. Si riteneva quindi che quel comportamento, abnorme ed imprevedibile, sarebbe stata l'unica causa efficiente a determinare il cedimento del tra battello. 1.3 La Corte d'appello, a prescindere dal giudizio di poca credibilità delle suddette dichiarazioni registrate, ha ritenuto che le stesse, sebbene acquisite successivamente al processo, fossero irrilevanti in quanto, ancorché il comportamento del lavoratore infortunato, come descritto, fosse stato effettivamente posto in essere, questo non avrebbe escluso la responsabilità colposa del B. nella causazione dell'infortunio. Richiamando la copiosa e conforme giurisprudenza di questa Corte circa il comportamento ritenuto abnorme del lavoratore che può escludere il nesso di causalità tra la condotta colposa addebitata al datore di lavoro e l'evento, la Corte della revisione ha evidenziato che, in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia, comunque, da ricondurre alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che se, adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento. 2. Il B. , con il ricorso odierno, denuncia primariamente mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato. Si argomenta che proprio l'impossibilità di ricostruire, in maniera precisa ed analitica, le dinamiche e le modalità che ebbero a causare la caduta del trabattello, avrebbe imposto alla Corte d'appello un vaglio più attento delle nuove prove , offerte ed acquisite solo successivamente alla sentenza di condanna irrevocabile. Si contesta la valutazione di scarsa credibilità che di esse ha fatto la Corte meneghina, non essendovi dubbi circa la genuinità e credibilità delle dichiarazione rese da A.L. e P.C. . Con riguardo, poi, all'assunto della Corte territoriale che tali dichiarazioni sarebbero del tutto ininfluenti e non in grado di ribaltare la pronuncia di responsabilità, se ne rileva la contraddittorietà, laddove, affermando che S. mai avrebbe posto in essere ragionevolmente un tale comportamento, condivide la tesi difensiva che ritiene essersi trattato, per contro, di un comportamento irragionevole, ascrivibile ad una grave forma di imprudenza, tanto imprevedibile viepiù posta in essere da un soggetto con esperienza ventennale nell'eseguire lavori in quota , escludendo, quindi, qualsivoglia forma di concorso. Dunque, si evidenzia, che, nel caso di specie, è del tutto evidente che il comportamento posto in essere dal S. sia inquadrabile nell'ambito di un agire anomalo, ancorché imprevedibile e, pertanto, svincolato da qualsivoglia obbligo di garanzia posto a carico del datore di lavoro, B.M. . In definitiva, si adduce che tale comportamento è configurabile quale causa sopravvenuta idonea a determinare l'interruzione del nesso di causalità. Considerato in diritto 3. Le censure esposte sono infondate e determinano il rigetto del ricorso. Quanto alla denuncia di errata valutazione delle dichiarazioni registrate dal B. riferibili al A.L. ed al P.C. , con conseguente vizio di motivazione, se ne deve rilevare la inammissibilità. Va ricordato che il controllo di legittimità si appunta esclusivamente sulla coerenza strutturale interna della decisione, di cui saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo e, tramite questo controllo, anche l'accettabilità da parte di un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento e da osservatori disinteressati della vicenda processuale. Al giudice di legittimità è invece preclusa - in sede di controllo sulla motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti preferiti a quelli adottati dal giudice del merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa . Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione. Esaminato sulla base di queste coordinate, la prima censura è inammissibile in quanto tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti all'apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito e non indica in maniera specifica vizi di legittimità o profili di illogicità della motivazione della decisione impugnata ma mira solo a prospettare una ricostruzione alternativa dei fatti, suggerita come preferibile rispetto a quella adottata dai giudici del merito, ricostruzione che è insuscettibile di valutazione in sede di controllo di legittimità. 3.1 Il Collegio ha ritenuto di fare questa puntualizzazione, sebbene ritenga assorbente l'argomentazione in diritto, riguardante il nucleo centrale della motivazione della sentenza impugnata, secondo cui l'accertamento delle cause che hanno determinato il cedimento del trabattello è del tutto marginale rispetto al mancato approntamento sul punto c'è giudicato non toccato dalla richiesta di revisione da parte del datore di lavoro, delle misure di sicurezza e prevenzione degli infortuni, condotta omissiva a cui va ricollegato l'evento lesivo. Il Collegio non può non condividere i principi enunciati in materia e riportati nelle sentenze di legittimità indicate dalla Corte d'appello relativamente alla condotta c.d. abnorme del prestatore di lavoro che, quale causa sopravvenuta, escluderebbe il nesso di causalità tra la condotta addebitata al datore di lavoro e l'evento. È pur vero che il sistema della normativa antinfortunistica, si è lentamente trasformato da un modello iperprotettivo , interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro che, in quanto soggetto garante era investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, anche imponendosi contro la loro volontà , ad un modello collaborativo in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, normativamente affermato dal Testo Unico della sicurezza D.Lgs 9.04.2008 n. 81, ma ciò non ha escluso, per la giurisprudenza di questa Corte, che permane la responsabilità del datore di lavoro, laddove la carenza dei dispositivi di sicurezza, o anche la mancata adozione degli stessi da parte del lavoratore, non può certo essere sostituita dall'affidamento sul comportamento prudente e diligente di quest'ultimo. In giurisprudenza, dal principio dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore che si rifà spesso all'art. 2087 c.c. , si è giunti - a seguito dell'introduzione del D. Lgs 626/94 e, poi del T.U. 81/2008 - al ricorso del concetto di area di rischio Sez. 4, Sentenza n. 36257 del 01/07/2014 Ud. Rv. 260294 Sez. 4, Sentenza n. 43168 del 17/06/2014 Ud. Rv. 260947 Sez. 4, Sentenza n. 21587 del 23/03/2007 Ud. Rv. 236721 che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva. Strettamente connessa all'area di rischio che l'imprenditore è tenuto a dichiarare c.d. DVR , si sono individuati i criteri che consentissero di stabilire se la condotta del lavoratore dovesse risultare appartenente o estranea al processo produttivo o alle mansioni di sua specifica competenza. Si è dunque affermato il concetto di comportamento esorbitante , diverso da quello abnorme del lavoratore. Il primo riguarda quelle condotte che fuoriescono dall'ambito delle mansioni, ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, nell'ambito del contesto lavorativo, il secondo, quello, abnorme, già costantemente delineato dalla giurisprudenza di questa Corte, si riferisce a quelle condotte poste in essere in maniera imprevedibile dal prestatore di lavoro al di fuori del contesto lavorativo, cioè, che nulla hanno a che vedere con l'attività svolta. La recente normativa T.U. 2008/81 impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e comunque di agire con diligenza, prudenza e perizia. Le tendenze giurisprudenziali si dirigono anch'esse verso una maggiore considerazione della responsabilità dei lavoratori c.d. principio di autoresponsabilità del lavoratore . In buona sostanza, si abbandona il criterio esterno delle mansioni e si sostituisce con il parametro della prevedibilità intesa come dominabilità umana del fattore causale. Il datore di lavoro non ha più, dunque, un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, come in passato, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione, egli non risponderà dell'evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore. Questi principi non si attagliano al caso di specie, essendo rimasto provate la mancata adozione di quei presidi necessari, nello svolgimento del lavoro affidato alla persona offesa, per prevenire gli infortuni. Correttamente, pertanto, la Corte milanese ha fatto riferimento alla giurisprudenza di legittimità, che con tranquillante uniformità, ha affermato che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che, in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento confr. Cass. pen. n. 31303 del 2004 cit. . 3.3. La motivazione della sentenza impugnata è esaustiva ed ha toccato tutti i punti di lagnanza, ivi compreso quello relativo alla circostanza che, secondo la deduzione difensiva, emersa dalle successive dichiarazioni, offerte quali prove nuove , il S. , nel momento in cui si è verificato il cedimento del trabattello, era intento a lavori di ancoraggio dello stesso, con ciò facendosi intendere che la mancata predisposizione di tale misura non era addebitabile al B. . La Corte, a parte la considerazione in fatto, secondo cui gli ispettori del lavoro, immediatamente intervenuti, non costatarono e non rilevarono tale circostanza, ritiene che essa non sposterebbe i termini della questione. La considerazione è corretta e pienamente condivisibile. È un dato di fatto che il trabattello non era in sicurezza ed anche se si stavano eseguendo lavori per ancorarlo era necessario che, almeno sino al completamento di tali lavori, fossero prese adeguate cautele per garantire l'incolumità dei lavoratori che, comunque, erano saliti su di esso, tra le quali l'ancoraggio della cintura di sicurezza, di cui era dotato il S. , non alla struttura del trabattello, instabile, bensì ad altro appiglio stabile. 3.4. In conclusione, si condivide il giudizio della Corte milanese relativo alla ininfluenza delle nuove prove, non in grado di ribaltare la pronuncia di condanna dei giudici torinesi, e, pertanto, di condurre ad una sentenza assolutoria, indipendentemente dalla eventuale gradazione delle colpe e della eventuale colpa concorrente del lavoratore, atteso che le conseguenze civilistiche non influiscono affatto sulla revoca del giudicato, essendo, invece, necessario che le nuove prove devono essere tali da dimostrare, se accertati i relativi fatti, unicamente che il condannato deve essere prosciolto dal reato ascrittogli. 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.